Storie anyi della Costa d'Avorio

La raccolta sul terreno dei testi della narrativa tradizionale

Nel nostro lavoro di raccolta abbiamo seguito le indicazioni metodologiche proposte dagli autori recenti.
Per raccogliere i testi sono occorsi tre anni, dal febbraio 1972 all'aprile 1975, ma il 1972 è stato quasi esclusivamente dedicato a una prima iniziazione alla lingua Anyi.
Quasi tutti i racconti sono stati narrati in seguito a una nostra sollecitazione. Di sera visitavamo gli anziani per chiedere loro di raccontarci alcune favole, ma di solito il capo famiglia era stato avvertito in anticipo, durante la giornata. Talora, soprattutto a Koun Fao, avvertivamo un gruppo di anziani alcuni giorni prima, dando loro appuntamento per una determinata sera.
Quando invece andavamo in villaggi dell'interno, chiedevamo agli anziani di riunirsi la sera per una seduta di narrazione. Abbiamo trovato ovunque un'accoglienza fra le più simpatiche.
La gente si mostrava fortemente interessata a questo tipo di approccio. Ognuno raccontava come voleva. Il tema non era quasi mai imposto, salvo una volta in cui abbiamo chiesto racconti sull'origine della "chefferie" e della festa degli ignami.
La seduta durava abitualmente due ore, ma se avessimo voluto, si sarebbe protratta molto più a lungo.

Registrazione, trascrizione, traduzione

Ogni racconto è stato registrato su un magnetofono Philips a cassette. Sotto l'aspetto tecnico non è lo strumento ideale, ma è abbastanza fedele, pratico e maneggevole.
Dopo questa prima fase, abbastanza semplice, di raccolta, è sorto il problema della trascrizione del materiale registrato. Noi l'abbiamo risolto facendoci leggere da un abitante del luogo il testo registrato, che trascrivevamo in caratteri fonetici internazionali. Ispirandoci ai lavori di G.L. Retord sull'Anyi-Sanvi, abbiamo utilizzato i simboli I.P.A.
Per la fonologia abbiamo seguito, grosso modo, il lavoro di Retord, con alcune leggere modifiche, poichè non esiste ancora alcun lavoro specifico sulla fonologia del dialetto Bona.
Il terzo momento del lavoro, la traduzione, pone enormi problemi. La nostra attuale conoscenza del dialetto, Bona è sufficiente per tradurre un testo scritto, almeno in linea generale.
A ogni modo, abbiamo quasi sempre tradotto con un interprete a fianco e non abbiamo mai esitato a chiedere chiarimenti, anche a più persone, per i passaggi difficili o i testi oscuri, che si runvengono soprattutto nei canti. I testi tradotti sono suddivisi in tre parti: la trascrizione fonetica, la traduzione monematica, cioè letterale, parola per parola, e una traduzione più libera.
Non si dimentichi che i racconti sono innanzitutto dei testi orali. Nella traduzione, sovente letterale, si è cercato di conservare, per quanto possibile, il carattere tipico del racconto orale, col suo particolare stile ricco di onomatopee, le immagini e il frasario proprie della lingua, le finezze del narratore, le caratteristiche ripetizioni ecc. I narratori provengono da ogni strato sociale: lignaggi dirigenti e lignaggi dipendenti, notabili e gente del popolo, vecchi e giovani, uomini e donne.
I racconti sono stati raccolti in diversi villaggi. Tutti questi villaggi sono situati nella sottoprefettura di Koun Fao, all'infuori di Broukro, Kongodia, e Krossou-Ouatte, che si trovano nella sottoprefettura di Tanda.
I racconti provengono per lo più dai Bona Assuadie, Dengaso, Samo, Danguira e dagli Abron Ngoranzan. Si è infatti lavorato soprattutto fra questi gruppi, più che fra i Bona Abrade di Ndakro e gli Amanvuna di Ameakro.
Abbiamo cercato di descrivere quanto visto e ascoltato durante i tre anni di permanenza "in loco". Il lavoro si presenta allo stadio della notazione, cioè non ha nulla di definitivo, di sicuro, di apodittico. Infatti a distanza di tempo, ci si accorge che quanto è stato scritto, pur non essendo falso, poteva essere esposto in modo più completo.

