Storie anyi della Costa d'Avorio

La struttura del racconto

I due personaggi della foresta e savana: Ragno e Lepre

Le storie possono essere divise in due grandi gruppi, secondo l'ambiente naturale da cui provengono, la foresta o la savana,da cui dipendono anche i personaggi caratteristici: il ragno per la foresta, la lepre per la savana.
Secondo la definizione di R. Colin si può parlare anzi di veri e propri cicli, intendendo per ciclo "una serie di racconti che ruotano attorno a uno o più personaggi principali e che narrano le loro avventure secondo la fantasia (del narratore) e le circostanze della vita". "Secondo le regioni si possono distinguere cicli di personaggi, cioè dei complessi di racconti rilevanti dalla tradizione culturale di un popolo, concentrati su uno o due animali aventi funzioni essenziali".
I due animali più diffusi nei racconti dell'Africa occidentale sono appunto la lepre e il ragno. La lepre è presente in tutta la fascia delle savane, dalla Mauritania meridionale, attraverso la Guinea, il Senegal, la Costa d'Avorio, l'Alto Volta, il Mali, fino al Niger e alla Nigeria. Anche il ragno è presente in una vastissima zona dell'Africa occidentale e centrale sotto nomi diversi.
In Costa d'Avorio il ciclo del ragno è diffuso, grosso modo, in tutta la zona forestale a sud dell'ottavo parallelo, con qualche punta a nord. Per esempio, fra i Lobi lo troviamo sotto il nome di Sida, mentre fra gli Adjukru è chiamato O'Diranfi, tra i Bete di Gagnoa e di Daloa Djakole-Zakole. Il ragno è popolare soprattutto fra gli Anyi e i Baule che lo chiamano rispettivamente Kaku Ananzi o Ananze, termini Ashanti, o ancora Akendeba e Akendewa o Kendewa.
Nei nostri racconti troviamo sempre il personaggio del ragno sotto il nome di Kendaa o più raramente di Akendaa. Una sola volta il ragno è chiamato da sua moglie: Kaku Ananzi. Può darsi che il canto provenga dalla zona Ashanti, ove appunto il ragno è chiamato con questo nome.
Tutti i racconti che abbiamo raccolto sono del gruppo di foresta, essendo i Bona un popolo forestale, e hanno una struttura interna che, di solito, si presenta in questo modo:
- introduzione - impostazione del problema o situazione iniziale
- "corpus" del racconto o svolgimento dell'intreccio
- situazione finale
- morale.
A questi elementi interni ne vanno aggiunti due esterni:
- apprezzamento del pubblico
- formule di raccordo.

Introduzione al racconto

Assenza di formule introduttive

Di solito la favola comincia con formule introduttive di vario tipo; ma si dà anche il caso che il racconto inizi bruscamente, senza alcuna formula introduttiva.
Su un campionario di trenta racconti, cinque iniziano "ex abrupto" senza alcuna introduzione, dunque poco più del 16%. Tali favole iniziano come quelle europee:
"C'era una volta una ragazza. Era in età di sposarsi. Doveva andare a sposarsi in un villaggio lontano. Prima della sua partenza sua madre le disse :- Quando sarai andata nel villaggio di tuo marito, cerca di mettere al mondo dei figli, altrimenti non ritornare mai più qui-".
"Alle origini Nyamien creò gli uomini e li mise subito davanti alle loro responsabilità. Nyamien inviò un messaggero presso gli uomini per domandare loro: - Dopo la morte, preferite ritornare in vita oppure no? -. Gli uomini chiesero tre giorni di tempo per riflettere e dare risposta alla sua richiesta".

In questo secondo caso manca la formuletta "C'era una volta", sostituita da "Alle origini" che, come il "C'era una volta", indica un tempo indeterminato, mitico e perciò sacro. Posto il problema centrale, si articola il racconto.

Formule consacrate

La formula consacrata che dà inizio al racconto, introducendo nel mondo dell'irreale, è la seguente: me sa bele me sa bele. Così inizia abitualmente il narratore: l'epicentro può unicamente annuire con hum, oppure rispondere : Ka se, o meglio: E sa bele ka se?. Il narratore continua: Me sa bele ka yoo! Oppure: Me sa bele ka nana kendaa sa tale bo. Per comprendere il significato più ovvio di questa formula si tengano presenti gli elementi principali della seduta: narratore, epicentro, folla.

