Scampagnata nei boschi

Partiamo alle 7:30. Con Martina e Silvana. Andiamo a spasso per i boschi dietro al villaggio. Passiamo al dispensario a salutare suor Etta e personale. Incontriamo il capo villaggio: "nyana agoma", ci dice. E' il saluto per uno che è accompagnato da forestieri. Ci chiede dove andiamo: "dengilim foo ndaa" arrischio: andiamo a fare una passeggiata nel bosco. Sorride: "bela tase": a fra poco.

Sentieri appena abbozzati

Sostiamo un momento nella piazza del villaggio a salutare Laré, il mio insegnante di kotokoli. Gli dico di organizzare con Aliasim e gli altri narratori una seduta narrativa al villaggio per domani pomeriggio. Per mostrare a Martina le charme di una seduta narrativa. Ci inoltriamo in mezzo alle abitazioni. Ovunque i bambini gridano: anasara yovo: bianco bianco. Sono davanti con un bastone e faccio strada. Sbaglio sentiero e ci inoltriamo nei campi. Mi accorgo di aver sbagliato quando arriviamo all'Adjima, il torrente che separa il villaggio dai campi. Continuiamo e saliamo sulla collina. Il sentiero è appena abbozzato, e le erbe sono alte. Non vorrei incontrare qualche rettile. Donne con bambini ci passano accanto: ognuna si dirige nel suo campo.

Se non lavori come fai a mangiare?

Una giovane mamma è accompagnata da tre bambini: uno in braccio e due che camminano con lei. Quello davanti piange. Gli dico: nke nwii: non piangere! "Non vuole venire nei campi, dice la mamma, come fa poi a mangiare". Ovunque gente che lavora.
E' il momento delle colture. Il terreno è pronto, la notte scorsa è venuta abbondante pioggia. I contadini fanno monticoli di terra per seminare la manioca.
In qualche campo i germogli spuntano già, in altri ci sono già le piantine, in altri ancora la manioca è matura. Mi accorgo che stiamo prendendo una direzione sbagliata che ci porta lontano nei campi. Siamo in mezzo a folte erbe, il sentierino non si vede quasi più. Volevo far incontrare a Martina e a Silvana, alcune persone che abitavano in casolari, ma nell'altra parte della collina. Vedo laggiù sulla destra la macchia di alberi dove ci sono le capanne.

Ci sbagliamo di capanne

Prendiamo un sentiero trasversale, in mezzo a campi di mais, e cambiamo direzione. Alla fine troviamo la strada che avremmo dovuto prendere dall'inizio, intravvediamo a fondo valle i tre tronchi che servono da ponte sull'adjima, e saliamo di nuovo. Tre bambini ci indicano il sentiero che conduce alle capanne della vecchia Luisa, la signora handicappata che ho sposato e battezzato due anni fa. Dopo pochi minuti arriviamo.
Ci accoglie un gruppo di capanne rotonde. Una giovane signora, con un paio di bambini, arriva poco dopo. Salutiamo, facciamo qualche foto. Era nei campi vicini ed è venuta ad accoglierci. Ma non è la Luisa. Luisa abita nell'altro nucleo di capanne poco più lontano.

Finalmaente da Luisa

Ci dirigiamo sotto i grandi alberi e grido: Kafara! Permesso! Sento una voce: Bakasu! Entra. E ritrovo la vecchia Luisa con le tre bambine della figlia Justine. Ormai sono grandicelle.
La prima va a scuola. Luisa è seduta sotto sotto un riparo con accanto una latta con delle braci. Contenta di vederci. E' lì seduta e non si muove.
Deve essere trasportata a braccia o in barella. Ogni domenica Bernard, il ministro straordinario dell'Eucaristia, sale quassù, prima della messa, e le porta la comunione. Martina e Silvana fanno alcune foto alle bambine, mi faccio fare una foto accanto a Luisa, poi passeggiamo un po' nei dintorni, sotto alberi maestosi.
Vediamo poco lontano alcuni bambine. Ci avviciniamo. La più grandicella è curva sul margine di un pozzo e sta attingendo acqua: è un pozzo tradizionale profondo una trentina di metri. Tira sù l'acqua con una corda cui è appeso un secchio di gomma. Immagino la fatica. Sorride. Sul margine del pozzo dei contenitori di plastica dove depone l'acqua.

Il lavoro dei e nei campi

Continuiamo e incontriamo quattro donne e due bambini seduti attorno ad un mucchio di tuberi di manioca. Li avevano appena tolti dal campo, erano lì ammucchiati davanti a loro, stavano togliendo la buccia per farli essicare. Scambio affettuoso di saluti e via in una capanna vicina. Delimitata da uno steccato, ma l'entrata era aperta. Troviamo una signora che accudiva alle faccende domestiche. Stava triturando, su una piastra di pietra, dei pomodori verdi per la salsa.
Silvana lo fa notare: "Guarda, usano pomodori non maturi". Sul focolare una pentola che bolliva. Accanto noci di palma da olio. E' talmente contenta della visita che chiama il marito nei campi vicini perché venga a salutarci. Arriva veloce. Non finisce più di ringraziarci della visita. Certamente non ha mai ricevuto tre bianchi lassù nella sua dimora.
Al ritorno, poco lontano dal ponticello sull'Adjima, una signora si mette a parlare a lungo in modo concitato. Vuole dirci qualcosa, ma non capisco nulla.
Dai segni che fa probabilmente parla della strada dissestata che deve percorrere ogni giorno per andare nei campi e che la pioggia erode e rovina, e forse anche della pericolosità delle tre travi che fanno da ponte.
Adesso di acqua non ce nè, ma in settembre il corso d'acqua straripa, e non si passa più.