IL DISCERNIMENTO CONTINUA

Missionario sempre

Nel silenzio del convento di Versailles, Mons. de Brésillac rivede la sua vita, le scelte compiute, si pone delle domande, si chiede soprattutto se ha sbagliato. Pur soffrendo, nel suo cuore c'è una pace profonda. Nello stesso tempo, si sente sempre missionario. Aveva scritto: “Signore, Tu mi hai fatto missionario... e nelle missioni, mi hai esposto a trattare le questioni più difficili che esse possono offrire. Ah! Tu sai quanto ne ho sofferto e quanto ne soffro ancora. E' dunque la croce che Tu hai scelto per me?”(SDM, 780).
Il 26 maggio 1855, dopo due mesi dalla notizia che le dimissioni sono state accolte, egli scrive a Mons. Barnabò, segretario di Propaganda Fide per fargli sapere che intende continuare ad essere missionario. Gli chiede di dire al Papa che offre la vita per qualsiasi altro luogo della terra dove, senza disturbare nessuno, possa essere missionario. E aggiunge: “Se il carattere episcopale di cui sono rivestito è un impedimento a lavorare in una missione già esistente, non c'è un altro luogo nel mondo dove i missionari non hanno ancora portato i loro passi? Per esempio nel centro dell'Africa? Ecco, Monsignore, quanto le chiedo di domandare al Santo Padre per me: o una qualunque missione secondo il suo desiderio, o l'autorizzazione di andare a tentare una missione nell'interno dell'Africa, dove i missionari dei vicariati apostolici esistenti non sono ancora penetrati”.
Mons. de Brésillac si rende conto che può incontrare grandi difficoltà e nella stessa lettera aggiunge: ”Ma tutto è possibile a Dio e noi mettiamo in Lui ogni nostra speranza. Il mio desiderio sarebbe quello di gettarmi come un cieco tra le braccia della Divina Provvidenza e di andare assolutamente alla maniera degli apostoli, senza incertezze, verso questi popoli, sia solo, sia con uno o due compagni, se ne trovo che vogliano seguirmi in una via dove, naturalmente, troveremo presto la morte e poi il Cielo”.

Il confronto necessario

Mons. Barnabò risponde (9 giugno 1855) facendogli capire che è bene continuare a riflettere. Troppo poco tempo è trascorso dalla rinuncia al vicariato di Coimbatore. Il 23 giugno seguente, il vescovo de Brésillac scrive affermando che le sue intenzioni sono rette e pure, che l'amore per la missione lo aveva concentrato su quella che gli era stata affidata.
La separazione avvenuta gli causa un grande dolore. Questo però non significa rinuncia alla vocazione missionaria: la scelta dell'Africa gli permette di restarvi fedele. Aggiunge che, con la benedizione del Santo Padre, andrebbe nella missione di Guinea, dopo aver chiesto le necessarie informazioni.
Il 7 luglio, il segretario di Propaganda risponde. Egli afferma che il Papa, rimasto sorpreso della sua richiesta, vede le difficoltà di una missione in Africa. Comunque loda il suo zelo, senza pronunciarsi sul progetto.
Il 16 luglio, Mons. de Brésillac scrive ancora a Mons. Barnabò, per nulla scoraggiato (non aveva scritto varie volte al suo vescovo di Carcassonne per partire in missione?). Egli risponde alle varie obiezioni, riaffermando l'intenzione di fare tutto secondo le indicazioni di Propaganda Fide.
Nel mese di ottobre, egli lascia il convento di Versailles per trascorrere qualche settimana in famiglia a Castelnaudary. Avverte Mons. Barnabò che per dicembre sarà a Roma.

Il progetto per l'Africa

Mentre era a Versailles, aveva preso contatto con un armatore di Marsiglia, un certo Régis, che, per i suoi commerci, frequentava gli scali marittimi del Golfo di Guinea. Egli parla a lungo con lui, nota il suo desiderio di una presenza di missionari cattolici in quelle zone e così, per realizzare il suo progetto missionario, si orienta verso il territorio del Dahomey, l'attuale Benin.
Giunto a Roma il 4 gennaio 1856, Mons. de Brésillac presenta alla Congregazione di Propaganda Fide il “Rapporto riguardo ad una nuova missione da creare nel Regno del Dahomey”. E' un testo importante per conoscere i termini della sua scelta per Africa.
Il testo inizia con il ricordo di quanto egli ha già affermato in varie lettere riguardo alla conclusione del suo impegno missionario in India, quando “si credette obbligato a dare le dimissioni”. Non aveva compiuto quel passo per disgusto dell'opera missionaria, né per il desiderio di riposarsi.
Ora, dice, “giovane e pieno di forze, desidero continuare a lavorare nella vigna del Signore”.
Inoltre egli ricorda che a Versailles era andato per riflettere su come rendersi ancora utile alle missioni. Vi aveva deciso di chiedere al Santo Padre di permettergli “di penetrare, anche solo, se non trovavo dei compagni, in qualcuno dei luoghi dove per la forza delle circostanze o delle difficoltà, non ci sono in questo momento operai evangelici”.
Poi Mons. de Brésillac presenta l'incontro avuto con l'armatore Régis e le informazioni ricevute sul regno del Dahomey, sulla buona disponibilità del re e la possibilità di essere accolti. Egli sa che tutta la zona del golfo di Guinea è sotto la giurisdizione dei missionari dello Spirito Santo e del Cuore Immacolato di Maria, chiamati Spiritani. Essi però, avendo perso vari missionari a causa delle malattie tropicali, non sono stati in grado di provvedere al regno del Dahomey. Il vicariato di cui sono incaricati comprende un territorio immenso ed essi saranno ben contenti, egli pensa, se altri verranno ad aiutarli.
All'obiezione che una nuova e difficile missione dovrebbe essere affidata ad una congregazione consistente, mentre egli è solo, il nostro vescovo missionario risponde che, per iniziare, basterebbe “un vescovo, accompagnato da due missionari solidi, o al massimo tre, con uno o due fratelli cooperatori”.
Per le spese, egli dice, Propaganda Fide potrebbe fare un piccolo sacrificio. Poi esiste in Francia l'Opera della Propagazione della Fede che, una volta riconosciuta la nuova missione, verrebbe certamente in soccorso.
Detto questo, egli si domanda se non si potrebbe creare una missione distinta nel regno del Dahomey e se non si potrebbe accettare la sua offerta di andarvi per “piantare la fede”.