La classificazione del materiale

Una volta raccolto il materiale, occorre classificarlo e interpretarlo. Accenneremo ad alcuni tipi di classificazione per occuparci poi più a lungo di un autore che ha segnato una svolta in questo campo, V. Propp.
Una delle classificazioni più conosciute e utilizzate è quella di Aarne, che, rifacendosi all'analisi del folklore europeo, propone una classificazione basata sull'intreccio. Divide le favole in tre grandi gruppi: favole propriamente dette, favole sugli animali, aneddoti.
Aarne presenta un inventario-tipo delle favole, dividendole per categorie e classificandole per tipi. I vari tipi di favole sono raggruppati in funzione dell'intreccio e dei personaggi. Avremo, per esempio, le favole con gli orchi, le favole con gli oggetti magici ecc.
Un'altra classificazione ben nota è dovuta a Styth Thompson, che esamina un materiale di provenienza più vasta rispetto ad Aarne. La sua classificazione si articola attorno a tre tematiche: gli attori, i motivi che fanno da sottofondo all'azione (oggetti magici, usanze, credenze strane...), gli incidenti singolari.
Il grande merito di questi due autori è quello di aver individuato le "favole-tipo" (ogni tipo ha un numero) precisandone il centro di diffusione. Il loro inventario prende infatti in considerazione la presenza, l'assenza e la distribuzione geografica dei vari motivi.
Come nota C.Lévi Strauss, queste classificazioni sono di una grande utilità pratica, ma si prestano ad una obiezione di fondo: infatti è sempre possibile trovare favole attribuibili a più categorie. L'assegnazione di una favola ad una piuttosto che ad un'altra è empirica e arbitraria: necessariamente alcuni tipi interferiranno con altri.

Una svolta epocale: le ricerche di Propp

L'autore che ha segnato una tappa fondamentale nello studio delle favole è Vladimir Jakovlevic Propp. La sua opera, Morfologia della fiaba, apparve in Russia nel 1928, ma divenne accessibile in Occidente solo a partire dal 1958 nella traduzione inglese.
Il lavoro di Propp prende l'avvio da una osservazione empirica. Egli è colpito dal duplice aspetto delle fiabe: da un lato la loro straordinaria diversità, dall'altro la loro uniformità e quasi monotonia. Ispirandosi alla classificazione di Aarne analizzò 100 "favole di magìa" che considera come una categoria a parte fra le favole popolari. Le sue conclusioni riguardano questo materiale,
ma di fatto le sue intuizioni si applicano ad ogni genere di favola.
Propp definisce il suo metodo nel modo seguente. Dati questi enunciati :
"1) Il re dà ad un suo prode un'aquila. L'aquila lo porta in un altro regno.
2) Il nonno dà a Sucenko un cavallo. Il cavallo lo porta in un altro regno.
3) Lo stregone dà ad Ivan una barchetta. La barchetta lo porta in un altro regno.
4) La figlia del re dà ad Ivan un anello. I giovani evocati dall'anello lo portano in un altro regno",
abbiamo grandezze costanti e grandezze variabili. Cambiano i nomi (e con essi gli attributi) dei personaggi, ma non le loro azioni o funzioni; donde la conclusione che la favola, non di rado, attribuisce un identico operato a personaggi diversi. Questo ci dà la possibilità di studiare la favola secondo la funzione dei personaggi...E ancora: "nell'analisi delle favole la sola questione importante è di sapere cosa fanno i personaggi. Chi fa l'azione e come la fa, sono questioni puramente secondarie.".

Le unità costitutive: le funzioni

Le unità costitutive della favola sono dunque le funzioni che Propp così definisce: "l'operato di un personaggio determinato dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vicenda". Le intuizioni di Propp sono riassunte in queste quattro tesi :
I. Gli elementi costanti, stabili, della favola sono le funzioni dei personaggi, indipendentemente dall'identità dell'esecutore e dal modo di esecuzione. Esse formano le parti componenti fondamentali della favola.
II. Il numero delle funzioni che compaiono nella favola di magìa è limitato.
III. La successione delle funzioni è sempre identica.
IV. Tutte le favole di magìa hanno una struttura monotipica.
Propp isolò 31 funzioni, che corrispondono alle azioni fondamentali delle fiabe. Queste funzioni non sono sempre tutte presenti in ogni fiaba, ma il loro numero è limitato e l'ordine in cui si susseguono è sempre lo stesso. Propp indicò pure come le funzioni abbiano, nella maggioranza dei casi, un carattere binario: divieto-infrazione, lotta-vittoria, persecuzione-salvataggio ecc...
Le 31 funzioni, cui si riducono tutte le fiabe di magìa, sono sostenute da un certo numero di personaggi. Classificando le funzioni secondo i loro "sostegni" si scopre che ogni personaggio riunisce più funzioni in una sfera d'azione che lo caratterizza in propria. Per esempio, le funzioni "trasferimento dell'eroe, rimozione della mancanza, salvataggio, adempimento dei compiti difficili, trasfigurazione dell'eroe", definiscono la sfera d'azione dell'aiutante magico. Le funzioni "danneggiamento, combattimento con l'eroe, persecuzione", formano la sfera d'azione dell'antagonista. Ne risulta che i personaggi delle favole, come le funzioni, sono in numero limitato. Per Propp sono sette:
- antagonista - donatore
- aiutante
- principessa e suo padre
- mandante
- eroe
- falso eroe.
Sulla base di questi elementi Propp definì le fiabe come racconti costruiti secondo una successione regolare di funzioni, o ancora racconti che seguono uno schema a sette personaggi.
Propp mostra come, all'interno di questi schemi, il narratore non sia completamente libero nel suo raccontare, ma costretto a una creatività controllata, canalizzata. Poichè le funzioni si susseguono in un ordine dato, una volta che il narratore ha scelto la funzione iniziale, le altre seguiranno necessariamente.
Per contro, il narratore ha uno spazio di libertà assoluta in altri settori: nella scelta delle funzioni che omette o che vuole utilizzare, nella scelta dei mezzi attraverso i quali le funzioni si realizzano, nella scelta della nomenclatura e degli attributi dei vari personaggi, nei mezzi che gli offre la lingua.

