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Priorato Confraternite dell’Arcidiocesi di Genova


Centro Studi Confraternite G. Casareto



USI ED OGGETTI CONFRATERNALI NELL’ORATORIO


Testo di Pier Luigi Gardella


Ho vissuto la vita di una Confraternita sin da bambino, con momenti di maggiore o minore intensità e partecipazione, ritengo tuttavia di aver assimilato abbastanza quello spirito confraternale che caratterizza la vita di queste associazioni. Negli ultimi vent’anni, poi, mi sono dedicato allo studio della loro storia, del loro patrimonio artistico, scoprendo aspetti che mai avrei immaginato, in particolare a proposito della loro vita, del loro passato, della ricchezza artistica, oltreché spirituale degli oratori della Liguria.

La potenza artistica e spirituale che sprigiona ad esempio da una scultura di Anton Maria Maragliano, da un suo crocifisso, che è trasmessa direttamente a chi l’osserva cercando di capire il messaggio evangelico che attraverso l’opera d’arte, lo scultore voleva inviarci.
Oppure le vicissitudini storiche vissute da tante Confraternite, che erano sorte per far ritrovare all’uomo una dimensione spirituale che, a quei tempi, la Chiesa forse non sapeva trasmettere, e che ci fanno meditare sull’eterna ricerca dell’uomo di quella realtà soprannaturale che sempre lo ha caratterizzato in tutti i paesi ed a tutte le latitudini.

Tuttavia l’argomento che voglio proporvi é apparentemente più modesto, perché modesti sono gli oggetti, le usanze, le tradizioni, che le confraternite ci hanno tramandato in relazione alla loro vita di tutti i giorni. Voglio parlarvi appunto di quella che era, ed in tanti casi é, la vita di una confraternita, vissuta nella semplicità, una semplicità d’animo ed esteriore e che, esteriormente, scompare solo in occasione delle “uscite” processionali, o quando si vuole decorare ed arricchire l’edificio sacro.

L’ultimo, più importante impulso alla costituzione delle confraternite liguri, dopo che già nei secoli precedenti sotto la spinta del francescanesimo o dietro le predicazioni di Ranieri da Fasano molte se ne erano costituite, fu la venuta dei Bianchi di Provenza nella primavera-estate del 1399, esattamente 600 anni or sono. Predicando la pace tra le popolazioni ed il perdono come strumento di riconciliazione, con i propri simili ma soprattutto con Dio, questi pellegrini, attraversarono città e borghi della Riviera, raggiungendo la Toscana e quindi Roma. Essi lasciarono dietro di loro un nuovo fermento religioso che si sarebbe concretizzato nella costituzione di nuove confraternite; sono molte, infatti, le Confraternite della Riviera che sorsero in questo periodo o negli anni immediatamente successivi.

Le finalità di queste Confraternite erano ovviamente la preghiera ed il culto soprattutto attraverso la mediazione della Vergine, da sempre posta al centro della venerazione dei Confratelli.
Proprio per questa venerazione alla Madonna troviamo ancor oggi negli archivi delle Confraternite il libro con l’Ufficio della Vergine, il cui canto regolarmente si effettuava negli oratori. D’altra parte sono decine le Confraternite liguri dedicate alla Madonna: del Rosario, Assunta, Addolorata ecc. E non dimentichiamo l’impulso dato alla vita delle Confraternite liguri in conseguenza dell’apparizione della Vergine al Confratello Botta in quel di Savona nel 1536.

Al culto della Madonna si associava il suffragio delle anime dei defunti, la cura e la sepoltura dei corpi, nonché l’assistenza agli ammalati, ai moribondi, ai confratelli più bisognosi. Tali erano le finalità e tali restano ancor oggi, se si eccettua la sepoltura dei defunti ormai compito delle imprese addette.