Un cacciatore in agguato

La seduta può essere paragonata a un torneo: il termune, anzi, è usato, all'inizio del racconto, dall'epicentro, che così risponde al narratore: "Oggi siamo qui riuniti in un torneo di racconti". L'epicentro allude al fatto che nel gruppo riunito regna una certa emulazione.
Il senso fondamentale della formula introduttiva "Me sa bele" significa letteralmente: "Io spio qui", cioè, "Io sono qui attento, i aguato". Il verbo sa indica in primo luogo l'azione di spiare, sorvegliare, essere attento a qualcosa, e per conseguenza essere in un posto fisso, immobile. Si usa soprattutto a proposito dei cacciatori che fanno la posta alla selvaggina. Il narratore è paragonato a un cacciatore che attende l'occasione propizia per catturare la preda, cioè per prodursi davanti agli altri con il suo racconto, sapendo che il pubblico farà immediatamente un paragone con i narratori precedenti e successivi.
Egli farà dunque di tutto per non sfigurare, per fare meglio degli altri, se possibile: c'è vera emulazione fra i concorrenti che si sorvegliano reciprocamente, ognuno "attento" all'altro.

Un cacciatore che vede gli avvenimenti che si svolgono davanti ai suoi occhi

La formula ha anche un secondo significato. Il cacciatore, essendo appostato nella foresta, è spettatore di ciò che avviene. Il narratore narra il suo racconto come se fosse stato presente ai fatti narrati, come se li avesse visti svolgersi sotto i suoi occhi. Qualche volta infatti il narratore, durante il racconto, dice:"O yo sone me ne sa man bele" (Mentre si svolgevano questi fatti non ero forse anch'io là?).
L'epicentro risponde al narratore: "Ka se? (In che modo?), oppure con la formula più completa: "E sa bele ka se?" (Tu sei qui in che modo?). Il narratore risponde: "Me sa bele ka yoo", "Io sono qui così", cioè: "Ascoltate e vedrete", e dà inizio al suo racconto. Oppure risponde con la formula più completa:"Me sa bele ka nana kendaa sa tale bo" (Io sono qui nello stesso modo in cui Nana, il ragno, è attaccato al muro), il che significa: io sono qui pronto a intervenire nello stesso modo in cui il ragno attende che la preda cada nella tela. Quest'ultima è la formula più completa e tradizionale per introdurre un racconto.

Il narratore si paragona al Ragno

Per quali motivi il narratore si paragona al ragno? Senza pretendere di dare una risposta esauriente proponiamo tre ipotesi esplicative.
Il ragno domina sovrano nella maggior parte dei racconti forestali e, a quanto da essi si deduce, è considerato un essere fornito di intelligenza superiore, capace di ogni tipo di trasformazione, astuto e avveduto come nessun altro animale. Il narratore dunque si paragona al ragno a causa dell'intelligenza del personaggio, tanto più che il torneo è proprio una gara di intelligenza.
Oppure il narratore vuol forse lasciar intendere che deriva la sua scienza narrativa dal ragno. Alcuni racconti spiegano che il ragno ha introdotto le favole nel mondo e alcuni canti indicano come il ragno sveli tutti i segreti: senza di esso nulla sarebbe possibile.
Infine la perfezione e la continuità della ragnatela in cui, prima o poi, cade la preda, offre in senso figurato al narratore un modello di perfezione e perciò di successo.
J.-P. Eschlimann nel suo lavoro traduce la formula sopra riportata in modo diverso: "Io sono al corrente di"..., passando subito al secondo significato della formula: il narratore è al corrente di qualcosa perchè letteralmente ne è stato spettatore nella boscaglia, nascosto ad osservare.
Alcuni anziani, con cui abbiamo discusso il problema, osservano che, traducendo in questo modo, si perde l'immagine iniziale e si appiattisce la traduzione. Abbiamo quindi mantenuto il senso originario.

Presentazione dell'autore

Numerosi racconti iniziano con l'autopresentazione dell'autore o, per meglio dire, del narratore, che abitualmente non inventa i racconti. Egli non fa che tramandare il materiale ricevuto rivestendolo della parola, secondo le sue capacità. Durante il lavoro di raccolta ci si rende conto che nei villaggi della madesima zona circola un patrimonio orale comune e che sono numerosi anche i casi in cui, di un medesimo racconto, si hanno diverse versioni con altrettante varianti.
Il narratore può iniziare così:
"Sono io, Amorofi Kwame, che sto facendo questo racconto. Io sono qui pronto a intervenire". In questo caso vi è una semplice presentazione, senza fronzoli.