Miti - Riti- Fiabe

Oltre alla Morfologia della fiaba Propp è giustamente famoso anche per Le radici storiche dei racconti di fate, nel quale espone la teoria secondo cui il nucleo più antico delle fiabe magiche deriva dai rituali di iniziazione in uso nelle società primitive. Ciò che le fiabe narrano, o adombrano, una volta accadeva realmente.
Giunti alla pubertà i ragazzi venivano separati dalla famiglia e mandati nella foresta, dove gli "stregoni" della tribù, travestiti da esseri terribili e misteriosi, col viso coperto da maschere, li sottoponevano a prove difficili, dolorose, e talora mortali. Durante questo tempo i ragazzi ascoltavano e imparavano i miti della tribù e ricevevano la consegna delle armi. Infine ricevevano un altro nome e facevano ritorno alle loro case, maturi per sposarsi.
Le favole di magia, pur non essendo semplicemente la cronaca di antichi riti decaduti, tuttavia, nelle loro linee di fondo, ripetono la struttura del rito. Da questa osservazione Propp deduce la teoria secondo cui la fiaba ha cominciato a vivere come tale quando l'antico rito è decaduto. I narratori, nel corso dei secoli, avrebbero sempre più tradito il ricordo del rito e sempre più servito le esigenze autonome della fiaba, che di bocca in bocca si è trasformata, ha accumulato varianti, ha seguito i popoli nelle loro migrazioni, ha risentito gli effetti dei mutamenti storici e sociali.

I continuatori di Propp

I lavori di Propp sono stati ripresi da Bremond e da Greimas, i quali propongono di elaborare una teoria semiotica valida per ogni messaggio narrativo. Entrambi hanno studiato i problemi posti dalla letteratura orale.
C. Lévi-Strauss, nel saggio dedicato all'opera di Propp, riprende il problema della distinzione fra analisi formale e analisi di contenuto, e afferma che per gli strutturalisti questa distinzione non esiste : "Propp scompone in due parti la letteratura orale: una forma, che ne costituisce l'aspetto essenziale, in quanto si presta allo studio morfologico, e un contenuto arbitrario, al quale, proprio per questo motivo, egli concede solo una importanza accessoria. Ci sia permesso di insistere su questo punto che riassume interamente la differenza fra formalismo e strutturalismo. Per il primo i due campi devono essere assolutamente separati poichè solo la forma è intellegibile e il contenuto non è che un residuo privo di valore significante. Per lo strutturalismo questa opposizione non esiste; non c'è da un lato l'astratto, dall'altro il concreto. Forma e contenuto hanno la stessa natura, sono soggetti allo stesso tipo di analisi. Il contenuto deriva la sua realtà dalla sua struttura e quello che si definisce forma è la "messa in struttura" delle strutture locali in cui consiste il contenuto".
E' comunque difficile oggi, nella classificazione delle favole e nella loro analisi, non tener conto dei lavori di Propp.
Anche l'équipe della rivista "Cahiers d'Etudes africaines", sotto la guida di Denise Paulme, presenta degli schemi di analisi delle favole dell'Africa occidentale redatti tenendo presente gli apporti dell'opera di Propp, salvo due punti in cui da essa si discostano:
- l'ordine in cui si susseguono le sequenze non è necessariamente immutabile;
- può capitare che una sequenza si gonfi, fino a formare una storia indipendente all'interno della narrazione: si possono avere delle vere favole all'interno della favola.