Questi scopi li ritroviamo negli Statuti delle Confraternite, per la maggior parte risalenti alla prima metà del Seicento, quando sulla spinta che ancora nel secolo precedente aveva dato l’arcivescovo di Genova Antonio Sauli, tante Confraternite riformarono i propri statuti adeguandoli alle direttive del Concilio di Trento. Molti sono gli esemplari di questi primitivi Statuti ancora conservati negli archivi delle nostre Confraternite, come quello ad esempio dell’Oratorio di S. Martino di Pegli, datato 10 dicembre 1604: uno splendido manoscritto a penna su pergamena che in prima pagina reca un disegno, raffigurante probabilmente l’Oratorio, con la firma di tale Fra' Filippo Ravano, genovese. O come quello della Confraternita di S. Chiara di Bogliasco datato 1654.

Monsignor Sauli nel 1587 emanò la Regala delle Confraternite dei Disciplinati la quale si ispirava alla precedente Regola emanata dall’Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo nel 1574: in essa troviamo le direttive di comportamento per ogni aspetto della vita di una confraternita.
Tali direttive parlano del modo di ricevere i nuovi confratelli iscritti, dell’abito esteriore dei confratelli che doverà essere segno dell’abito interiore ... cioè il sacco di tela grossa ... e si cingeranno con un cingolo di corda co’ nodi. A proposito dei nodi al cingolo essi dovevano essere sette in memoria dei sette momenti nei quali Cristo sparse il suo sangue, e precisamente: nella circoncisione, nell’orto degli ulivi, nella flagellazione alla colonna, nell’incoronazione di spine, nelle ferite alle mani, in quelle ai piedi e nella ferita al costato.

Tornando alle direttive del Sauli egli passa poi ad illustrare i modi di pregare che dovranno adottare i confratelli, dell’avvicinarsi ai Sacramenti, del celebrare le solennità della Chiesa e della Confraternita, sino a descrivere la pratica della disciplina, cioè l’autoflagellazione, che diede appunto il nome a queste prime confraternite. Dice il Sauli useranno discipline fatte di cordelle e tutte di un’istessa forma ... si renderanno pronti e ferventi nella flagellazione di loro stessi, non solo per li peccati propri ma anco per quelli del popolo. Un esemplare di queste discipline è ancora conservato nell’oratorio dell’Arciconfraternita di San Sebastiano e della SS. Trinità di Borgo Fornari. La pratica della disciplina durò per molto tempo sino a scomparire praticamente almeno in Liguria nel secolo scorso. Tra i libri cassa della Confraternita di S. Chiara di Bogliasco ho trovato ripetute spese per compera rosette, nel corso del Seicento: si trattava di piccole ed appuntite roselline d’argento che i confratelli ponevano alle estremità delle cordicelle del flagello onde rendere più dolorosa la pratica della flagellazione. Esistono, anche se non sono molte, testimonianze pittoriche o scultoriche di questa forma di penitenza, come ad esempio un bassorilievo del 16° sec. posto accanto al portale dell’oratorio dei Bianchi di S. Sebastiano a Rapallo.

Altre testimonianze scritte ci furono lasciate dagli scritti degli annalisti genovesi quali il Giustiniani o lo Stella e, forse in forma più critica, dallo scrittore toscano Pietro Aretino, che, a metà cinquecento, nei suoi Ragionamenti fa riferimento al sangue uscito da le reni a Genovesi la notte del Venerdì Santo, quando che drieto al crocifisso si conciano male con la disciplina, i pazzi.
Proseguendo nell’esame dei vari argomenti trattati nella Regola dell’arcivescovo Sauli troviamo la regolarizzazione dei vari incarichi all’interno della Confraternita. Essa è governata da un Consiglio direttivo che si riunisce generalmente all’interno dello stesso oratorio.

L'edificio dell'oratorio, infatti, è normalmente ad una sola navata, priva di cappelle laterali, nella quale possiamo individuare un duplice orientamento: un orientamento strettamente liturgico, verso l’altare maggiore dove si celebra il rito religioso, ed uno verso la parete di fondo, dove sono in genere collocati gli stalli lignei e riferito alla componente laica della Confraternita, dove si riunisce il consiglio direttivo. Spesso gli oratori, proprio a significare l'importanza di questi due luoghi deputati, hanno la porta d'ingresso posta lateralmente anziché in facciata, al fine di non spezzare con un'apertura inadatta la sequenza degli stalli lignei sulla parete di fondo. Dalla parete di fondo si dipartono poi le panche ed i rivestimenti laterali, destinate all'assemblea dei confratelli. Uno dei tanti esempi di edifici con la porta laterale, lo troviamo nell’oratorio di San Giacomo della Marina, posto accanto a pizza Cavour a Genova.

