UN DONO PER LA CHIESA E PER IL MONDO

Personalità eminente e impegni precoci

La vicenda di Mons. de Brésillac, conclusa a Freetown, merita di essere conosciuta e valutata con molta attenzione, con vero e libero spirito critico e con amore.
Nei numerosi scritti su di lui, si nota che quelli che lo hanno meglio capito sono coloro che avevano una certa conoscenza delle vicende della storia, della vita spirituale, della missione e della missiologia e che, senza indulgere in lodi formali o al culto della personalità, sapevano riconoscere grande ciò che è grande, difficile ciò che è difficile, eroico ciò che è eroico.
Mons. de Brésillac era un uomo di grandi qualità umane, alcune eccezionali. Ne accenniamo alcune. La sua intelligenza unita ad una straordinaria capacità d'analisi, un grande interesse verso tutto, una lucidità senza timori nel valutare il presente e nell'anticipare l'avvenire, un'onestà ed una rettitudine di pensiero e di comportamento incrollabili, una forte sensibilità unita all'irruenza tipica della gente da cui proveniva, una notevole finezza d'animo, il coraggio che non lo faceva desistere davanti a nessun rischio, la capacità di sacrificarsi per il bene comune, la franchezza poco comune. Il tutto sostenuto da una vasta cultura nelle scienze umane ed ecclesiastiche.
Furono proprio le sue qualità a metterlo subito in evidenza. Per questo si trovò, giovanissimo, con impegni di grande difficoltà e complessità. Essi lo esposero molto presto ai rischi e a commettere degli sbagli, soprattutto sui modi e sui tempi usati per presentare e realizzare le proprie idee. Per quanto riguarda le vicende indiane, egli afferma in proposito: “Non posso impedirmi di sperare che un giorno si riconoscerà che ho avuto la sfortuna di esprimere male delle cose vere”.
Le importanti funzioni cui fu chiamato lo obbligarono presto a dover discernere, a prendersi dei tempi di ritiro per capire meglio, cercando il vero bene per sé e per gli altri. Ricordiamo quando, ancora studente, deve fare il professore nel seminario di Carcassonne. Pensiamo a quando gli è chiesto di diventare il superiore di seminario a Pondicherry e a quando, a soli 32 anni, è nominato vescovo, con tutte le implicazioni del caso. Ricordiamo, infine, il grave problema delle dimissioni da vicario apostolico di Coimbatore affrontato con un doloroso dibattito interiore di oltre cinque anni.

