VERSO LA SIERRA LEONE

La Sierra Leone invece del Dahomey

Mentre percorre la Francia in visita alle varie diocesi, Mons. de Brésillac mantiene i contatti con Propaganda Fide. Egli ha bisogno urgente che essa affidi ufficialmente alla SMA una missione in Africa. Questa è la condizione per ricevere riconoscimento ed aiuto materiale consistente dall'Opera della Propagazione della Fede che ha sede a Parigi e a Lione.
Il Fondatore ha approfondito la conoscenza del Dahomey e, mentre scrive a Roma sui notevoli progressi della sua opera in Francia, chiede che si giunga presto a una decisione riguardo al territorio in questione.
Propaganda Fide risponde il 12 settembre 1857 con una decisione importante. Essa comunica che, per quel momento, non è possibile istituire una missione nel Dahomey. Viene però offerta alla SMA la missione della Sierra Leone con un vasto territorio che comprende gli stati attuali della Sierra Leone e della Liberia.
Per il nostro Fondatore si tratta di una sorpresa amara. Essa non andava nel senso dei suoi desideri e anche delle conoscenze acquisite. Il Dahomey era considerato un luogo selvaggio e fino allora trascurato e per questo lo prediligeva. Ma egli amava obbedire. Per lui i desideri dell'autorità pontificia erano degli ordini e voleva che la nuova comunità iniziasse il cammino in Africa con un atto di obbedienza.
E così fu. In questi termini, il 26 settembre, scrive a Roma alla Propaganda, dichiarando di voler “entrare puramente e semplicemente nel pensiero della Sacra Congregazione di Propaganda. Noi accetteremo quindi con gioia la missione di Sierra Leone”.
La decisione romana era stata determinata soprattutto da informazioni che facevano ritenere il Dahomey troppo pericoloso. In Sierra Leone vi era una maggiore sicurezza e da tempo occorreva inviare missionari cattolici per fronteggiare la massiccia presenza dei protestanti. Ma Mons. de Brésillac, già esperto dell'India, dice chiaramente che in quel territorio troverà anche tutte le miserie delle colonie europee e, in particolare, di quelle inglesi.

Di nuovo vicario Apostolico

Il 21 marzo 1858, Mons. de Brésillac è nominato vicario apostolico della Sierra Leone con sede a Freetown. Si tratta di una colonia inglese con un governatore inglese. La popolazione è di origine molto varia perché è a Freetown che sono distrutte, dopo la cattura, le navi cariche di schiavi. Una volta liberati, essi rimangono nella regione.
Il nostro Fondatore vuole avere informazioni precise sul suo vicariato. Moltiplica i contatti con i missionari spiritani. Insieme al padre Planque, va a Roma dove giunge il 2 giugno. Riceve i documenti ufficiali per il vicariato e pianifica le prime partenze di missionari per la fine dello stesso anno 1858. Saranno tre a partire: due sacerdoti, i padri Reymond e Bresson e un fratello, Reynaud.
Mentre è a Roma, accoglie nella SMA padre Francesco Borghero, sacerdote italiano di 28 anni, nativo di Ronco Scrivia, nella diocesi di Genova. Il 3 luglio, Mons. de Brésillac, insieme ai padri Planque e Borghero, lascia Roma e s'imbarca a Civitavecchia per la Francia.
Il 24 luglio, il Fondatore, quattro sacerdoti (Planque, Reymond, Riocreux, Bresson) e due fratelli (Guillet, Reynaud) emettono la risoluzione solenne di lavorare per tutta la vita nell'opera delle Missioni Africane.
Il 24 luglio è pure la data per la seconda edizione degli “Articoli Fondamentali” che costituiranno la base del Regolamento della Missioni Africane. Il testo riprende quanto scritto nell'edizione del 1856 e vi aggiunge un certo numero d'indicazioni e norme di carattere giuridico e amministrativo. Si afferma che la sede della Società è a Lione e che, come membri, si accettano candidati di tutte le nazioni purché siano idonei, di buona condotta e diano segni di vocazione alla vita apostolica.

Le prime partenze per l'Africa

I mesi successivi sono occupati dalla preparazione della partenza dei primi missionari per l'Africa. Il 28 ottobre, Mons. de Brésillac e i tre partenti giungono a Marsiglia. Soggiornano presso i Cappuccini. Il 30, essi vanno in pellegrinaggio al santuario di Nostra Signora della Guardia. Il 4 novembre, secondo il diario del Fondatore, i tre missionari s'imbarcano sulla “Express”.
Il vicario apostolico di Sierra Leone vuole però conoscere il suo territorio il più presto possibile e prepara quindi la partenza di un secondo gruppo di cui egli farà parte. Per il buon inizio della missione egli ritiene necessaria la presenza del suo capo.
Il 1° gennaio 1859, mentre si trova a Parigi, scrive al padre Planque per porgergli gli auguri di buon anno e, pensando all'avvenire che gli si presenta, afferma: “(Dio) solo sa quante pene e difficoltà mi attendono quest'anno. Mi sembra però che, con la sua grazia, sono pronto a soffrire le prove della tempesta fisica e morale e, se il mare e i suoi scogli vogliono che quest'anno sia per me l'ultimo, ci sarà lei perché l'opera non faccia naufragio”.
In gennaio Mons. de Brésillac è a Parigi: prepara la partenza per l'Africa e tiene incontri per presentare la sua opera. Dal 22 al 28 va in Belgio per far conoscere la S.M.A. nei seminari. Ritorna a Lione il 2 febbraio. La partenza è prossima. La nave “Danaé”, prevista per il viaggio, è disponibile nel porto di Brest per la fine di febbraio.