Abbiamo ancora perfettamente conservati molti esempi di questi arredi liturgici all’interno dell’edificio, come ad esempio nell'Oratorio del Santo Cristo di Sestri Ponente, o nell'Oratorio di S. Martino di Pegli, entrambi del XVIII sec. o come quello appartenente all'Oratorio di S. Erasmo di Sori, nel quale lo stallo del Consiglio, databile intorno alla metà del Settecento, è composto da un'unica scenografica panca, che ricopre tutta la parete di fondo dell'edificio nella sua lunghezza. Questa panca è corredata di un inginocchiatoio aperto, distinto in tre parti, la più alta delle quali corrisponde al posto centrale del Priore. Il grande schienale è sagomato in morbide ondulazioni che dai lati vanno verso il vertice centrale ed è suddiviso in parti specchiate che seguono con eleganza questo andamento. La decorazione è minuta e raffinata. Un altro esempio di arredo ligneo con gli stalli del Consiglio lo troviamo anche in questo Oratorio dell’Assunta di Prà, dove sulla parete di fondo é collocato al centro il sedile riservato al Superiore, e lateralmente ad esso i sedili per i membri del Consiglio.

L'Assemblea dei Confratelli eleggeva semestralmente o annualmente il consiglio direttivo col cosiddetto sistema delle palle bianche e nere che consisteva nell'utilizzo di un particolare bussolotto, chiamato in dialetto o caxo, il calice, costituito da due cilindri di colore diverso e con un'unica imboccatura, attraverso la quale l'elettore introduceva un sassolino o un fagiolo, in uno dei due cilindri per esprimere il suo voto: positivo nel cilindro bianco, negativo nel cilindro nero. Ne troviamo un’esemplare ancora nella Confraternita di S. Chiara di Bogliasco, un altro nella Confraternita di S. Antonio Abate della Marina di Piazza Sarzano ed ancora in questa stessa Confraternita dell’Assunta. Sono esemplari tutti risalenti al secolo scorso.

Ho letto con piacere, nel libro pubblicato da Venzano sull’Arciconfraternita dell’Assunta che tutt’oggi il rito delle elezioni è ancora qui celebrato secondo l’antico uso, preceduto dal canto dell’Ufficio e del Veni Creator e seguito la settimana successiva dalla solenne cerimonia dell’insediamento dei nuovi eletti.
Gli incarichi che erano poi assegnati nell'ambito del consiglio erano parecchi: in genere almeno una ventina di persone era delegata al governo della Confraternita.

Vi erano il Priore, il Vice-Priore, il Tabulario, paragonabile all'odierno Segretario, i consiglieri, i massari, addetti alla questua in chiesa e nel paese. Per questa raccolta di denaro erano utilizzate piccole bussole d’argento di cui se ne conservano un bel paio di esemplari presso Confraternita di S. Chiara di Bogliasco. Sono due begli oggetti in ottone con un’incisione in argento raffigurante la Madonna del Rosario con le anime del purgatorio che risalgono al 1724.

Vi erano poi i maestri dei novizi, un incarico oggi quasi scomparso ma estremamente importante perché era proprio di coloro che dovevano prendersi cura dei nuovi confratelli iscritti, i giovani in particolare, indirizzandoli alla vita della confraternita. Ancora vi erano i Visitatori degli infermi ed i Provveditori dei morti, incarico quest'ultimo scomparso con l'avvento dei pubblici servizi di onoranze funebri, ma che era operante sino agli inizi del secolo in tante confraternite soprattutto nei paesi dell'entroterra e delle riviere: abbiamo ancora ritrovato due esemplari delle portantine in legno risalenti almeno al secolo scorso con le quali i confratelli di S. Erasmo di Sori e quelli dell’Assunta di Prà trasportavano i loro morti al cimitero. A Prà la portantina era chiamata in dialetto la scaella.