Punti salienti di un'esperienza spirituale

Gesù Cristo al centro di tutto
In questo quadro umano s'inserisce il contributo della grazia di Dio. Oltre a quanto di spirituale abbiamo già presentato nel concreto della vita del nostro Fondatore, possiamo aggiungere che in lui tutto è messo al servizio del Signore Gesù e della sua missione. Egli è un appassionato di Cristo e per questo è un appassionato della sua missione.
Tutta la missione è concepita e condotta da lui come espressione del mistero di Cristo incarnato, morto e risorto. L'adattamento del missionario, la sua inculturazione come si direbbe oggi, trae senso, luce e forza dall'Incarnazione del Verbo di Dio.
La sofferenza, il sacrificio della missione guarda continuamente al mistero della Croce, alla “divina filosofia della croce” come egli diceva. Lo zelo del missionario, il suo dedicarsi agli altri si ispirano ogni giorno al dono di Cristo al mondo.
La consolazione e la gioia della missione e dei suoi frutti vengono dal mistero della risurrezione di Cristo e dalla gloria di Dio che si manifesta nel mondo. Egli diceva ai missionari: "Io vi propongo e propongo a me stesso di tenerci costantemente uniti a Gesù con un dolce e continuo incontro con Lui nella perfetta disponibilità ad ascoltare la sua Parola e a metterla in pratica"(RM,16).
Una vita intera per “l'opera di Dio”
Nella sua vita, Mons. de Brésillac si sente un uomo chiamato da Dio, strumento per la sua gloria nel mondo. Per questo agisce, parla, soffre, si offre, s'impegna al massimo delle sue possibilità, non tenendo niente per sé. Proprio perché si sente chiamato, egli cerca di conoscere quello che deve compiere, usando i mezzi necessari per discernere la volontà del Signore.
Nella missione egli cerca quello che vuole il Signore. Ad una vocazione missionaria egli dà una risposta missionaria, intelligente, coraggiosa e totale. “Essere missionario dal profondo del cuore”, era stato il suo primo proposito partendo in missione.
Egli dice ai missionari: “Bisogna che siamo nell'opera di Dio, occorre che vi siamo tutti completamente, che vi siamo immersi, che siamo come identificati in essa, come consumati nel suo compimento”(R.M., 35). Poco prima aveva affermato: “Noi missionari non siamo liberi di non fare continuamente l'opera di Dio”(id.). Nella stessa occasione ricorda ai missionari quanto tempo si perde nell'opera di Dio seguendo la propria volontà invece di quella del Signore.
“O Chiesa, madre mia”
Il nostro Fondatore ha un forte senso della Chiesa, un grande amore per essa, agisce sempre in suo nome e lo prova anche a pochi momenti dalla morte, quando dice al padre Reymond, se supererà la malattia, di avvertire la Congregazione di Propaganda per tutto quello che è successo.
Il consistente carteggio con l'autorità pontificia, gli incontri con il Papa e con i responsabili di Propaganda Fide mostrano in lui una visione della Chiesa che è quella del suo tempo, ma anche quella di qualcuno che l'ascolta e si confronta con essa in un modo onesto, coerente, propositivo, assolutamente disinteressato.
Diventato vescovo, Mons. de Brésillac, ha curato molto le relazioni con gli altri vicari apostolici con incontri, scrivendo, sollecitando il confronto sui temi più urgenti della missione.
Nel suo vicariato proponeva incontri con i missionari. Quelli che avevano buona volontà e accettavano la sua autorità potevano esprimersi con lui, senza pretendere però di avere l'ultima parola. Per gli altri, egli doveva praticare una logorante pazienza. Neanche tre anni dopo la sua partenza, il 6 maggio 1856, Mons. Bonnand, incaricato di amministrare il vicariato di Coimbatore scrive a Parigi: “La buona metà dei missionari di Coimbatore dovranno, per il bene della missione, lasciarla al più presto perché non vogliono per niente piegarsi alle esigenze del luogo e delle circostanze”.
Per il vescovo de Brésillac, l'impegno per il clero locale doveva servire per lo sviluppo di una Chiesa veramente locale, con vescovi e sacerdoti autoctoni in grado di gestirsi da ogni punto di vista.
Iniziando i suoi “Pensieri sulle missioni” aveva scritto:
O Chiesa, madre mia! Santa Chiesa cattolica, apostolica, romana, sola vera Chiesa di Gesù Cristo!
Dai più teneri anni della mia vita, tu fosti l'oggetto più caro dei miei pensieri; le brucianti passioni della mia adolescenza cedettero all'unica passione di amarti e di consacrarmi al tuo onore, alla tua gloria. Che l'età matura non ceda alla primavera della mia vita! Sii sino alla fine l'unico movente della mia ambizione sulla terra che vorrei vedere tutta intera sottomessa a te. Per la maggior parte essa non conosce ancora quanto è dolce obbedirti.