Sulla "terra tanto desolata"

Il nostro vicario apostolico, il padre Riocreux e il fratello Monnoyeur lasciano Lione il 19 febbraio. Giungono a Brest il 22. Vi rimangono fino al 10 marzo, quando s'imbarcano sulla nave che parte il giorno dopo, ma incontra subito una tempesta che la danneggia. Così essa ritorna nel porto francese di Cherbourg per le riparazioni. Può ripartire solo il 23 marzo.
Il 7 aprile, essa giunge nella rada dell'isola di Gorea, situata davanti alla città Dakar, dove i missionari della SMA giungono accolti con molta cordialità dal vescovo Mons. Kobès e dai missionari spiritani. Rimangono in zona circa un mese perché la nave non può ripartire.
Mentre trascorre i primi giorni in terra d'Africa, il nostro Fondatore vede quanto i missionari stanno facendo e come conducono le loro attività. E' preoccupato dalle informazioni che riceve sul costo della vita a Freetown, considerato molto alto. Vorrebbe presentarsi in un modo dignitoso, con la costruzione di una missione e di qualche scuola, ma non ne ha i mezzi.
Egli conta anche sulla futura collaborazione di suore. Ha parlato e scritto varie volte in proposito. Si è da poco rivolto alla superiora di una congregazione di Castres, in Francia, per chiederle se poteva inviare delle religiose già nell'anno in corso.
L'11 maggio, il viaggio riprende e Mons. de Brésillac può scrivere: “Il sabato 14, alzandoci, vediamo le montagne della Sierra Leone, giungiamo in rada verso mezzogiorno…Prima delle tre, i nostri cari confratelli, i padri Reymond, Bresson e il fratello Eugène salgono a bordo e li possiamo abbracciare. Alle quattro, tocchiamo questa terra ormai teatro del nostro zelo, terra tanto desolata sotto tutti gli aspetti”(Journal 1856-59, 100-101).
I missionari della prima spedizione erano giunti in Sierra Leone il 12 gennaio, dopo un mese di viaggio. Il padre Reymond, responsabile del gruppo, aveva scritto a Lione una lunga lettera descrivendo le varie vicende sia del viaggio sia del loro inserimento a Freetown. Erano stati accolti molto bene dalle autorità. La gente era interessata e ben disposta. Molti venivano a visitarli nella casa dove risiedevano.
Egli afferma che Freetown ha 40.000 abitanti e scrive: “La popolazione della colonia è composta d'individui d'ogni razza e d'ogni lingua…Ci sono persone del Dahomey, di Popo, d'Ibo, di Loando, di Caraba, dei Soo Soo, dei Temené, degli Ashanti, dei Congo” (Lettera del 18.2.1859). Il padre Reymond improvvisa un piccolo ambulatorio, molto frequentato, per curare i malati.

"Un'epidemia terribile"

Sull'arrivo a Freetown, Mons. de Brésillac scrive: “Il clima sempre così cattivo della Sierra Leone sembrava in quel momento raddoppiare di cattiveria…gli Europei morivano come mosche”. I pochi cattolici sono decimati. Mentre un'epidemia di febbre gialla imperversa, i missionari si dedicano alla cura dei malati. Si fanno benvolere, pur nel tempo brevissimo della loro presenza e nella difficoltà della situazione. Il console di Francia in Sierra Leone scriverà in proposito: “Appena aperta, la loro casa era diventata il rifugio dei poveri che potevano trovare nei Padri la consolazione che essi soli potevano dare, tanto per le sofferenze dell'animo che per le malattie del corpo”.
Anche i missionari però cominciano ad ammalarsi. Inizia il mese di giugno. Il giorno due, festa dell'Ascensione, muore il padre Riocreux. Mons. de Brésillac ne è molto colpito e scrive nel suo diario: “I decreti di Dio sono impenetrabili, adoriamoli in silenzio, con il cuore spezzato”.
Il 5 giugno, muore padre Bresson per una malattia d'origine non tropicale. Nel diario, il Fondatore scrive: “E' un nuovo colpo di fulmine che mi lascia inconsolabile, ma con la grazia di Dio resto sottomesso alla sua volontà senza comprenderla”. Sono le ultime parole del suo “Journal”.
Il 12 giugno, egli scrive alla signora Blanchet, scusandosi di essere in ritardo e aggiunge: “Se non ho scritto il mese scorso, è perché non riuscivo a reagire ad un'impressione delle più penose, senza conoscerne la ragione. Era la conseguenza di un viaggio lungo e triste? Era il presentimento delle disgrazie che mi aspettavano? Niente me lo faceva presumere. Noi stavamo perfettamente e anche se una terribile epidemia regnava sulla città, eravamo pieni di fiducia. Speravamo che il buon Dio non ci avesse difeso da pericoli così grandi per chiamarci a lui con la malattia, prima di aver fatto qualcosa per la sua gloria”.