Il narratore presenta la sua genealogia

In altri casi la presentazione è più dettagliata: "Mi chiamo Kwaku François. Sono originario di Koun Fao. Mio padre si chiama Yao Dongo. Sono io che sto raccontando questa storia che state per ascoltare".
Qui compare qualche elemento in più: nome dell'autore, sommaria genealogia, villaggio d'origine, titolo di proprietà. Questo tipo di presentazione è frequente, talora con aggiunte di circostanza:
"Mi chiamo Louis Kwame. Siamo riuniti qui nella mia casa. Sono io che sto per raccontare questa favola. Oggi il Padre è venuto e ci ha chiesto di narrare dei racconti".

Il narratore si presenta durante il racconto

La presentazione avviene di solito all'inizio del racconto, ma ci sono casi in cui è inserita nel corso della narrazione. Nel racconto Bolokotenansi, l'autore per presentarsi prende lo spunto dal canto che l'eroe sta per fare: "Ascoltate dunque il canto che sto per cantare, riprendetelo insieme a me e cercate di cantare bene. Infatti il racconto che sto narrando è una favola dei tempi antichi. Mi chiamo Kwaku Kra. Sono io che sto narrando questo racconto".
Questa presentazione, pur non essendo all'inizio del racconto, lascia intravvedere un altro dei modi in uso per iniziare un racconto:
"Vi voglio spiegare il senso del canto che ho appena cantato, perchè voi possiate comprenderne appieno il significato". "Fate bene attenzione. Ascoltate bene la storia che sto per raccontarvi, così tutti ne comprenderete il significato e vedrete se ciò che racconto è vero o falso".

Formule eziologiche

C'è infine un modo che potremmo definire eziologico, con formule di questo tipo: "Sapete la ragione per cui"... La folla deve obbligatoriamente rispondere no, anche se conosce quanto il narratore sta per dire. La formula può essere, per esempio:
"Sapete perchè quando un uomo parte per un viaggio cerca un uomo intelligente per accompagnarlo?". "No",
risponde il pubblico. "Ebbene, ascoltate - riprende il narratore -ve lo racconterò io". Oppure:"Conoscete la ragione per cui ogni professione è diventata un vero lavoro? Conoscete il fondo di questa questione?". "No, non la conosciamo", risponde la folla. Lo stesso tipo di inizio può essere utilizzato anche senza la forma interrogativa:
"Ascoltate bene, vi voglio spiegare la ragione per cui la festa degli ignami è stata introdotta nel mondo, affinchè voi possiate conoscerne l'origine. In seguito vi spiegherò anche la ragione per cui noi mangiamo gli ignami".

Uno stacco importante: l'irruzione delle storie vere

Per chiudere la tipologia dell'introduzione ci resta da esaminare un ultimo elemento. Abbiamo già accennato al fatto che fra i Bona non esiste una netta distinzione tra racconti giocosi e racconti seri: in una stessa seduta vi possono essere entrambi i tipi. Se un racconto si distacca dagli altri, l'autore lo fa notare, o discretamente, come nel racconto Bolokotenansi ("Il racconto che sto narrando è un racconto dei tempi antichi") o in modo molto preciso e chiaro in rapporto all'importanza del racconto.
"Voi tutti, fate bene attenzione. Mi chiamo Benoit Kwaku Kra. Sono il poliziotto della Chiesa di Tanokoffikro. La vicenda che vi racconterò è una vecchia storia dei tempi antichi: è questo che vi voglio raccontare. Non è come gli altri racconti che stiamo narrando. Non è la stessa cosa. Colui che sa scrivere non ha che da prendere la carta e scrivere. E' una storia dei nostri avi che vi racconterò.
Una vera storia dei tempi antichi che voi ascolterete. Si suol dire: il bambino che sa lavarsi le mani, si siederà a tavola con gli anziani. Dunque io vi narrerò questo racconto perchè i Padri sono venuti e si sono riuniti qui. Lo racconterò affinchè tutti possano comprendere, bambini e vecchi, e conservarlo nella memoria".

Ciò che più colpisce in questa presentazione è la iterazione ossessiva di di alcuni concetti, dopo l'autopresentazione dell'autore. E' evidente che l'autore è cosciente di trasmettere qualcosa di estremamente importante, per cui egli deve stimolare i presenti ed accogliere con profitto quanto sta per dire e a conservarlo nella memoria e nello scritto, affinchè il messaggio possa essere trasmesso ad altri.
Questi tipi di racconti sono sempre più rari. Si tratta di un racconto iniziatico del tipo "L'Héritage" di Birago Diop, o ancora meglio di "Kaidara" di Hampaté Ba.