Il dono continua e porta frutto

“La fede, la speranza, la carità”, le parole del Fondatore morente accompagnano la terribile notizia che da Freetown giunge il 20 agosto a Lione, dove è rimasto il “piccolo resto” della SMA, il padre Planque, due altri sacerdoti, quattro seminaristi e due fratelli. E' un gran dolore. Ma esso si traduce in una risposta di fede, di speranza e d'amore. La piccola comunità l'esprime subito quando discute, attorno al padre Planque, su cosa fare. A lui Mons. de Brésillac, partendo, aveva conferito i poteri e i mezzi necessari. Si decide che l'opera deve continuare, se l'autorità pontificia è d'accordo.
Il 26 agosto, padre Planque scrive a Roma, alla Congregazione di Propaganda, raccontando l'accaduto e presentando le intenzioni della comunità. E' importante questa affermazione: “Mons. de Brésillac ha lavorato a rendersi non indispensabile. La nostra Società è costituita in modo tale che la sua esistenza non è realmente subordinata a lui. Essa può sostenersi senza di lui”. In settembre, padre Planque giunge a Roma. Il papa Pio IX accoglie con gioia l'intenzione della comunità di continuare: “Dio sia benedetto! L'opera vivrà, sì, vivrà”, egli dice nell'udienza al nuovo superiore della SMA. Anche il cardinale Barnabò è contento della volontà di continuare espressa dai confratelli di Lione e offre loro tutto il suo aiuto.
Così a Lione si riprende ogni attività in vista della missione in Africa. La Sierra Leone ritorna sotto la giurisdizione dei padri spiritani e alla SMA è affidato il Dahomey, che il Fondatore aveva tanto desiderato. Esso comprende un territorio molto vasto, dal fiume Volta fino al fiume Niger.
Il vicariato apostolico del Dahomey è eretto il 28 agosto 1860 e, il 2 dicembre dello stesso anno, il padre Borghero è nominato superiore ad interim di tale missione. Dopo essersi imbarcato a Tolone il 5 gennaio 1861, egli giunge a destinazione, insieme al padre Fernandez, spagnolo, il successivo 18 aprile.
Dopo di allora, molti missionari della SMA si succedono fino ad oggi nei vari paesi del Golfo di Guinea, contribuendo alla nascita e allo sviluppo delle Chiese presenti nella regione.
Nel 1868 essi si stabiliscono nell'attuale Nigeria. Nel 1877, in Egitto. Nel 1880 nel Ghana. Nel 1895 in Costa d'Avorio. Nel 1906 in Liberia. Nel 1918, in Togo e nel 1931 in Niger. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1952, i missionari della SMA giungono nel Congo-Zaire. Nel 1973, nello Zambia. Nel 1977, nella Repubblica Centrafricana e nella Tanzania. Nel 1984 si aggiunge l'Africa del Sud, dove essi erano già stati tra il 1873 e il 1882. Nel 1989, il Kenya e nel 1998 l'Angola e il Marocco. Questi dati, anche se espressi in poche righe, sono però indicativi dell'impegno costante della SMA per l'annuncio del Vangelo in Africa, la creazione di comunità cristiane locali e la promozione umana delle popolazioni.
Esso ha richiesto un prezzo altissimo in termini di vite umane. Il dono dei primi missionari di Freetown è stato seguito da un gran numero di vite spezzate dal clima e dalle malattie tropicali. Tra il 1859 e il 1914 ben 151 missionari muoiono in Africa. Parecchi senza neanche avervi trascorso un anno.
Solo la fede, la speranza e la carità potevano spingere dei giovani missionari a lasciare Lione per raggiungere l'Africa, quando ogni anno era comunicata loro la morte di tanti amici che li avevano preceduti.
Fino ad oggi, sono circa 4.000 i missionari che hanno fatto parte della SMA. L'Istituto si è sviluppato nel tempo, aperto a candidati provenienti da diversi paesi e continenti.
Vari gruppi si sono costituiti al suo interno. Così l'Irlanda nel 1912, l'Olanda nel 1923, le due provincie di Francia nel 1927, gli USA nel 1941, la Gran Bretagna, il Canada, la Spagna e l'Italia nel 1968. Ad essi si aggiungono, in anni più recenti, nuovi gruppi costituiti in Argentina, in Polonia, in Africa, in India e nelle Filippine.
Inoltre, si delinea sempre di più il movimento di ritorno della missione. Ci sono, infatti, missionari SMA africani per l'Africa, come pure argentini, indiani, filippini. C'è il primo missionario SMA indiano della diocesi di Coimbatore che è stato ordinato sacerdote quest'anno. Le vie di Dio sono veramente infinite!
Il sacrificio di Freetown ha prodotto molto frutto. Esso è stato molto fecondo e tale fecondità si sviluppa tuttora con gli attuali 1.000 missionari della SMA presenti nel mondo e con gli oltre 200 studenti che, nelle case di formazione, si preparano a continuare il cammino per la missione, iniziato l'8 dicembre 1856. Un cammino intessuto, come sempre, d'evangelizzazione, d'impegno per la costituzione di comunità cristiane, di promozione umana, d'interventi per la costruzione della pace e la difesa della giustizia.

La missione di fondatore

A questo punto, occorre aggiungere che il procedere della SMA nel tempo ha bisogno dell'aiuto del suo Fondatore anche attraverso lo sviluppo del carisma che gli è proprio. La sua vita e la sua morte non sono solo un fatto storico. Sono un evento di grazia nelle mani di Dio per la missione di Cristo nel mondo. Occorre conoscerlo, valorizzarlo, farlo riconoscere anche ai livelli più qualificati e autorevoli della Chiesa
Ogni fondatore ha una missione da compiere nella propria comunità, anche quando ha terminato la sua vita terrena. Sta ai suoi discepoli permettergli di compierla. Inoltre il dono che egli è stato non è limitato alla sua famiglia spirituale, ma si estende a tutta la Chiesa.
In un documento pontificio del 1978 si afferma che il carisma dei fondatori “si rivela come un'esperienza dello Spirito, trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il corpo di Cristo in perenne crescita”(“Mutuae relationes”, 11).
Nei “Souvenirs”, mentre riassume una lettera del suo amico padre Luquet, Mons. de Brésillac (siamo nel 1843 ed egli è in India) presenta questa opinione: “Quando Dio suscita un uomo per fondare una nuova opera realmente utile alla Chiesa, normalmente riassume in lui quanto deve in seguito generare lo sviluppo e la vita di quest'opera”(SDM, 317).
La missione odierna esige dai suoi operatori, a tutti i livelli, non solo un impegno di generosità, di coraggio, di perseveranza ma anche una risposta “professionalmente” seria alle varie e sempre nuove esigenze che si manifestano. Il bene va fatto bene. Per questo, come si fa in ogni campo dell'agire umano, per non perdere tempo prezioso, occorre anche saper coniugare le esigenze e le sfide del presente con gli insegnamenti teorici e pratici delle esperienze passate. In questo senso l'esperienza ricca e multiforme del nostro Fondatore può essere benefica alla SMA e alla missione della Chiesa.