I nomi dei Confratelli erano spesso registrati nel cosiddetto catalogo o presenziario, in pratica una bacheca in legno sulla quale erano riportati i nomi dei confratelli iscritti. Nella Confraternita di S. Erasmo di Sori si trova un esemplare di questo “catalogo”: accanto ai nomi erano diversi piccoli fori nei quali erano poste delle assicelle per segnare la presenza dei confratelli alle assemblee. Recentemente é stato scoperto un magnifico esemplare di un antico catalogo, forse risalente al XVIII sec. nell’oratorio di S. Giovanni Battista di S. Olcese in esso sono ancora ben leggibili i nomi dei confratelli con accanto i fori nei quali venivano inserite le assicelle in legno.

La Regola del Sauli proseguiva poi nell’illustrare i vari compiti dei cosiddetti Ufficiali, i membri del Consiglio, nonché il preciso dettaglio di tutte le cerimonie che si svolgono nel corso dell’anno nella Confraternita, il canto dell’Ufficio, la Lavanda dei piedi del Giovedì Santo, le feste religiose ecc.
Momento particolare nella vita della Confraternita é certamente la festa del Santo patrono, che in genere culmina poi con la solenne processione per le strade del paese.

La processione rappresentava, e rappresenta, uno dei momenti di maggiore intensità della vita della Confraternita: in essa c’è il coinvolgimento emotivo per propiziare la protezione divina, c’è il cammino religioso del popolo di Dio, c’è l’esaltazione della figura del Santo protettore, come pure c’è la volontà di rappresentare il prestigio della Confraternita con la magnificenza dell’apparato.

Già nel Quindicesimo secolo le processioni delle Confraternite genovesi erano caratterizzate dal trasporto di figure itineranti che rappresentavano Santi e di Crocifissi: si trattava per lo più di casse processionali con la sola figura del Santo patrono, e la cui diffusione dovette essere tale da costringere la Repubblica ad emanare nel 1530 un decreto in cui, fra l'altro, si ordinava alle Confraternite di non eccedere nel portare in processioni figure di Santi che potessero togliere la devozione al Santo Crocifisso, decreto che tuttavia fu spesso e volentieri disatteso dalle Confraternite stesse.

Un esempio di queste primitive semplici statue lo troviamo nel S. Michele Arcangelo oggi nella omonima chiesa di Celle ligure, ma già appartenente alla Confraternita di S. Michele sempre a Celle la cui data posta sul basamento, 1481, è perfettamente consona ai caratteri stilistici della scultura, utilizzata come cassa processionale. Questo S. Michelino, come è ancora popolarmente chiamato dai fedeli di Celle, è un interessante esempio di scultura devozionale rimasta ancorata ad antichi modelli figurativi radicati nella cultura locale.

Ma è con il 18° sec. che le confraternite raggiungono momenti di massimo splendore con l'arricchirsi del loro apparato costituito dalle casse, dai crocifissi, dalle vesti. Esse si adeguano al lusso barocco, e compaiono elementi di sfarzo e di ricchezza: i crocifissi sono adornati dei cosiddetti canti d'argento, le vesti non sono più in tela di lino o di iuta ma in raso e velluto, le casse del patrono diventano complesse rappresentazioni di un episodio della vita del santo, commissionate ai più celebri artisti dell'epoca. Si perde forse un po' dello spirito penitenziale; nasce una gara tra le confraternite per sfoggiare i migliori paramenti, gli arredi più ricchi, ma tutto viene considerato, nella mente del popolo e dei confratelli stessi, un supremo omaggio alla divinità che deve essere onorata anche con lo sfarzo terreno. A volte tuttavia, questa gara eccede, la rivalità diventa violento antagonismo tra le varie confraternite; si arriverà al punto di assegnare le varie strade che ogni confraternita dovrà percorrere in occasione delle grandi processione cittadine, per raggiungere S. Lorenzo e di codificare l’ordine di sfilata delle stesse confraternite al fine di evitare incontri che a volte degeneravano. E’ significativo un biglietto di calice, rintracciato in Archivio di Stato dalla d.ssa Fausta Franchini Guelfi, dove i Priori di una Casaccia genovese non altrimenti identificava esortavano i confratelli, ricordando loro il rischio di finire a remare sulle patrie galee: Confratelli carissimi, per Giovedì santo prossimo restiamo persuasi ad una modestia possibile altrimenti saremo condannati alla pena a noi nota, cioè: ed il disegno era fin troppo chiaro.

