Visite domenicali

Domenica 25 luglio. Dopo la messa Sylvain mi dice : « Dobbiamo andare a salutare alcuni cristiani di Alibi e dintorni, sai che stanno cercando un terreno per fare una piccola tettoia e riunirsi a pregare ». Alibi è ad un paio di km scarsi da Kolowaré. Non mi dispiaceva fare qualche km a piedi, anche per testare la mia gamba. Mi dice che è meglio andare in macchina perché alcuni casolari sono dispersi nella campagna, e poi dobbiamo essere a casa per la funzione delle 17,30. Partiamo verso le 15. Parcheggiamo vicino al nuovo mercato e ci dirigiamo, in mezzo ai campi di mais, verso la casa del direttore delle scuola elementare: due mogli, dodici figli, alcuni già all'università.

Il fascio di legna del bambino

Lo troviamo in mezzo a figli e nipoti. Sorpreso e contento di vederci. Una cortile molto ampio con galline, oche, faraone, tacchini. In un lato il pozzo. Attorno le abitazioni. Ad un certo momento arrivano due bambini. Il più grande ha un fascio di legna in testa. Da vendere. Una giovane signora con diversi bambini attorno - forse una delle figlie - gielo compra: 50 franchi (150 vecchie lire). Penso al tempo e alla fatica del bambino per raccogliere la legna nel bosco. Per guadagnare 50 franchi. Evidentemente se ne va tutto contento.

Mi presento al capo villaggio

Con il direttore andiamo a salutare il capo villaggio. E' lontanto, in cima al villaggio. Andiamo in macchina. “Siamo fortunati, ci dice il direttore, ecco il capo che sta dirigendosi verso la sua dimora”.
Lo seguiamo discretamente ed entriamo nel cortile. Salutiamo le mogli. Intanto lui entra in casa. Di solito la gente ci riceve fuori nel cortile. Invece ci invita ad entrare. Un bel vecchio ieratico, con una barba bianca fluente, seduto su di una poltrona. Ci accoglie un grande salone rettangolare dipinto di un blù aggressivo. Ai muri campeggiamo due immensi ritratti del Presidente Eyadema e due sue foto. Una con le due mogli, un'altra, solo, in piedi, vestito di bianco.
Probabilmente fatta o alla Mecca, o al suo ritorno da un pellegrinaggio alla Mecca. Attorno un divano con una federa a fiori marroni e verdi e diverse poltrone. Casa in muratura con soffitto in compensato e coperta di lamiera. Sul pavimento i resti di un vecchio linoleum. Un lusso. Ci fa sedere accanto a lui. Il direttore traduce in kabié: “Sono arrivato da qualche tempo, sono qui nel villaggio vicino di Kolowaré, e sono passato a salutarlo, gli dico, so che nel villaggio ci sono musulmani, cristiani, protestanti, e quelli che seguono la religione tradizionale. Lui è il capo di tutti. Gli auguro tanta forza e saggezza per tenere insieme queste diverse comunità perché tutti collaborino per far crescere il villaggio”. Si instaura subito un dialogo cordiale. Si vede che è veramente contento della visita. Non finisce di ringraziare, poi implora le benedizioni dell'altissimo su di me, la mia salute, il mio lavoro, il mio soggiorno a Kolowaré. Prima di partire lo ringrazio del terreno che ha dato ai cristiani per fare la loro tettoia dove riunirsi a pregare.
Il direttore mi dirà poi che è stato un capo prestigioso nel passato, spesso invitato anche al tribunale di Sokodé per casi difficili. Aveva un paio di macchine che guidava lui. Alcuni suoi figli vivono all'estero.

Bambini che ci accompagnano

All'uscita uno stuolo di bambini ci circonda e ci segue. Uno dei grandi valori dell'Africa è la fecondità: un'esplosione continua di vita che ti accompagna ovunque! Un secondo è la capacità di lottare contro ogni tipo di avversità per difendere, proteggere, far crescere la vita.
Passiamo dall'infermiere. C'è solo la moglie con i figli. Sylvain mi mostra una casa in lontananza: “Laggiù abita una giovane donna che aveva seguito tre anni di catecumenato con me. Era pronta per essere battezzata. Suo fratello non ha voluto, e l'ha obbligata a farsi musulmana, nell'altra casa in fondo abita un erborista”. Mi piacerebbe incontrarlo.
In macchina, continuiamo per un paio di km, verso due casolari disseminati nella campagna, sulla strada che conduce a Tchamba. Un grande campo di sesamo sulla sinistra. Hanno appena tolto il sesamo per piantare il mais. Ma è già un po' tardi, mi dicono i miei accompagnatori. Si vedono le zucche di sesamo ammucchiate lungo i campi. Ognuna sarà aperta per toglierne i semi. Sono stupito di vedere le capanne attorniate da grandi foglie di taro. Le conosco bene perché il taro è soprattutto un prodotto forestale, e in Costa d'Avorio ce n'era ovunque. Sylvain mi dice che non è il vero taro, ma una variante, commestibile, ma meno buona dell'altro.

Non portarmi via la mamma

Sylvain vuole soprattutto incontrare il giovane Albert, battezzato qualche domenica fa. E' lui che l'ha preparato. Lo troviamo con la mamma e una sorella. Una visita inaspettata. Sorrisi a non più finire sul volto di tutti. La sorella frequentava le medie, ma pare non continui più. Mi sembrava di percepire un velo di tristezza sul suo volto. Ci fermiamo una decina di minuti, poi Albert ci accompagna in un gruppo di capanne poco distante dove abita un'altra famiglia cristiana. Ci inoltriamo in un sentierino in mezzo ai prati. Prima delle abitazioni diversi mucchi di carbone. “Questo è carbone buono, commenta Sylvain, preparato con legna giusta”. Troviamo tre bambini e qualche gallina. Non ho neanche una caramella per i bambini. Devo essere più previdente. La mamma è il papà sono nei campi poco lontani. Albert va a chiamarli. Arrivano veloci e ci sediamo davanti alla lora dimora. Si vede sui loro volti che sono contenti della visita. Parliamo del lavoro dei campi, del mais che sta crescendo bene attorno a loro, e poi del loro carbone. Chiedo se la carbonaia non è troppo lontano. Mi piacerebbe vedere da vicino la produzione. “No, padre, non puoi venire, è troppo lontano”! Papà e mamma ci accompagnano fino ai mucchi di carbone. Vogliono offrircene un sacco. Mentre la donna riempie il sacco sento pianti e singhiozzi accorati poco lontano. Era la bambina rimasta nel cortile che piangeva, piangeva, con forti grida. “Pensa che le stai portando via la mamma, è per questo che piange disperata”, commenta Sylvain.
Siamo alla missione prima delle 17,30. Trovo Justine, la figlia della famosa “Luisa nel bosco” che non avevo riconosciuta. Al mattino, dopo la messa, era venuta a salutarmi con papà Gabriel e i bambini. Mi aveva portato i fiori del suo giardino. Voleva sapere se bastavano. Poi mi parla del suo lavoro di apprendista sarta. “Ogni giorno scendo per lavorare e imparare a cucire, ma poi arrivo a casa e non ho la macchina da cucire e non potrò mai comperarmene una, mi puoi mica aiutare?”. “Ne parlo con degli amici italiani e poi vedremo al mio ritorno”, le dico. Una macchina da cucire costa sui 100 €.

25 luglio 2005