La tragedia si compie

Mentre scrive, altri confratelli sono malati. Egli stesso è colpito dall'epidemia. Poi ha un miglioramento. Ne approfitta per rendere visita agli ufficiali e ai membri dell'equipaggio di una nave francese, tra i quali vi sono dei malati. Il 18 giugno, scrivendo al padre Planque afferma: “Che il santo nome di Dio sia benedetto! Le sue vie sono impenetrabili, adoriamole e sottomettiamoci”. Lo stesso giorno muore il fratello Monnoyeur e l'altro fratello, Reynaud, è imbarcato su una nave perché rientri in Francia.
Poi le condizioni di Mons. de Brésillac peggiorano. Chi lo visita si accorge che ha il presentimento della propria fine. Anche l'ultimo confratello, il padre Reymond, è malato.
Il pensiero che fa maggiormente soffrire il Fondatore è il timore della fine dell'opera delle Missioni Africane. Mentre qualche giorno prima, quando stava meglio, progettava una visita nel Dahomey.
Egli soffre anche perché si sente responsabile della fine dei suoi confratelli. Inoltre, in quei momenti di doloroso discernimento, gli pesa la freddezza che gli è sembrato di notare nei suoi confronti da parte di Propaganda durante l'ultima visita a Roma. A questo proposito, nell'ultima lettera al cardinale Barnabò, del 25 maggio, egli, da poco giunto a Freetown, scrive sull'avvenire della sua congregazione. Essa potrà servire allo scopo per cui è nata, egli afferma, se riceverà forti incoraggiamenti da parte della Santa Sede, se sarà l'oggetto della sua tenera sollecitudine. E aggiunge: “Forse sono io personalmente la causa di una specie di freddezza che ho creduto di notare da parte della Sacra Congregazione nei nostri confronti. Se è così, vi prego, Eminenza, di dimenticare i miei torti e di non pensare che ai popoli disgraziati dell'Africa. Anche per essi Gesù Cristo è morto sulla croce. Per la loro salvezza io desidero vivere e morire, per quanto indegno sia il mio sacrificio di essere unito al sacrificio divino del Calvario”.
Due commercianti francesi, assistono il vescovo de Brésillac e il suo vicario, Reymond, ormai entrambi gravemente malati. Il 25 giugno, uno di loro, un certo Brémond, è chiamato presso il vescovo che, egli testimonia, “nella sua abituale bontà si era informato della salute dei suoi figli e di quella del padre Reymond”. Quest'ultimo, con grande sforzo, riesce a venire presso il suo vescovo ormai morente, confessarlo e amministrargli il sacramento dei malati.

"La fede, la speranza la carità"

Mons. de Brésillac, si mantiene lucido e, racconta il testimone, “ levò gli occhi al cielo e disse con un'espressione che non dimenticherò mai: “La fede, la speranza e la ca…”. Completai io stesso dicendo: “E la carità!”. Grazie, mi disse, molto debolmente. Si spense alle 13,20, in una calma perfetta, ma dopo aver avuto una terribile agonia di circa mezz'ora”. Era il 25 giugno 1859. Aveva 46 anni.
L'indomani, il suo funerale si svolge alla presenza di tutte le autorità, dei notabili, senza distinzione di religione, e di molta gente. Gli abitanti di Freetown, afferma ancora il sig. Brémond, “accompagnarono alla sua ultima dimora il nostro povero vescovo che aveva saputo, in così poco tempo, attirarsi il rispetto di tutti”. In assenza di un prete cattolico, è un pastore protestante, colpito anche lui dalla morte del suo vescovo, che dirige la preghiera presso la tomba.
Due giorni dopo, il 28 giugno, di mattino, anche il padre Reymond muore e nel pomeriggio viene sepolto presso i suoi confratelli. Così, nello spazio di un mese, il sacrificio supremo dei missionari si compie. Tutto è finito. Almeno così sembra.
Da quando, infatti, la notizia di questa tragedia è conosciuta fino ad oggi, tutti nella SMA e al di fuori di essa, l'hanno considerata come la morte che produce una nuova vita, come il cadere di un seme in terra, che marcisce, sembra distrutto e poi produce qualcosa di vivo e di fecondo.