Vediamo ora altri elementi che, ancor oggi, caratterizzano l’arredo processionale delle Confraternite.
Il crocifisso rappresenta oggi il principale emblema della maggior parte delle Confraternite. Esso in Liguria viene portato con l’immagine rivolta all’indietro secondo una tradizione che si farebbe risalire ai tempi delle Crociate. Si dice infatti che i Crociati genovesi al seguito di Guglielmo Embriaco portassero in battaglia i loro crocifissi, con l’immagine rivolta appunto all’indietro per far sì che gli infedeli non potessero vedere il volto del Cristo. Altri fanno risalire la tradizione alla Battaglia di Lepanto, quando i genovesi ruotarono i crocifissi che erano posti in testa alle truppe quali vessilli della cristianità per trarre forza, prima della battaglia, dalla vista dell’immagine del Cristo.

Il trasporto del crocifisso in Processione richiede una particolare tecnica, con un portatore che trasporta la croce, spesso dal peso superiore al quintale, sul cosiddetto crocco un robusto cinturone in cuoio, con un bicchiere, gotto, pure in cuoio dove viene inserita la base della croce. Il trasporto richiede soprattutto un grande senso dell’equilibrio, associato ovviamente ad una non comune forza. Quando il portatore vuole riposarsi e cambiare, chiama al cambio lo stramuo un confratello che prende il crocifisso con la sola forza delle braccia e lo trasporta ad un altro portatore, magari tenendolo alcuni istanti sollevato e facendo trillare i canti metallici con quel suono caratteristico che accompagna le nostre processioni.

Qualcuno parla di esibizionismo, ma non dimentichiamo che i nostri portatori di cristo sono gente semplice , che si sobbarcano processioni lunghe e faticose senza alcuna ricompensa se non l’applauso della gente o magari la cena a fine processione. In passato addirittura i portatori pagavano cifre considerevoli per aver l’onore di trasportare il cristo.
Anche se a volte non lo potrà sembrare, sono convinto che nel cuore di questi uomini esiste una fede, una fede semplice ma forte come la forza delle loro braccia.

Vediamo alcuni di questi crocifissi, partendo da quello più famoso, il Cristo che é un po' il simbolo delle Confraternite genovesi; parlo del cristo moro della Confraternita di S. Giacomo delle Fucine. Esso é uno dei primi esempi di crocifisso processionale portato dai confratelli nelle solennità, tradizionalmente e stilisticamente attribuito a Domenico Bissoni, e databile alla prima metà del Seicento. Il Cristo apparteneva alla Confraternita di S. Giacomo delle Fucine che aveva il proprio Oratorio nella zona delle Fucine in Portoria. L'oratorio fu distrutto nei primi anni Settanta del secolo scorso con la costruzione di via Roma e la Confraternita fu costretta a migrare in altre chiese di Genova per stabilirsi poi dove si trova oggi, nell'oratorio di S. Antonio Abate della Marina in piazza Sarzano e dove è appunto conservato il crocifisso, oggetto tra l'altro di un recente restauro ad opera del Laboratorio di San Donato. Il Bissoni con questo crocifisso porta la scultura lignea itinerante delle confraternite dal livello artigianale dei primi costruttori di casse cinquecenteschi ad un superiore livello qualitativo: si passa cioè dal bancalaro, il falegname vero e proprio, allo scultore che possiede adeguata preparazione tecnica e culturale.