La santità e i Santi

Inoltre per i missionari, come per tutti i cristiani, si impone con estrema urgenza l'impegno di rispondere alla chiamata alla santità. Ciò per essere un vero dono per la vita del mondo, tanto più fecondo quanto più generosa è la risposta di ciascuno al piano di Dio.
Nell'enciclica sulla missione di Cristo, il papa Giovanni Paolo II afferma in proposito: "La chiamata alla missione deriva di per sé dalla chiamata alla santità. Ogni missionario è autenticamente tale solo se s'impegna nella via della santità…La rinnovata spinta verso la missione “ad gentes” esige missionari santi. Non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo “ardore di santità” fra i missionari e in tutta la comunità cristiana, in particolare tra coloro che sono i più stretti collaboratori dei missionari”(Redemptoris Missio, 90).
Mons. de Brésillac è sempre stato attento ai Santi e interessato a conoscere i loro insegnamenti ed esempi. Li pregava spesso perché lo aiutassero nella sua non facile vita missionaria. Diceva ai missionari:
Interroghiamo dunque coloro che, dopo Gesù Cristo, sono diventati nostri modelli. Tutto in loro vi assicura che, anche su questa terra, erano felici. Leggiamo le loro opere, consideriamo la loro corrispondenza intima, contempliamo i tratti che la pietà ci ha conservato del loro viso che respirava la calma e la pace. Risaliamo da quelli che hanno illustrato la nostra epoca a quelli che seguirono immediatamente i tempi del Signore e degli apostoli: hanno tutti e sempre lo stesso linguaggio. Essi furono felici in tempo di pace e in mezzo alle persecuzioni, felici nelle attività più penose, felici nella solitudine e nei deserti, felici in mezzo alle privazioni estreme, felici nei dolori dell'anima e del corpo e talmente felici che non avrebbero cambiato la loro felicità con tutti i tesori dell'universo(RM, 195-196).

La sfida di una "causa"

E' soltanto nel 1989 che la SMA ha deciso di compiere i passi necessari per introdurre la Causa di beatificazione e di canonizzazione del suo Fondatore. Prima di allora, nessuno ha mai pensato che Mons. de Brésillac non fosse in cielo presso il Signore. La sua morte è stata sempre considerata come un sacrificio eroico per la missione del Signore. Bisognava però compiere un passo ulteriore affinché il dono che rappresenta la sua vita e il suo insegnamento potesse essere non solo conosciuto ma anche riconosciuto dalla Chiesa per il bene di tutto il popolo di Dio. Anche questo è missione.
Nello stesso tempo, le esigenze procedurali della Causa sono uno stimolo per la SMA a conoscere meglio il tesoro, troppo nascosto, di chi è stato alla sua origine. Vi è la ricerca degli scritti del Fondatore e su di lui. Vi è l'ascolto delle testimonianze di quanti hanno sentito parlare di lui e visto agire attraverso i membri della sua comunità. Vi sono lo studio, la meditazione dei vari testi e i confronti con le necessarie attualizzazioni. Tutto ciò costituisce un materiale prezioso per la nostra comunità. Esso può aiutarla a rispondere con la santità alle sfide missionarie dell'inizio del XXI secolo.
Nel suo libro su san Nicola di Flue, il cardinale Journet ha scritto: “I Santi ci sono offerti da Dio come tante parole di carne, di cui ciascuna è traboccante di senso. Non si possono ascoltare senza consentirvi, né senza augurarsi d'essere migliori. Non siamo noi che ci serviamo di loro. Sono loro che ci rapiscono e che, a volte, conducono l'uno o l'altro di noi dove non pensava”.