L'impostazione monumentale di questa scultura, le sue perfette proporzioni anatomiche, le nobili forme classicheggianti del viso, forniscono una composta immagine nella immobilità della morte, immagine altamente suggestiva nella sua severa compostezza. Non c'è il dramma, ma solo la bellezza di un corpo che sappiamo divino. Pure la scelta del legno è volta ad impreziosire ancor più l'opera : un legno scuro di giuggiolo perfettamente lucidato. E sembra che tragga origine proprio da questa scultura l'usanza dei cristi mori diffusasi tra le confraternite nei secoli successivi.

E proprio di Gio Batta Gaggini da Bissone é il cristo della Confraternita di Prà, scolpito anch’esso nella prima metà del Seicento.
Un altro esempio di corredo processionale sono le vesti, le cappe con i tabarri. Dalla primitiva veste di canapa, di tela di sacco che portavano i penitenti di fine trecento, già nel cinquecento emergeva tra le confraternite un’esigenza di decoro nella sua manifestazione pubblica per eccellenza, la processione al punto che la stessa Repubblica Genovese tenta di frenare queste tendenze tra le confraternite. Sempre il decreto del 1530 impone che le vesti dei Confratelli non sieno recamate né arugate né abiano insigna alcuna di septa, ma siano solo di canavaso cioè di tela grezza.

Non servì questo decreto, se non inizialmente, e con il trionfo del barocco nella cultura italiana e genovese anche le vesti dei Confratelli si adeguarono. Purtroppo l’uso e la relativa delicatezza degli indumenti non hanno consentito una duratura conservazione di questo patrimonio di tessuti. Abbiamo comunque delle bellissime raffigurazioni in una serie di stampe pubblicate nel secolo scorso e conservate nell’Oratorio di S. Antonio Abate della Marina. Esse rappresentano tutto il corredo processionale delle Confraternite appartenenti alla Casaccia di S. Giacomo delle Fucine.

Ciò che comunque resta di questi sfarzosi corredi processionali é oggi conservato presso confraternite che acquistarono gli arredi al momento dell’estinzione delle storiche casacce genovesi. E’ il caso ad esempio dei tabarri e delle cappe della Confraternita del Suffragio di Recco che provengono dalla Confraternita di S. Giacomo delle Fucine: sui ricami del tabarro si può individuare l’espada simbolo iconografico di San Giacomo.

Ma ancora fra gli oggetti d'uso le nostre Confraternite possiedono un vero patrimonio anche negli oggetti liturgici in argento, che vanno dai calici, ai reliquiari, alle mazze pastorali. Mentre calici e reliquiari non sono arredi tipici delle sole confraternite, preferisco farvi vedere alcuni esempi di mazze pastorali, oggetti che caratterizzano il mondo delle confraternite. Esse sono costituite da un bastone in legno sul quale poggia la figura scolpita in legno o d'argento, del santo patrono o di altro santo cui la confraternita è particolarmente legata. Le mazze, ogni confraternita ne ha in genere due, sono il simbolo dell'autorità del Priore che nelle processioni portava queste mazze assieme al Sotto priore. Purtroppo le requisizioni del 1798 ed altri episodi di saccheggi subiti dagli oratori, hanno depauperato questo ricco patrimonio.

Le mazze pastorale appartenenti alla Confraternita di N.S. del Suffragio di Recco rappresentano una S. Martino che dona al povero il suo mantello, secondo la classica iconografia del Santo, l’altra la vergine del Suffragio. Risalgono alla prima metà del secolo scorso e sono marchiate con il punzone sabaudo costituito dalla croce coronata dell'Ordine Mauriziano. Gli argenti genovesi sino al 1824 erano marchiati con l'antico punzone della Torretta e solo dal 1824 esso venne sostituito appunto con il marchio sabaudo.

Un'altra coppia di mazze pastorali appartenente alla Confraternita di S. Chiara di Bogliasco e raffiguranti la santa patrona e S. Antonio Abate, è invece in legno argentato, e risale anch'essa ai primi decenni del secolo scorso.
Ma oltre al crocifisso, spesso nella processione della Confraternita, ha avuto una parte preponderante la cassa del Santo patrono.

Come già ho detto è col XVII e XVIII sec. che assistiamo alla creazione di quelle magnifiche casse processionali che, dalla semplice raffigurazione del santo sono passate alla teatralità della rappresentazione di un momento della vita del patrono. Molte di queste casse sono tutt’oggi conservate, magari non più nell’oratorio della Confraternita che a suo tempo la fece scolpire, ma in altri oratori dove sono giunte a seguito della chiusura delle confraternite cittadine.

E’ il caso ad esempio della cassa di S. Giovanni Battista oggi a Ovada, come quella raffigurante S. Antonio Abate che contempla la morte di S. Paolo Eremita conservata nell'omonimo oratorio di Mele e che risalgono ai primi decenni del Settecento. Entrambe opera di Anton Maria Maragliano.
La cassa di Mele, non solo a mio avviso, si può ritenere il capolavoro del Maragliano.

La scena rappresenta S. Antonio Abate che assiste con meraviglia e devozione alla morte serena di S. Paolo. Accanto a S. Antonio vi sono i due leoni che, secondo la leggenda, scavarono la fossa di S. Paolo e poi il porcellino tipico attributo di S. Antonio; in alto la gloria dell'anima di S. Paolo che abbandonato il corpo del Santo è trasportata in cielo dagli angeli. La colonna di nubi che sorge dalla roccia dove sta il corpo del S. Paolo morto e la figura di questo giovane che impersonifica l'anima del Santo sono realizzazioni tipiche delle sculture del Maragliano che certamente si servì di qualche disegno di Domenico Piola per realizzare questa scenografica opera. E' interessante a tal proposito un confronto con un dipinto del Piola raffigurante la Gloria di S. Giacomo e appartenente all'Oratorio di S. Giacomo alla Marina. L'anima di S. Giacomo che sale al cielo è certamente la stessa figura trasportata nelle scultura dell'anima di S. Paolo del Maragliano.

A proposito di questa cassa possiamo dire che la Confraternita l'acquistò nel 1874 per la somma di 1800 lire dell'epoca, dalla Confraternita di S. Antonio Abate de' Birri di Strada Giulia. Quest'ultima era oramai ridotta allo stremo e con la costruzione dell'odierna via XX Settembre era destinata a perdere la propria sede.
A dire il vero alcuni anni dopo, nel 1903 per l'esattezza, la Confraternita dei Birri impugnò la vendita cercando con ogni mezzo legale di riavere il capolavoro del Maragliano; ma dopo una lunga vertenza conclusasi nel 1910 ne venne ratificato l'acquisto da parte dell'Oratorio di Mele, che dovette tuttavia versare ancora 4000 lire alla confraternita genovese.

A titolo di curiosità val la pena osservare i particolari della base della cassa che è completamente decorata con figure di animaletti o di vegetali, quasi a dare una continuità all'azione scenica che si svolge nel deserto. La base della cassa fu realizzata da un artigiano di Mele Tommaso Parodi agli inizi di questo secolo.
Per concludere un piccolo esempio tra i semplici oggetti della vita di confraternita: lo stampo per le focacce.
L'uso di distribuire in occasione della festa del Santo titolare, le focacce con impressa l'immagine del patrono è certamente antichissimo rifacendosi forse a culti precristiani o a riti arcaici delle antiche civiltà contadine.

La focaccia veniva distribuito ai confratelli e in taluni oratori anche ai poveri ed a chiunque partecipasse alla festa. Spesso, come nel caso di S. Antonio, essa veniva conservata nelle stalle o data in cibo agli stessi animali come pegno della benedizione del santo.
Un piccolo stampo in legno appartiene alla Confraternita di S. Antonio Abate di Mele, che per la festa del patrono distribuisce un pane fatto a ciambella intrecciata sulla quale con questo stampo viene impressa l'effigie di S. Antonio.

Mi auguro che questo breve contributo che ho presentato questa sera possa essere servito a suscitare interesse per questo mondo delle Confraternite, un mondo che penso abbia ancora molto da dire alla nostra società contemporanea, sia ai credenti, per il suo immenso patrimonio spirituale, sia a chi non crede ma può comunque valutare ed apprezzare il patrimonio artistico dei nostri oratori.