Storie anyi della Costa d'Avorio

Le conclusioni delle storie

Situazione iniziale e situazione finale

La situazione finale corrisponde, in ogni racconto, alla situazione iniziale. Il problema posto inizialmente viene trattato nella parte centrale del racconto, in cui il narratore presenta tutti i dati del problema, le varie combinazioni possibili, che sono praticamente gli elementi di soluzione del problema. Al termine del racconto si ha lo scioglimento dell'intreccio e la soluzione finale. Questa corrisponde, di solito, al termine del racconto, ma ci sono anche casi in cui la soluzione del problema iniziale serve da punto di partenza per un'altra storia. Il nuovo racconto, o una seconda parte, di solito, non sono gratuiti, ma piuttosto la continuazione logica della prima parte, in quanto, in realtà,si tratta di un unico punto di partenza che dà il via a un racconto diviso in due parti nettamente distinte: ognuna ha un intreccio a sè stante, pur essendo la seconda parte il seguito della prima.

Unico punto di partenza per due racconti diversi: due storie perfette

Il caso che segue è diverso da quello della terza versione del racconto dell'esempio precedente in cui l'autore inseriva un nuovo tema all'interno della trama generale del racconto che restava però unico, anche se presentava la sezione centrale particolarmente sviluppata, del resto, sapientemente fusa con il tutto.
Nell'esempio che presentiamo, invece, abbiamo in realtà due racconti legati fra loro da ciò che sarebbe dovuto essere il finale del primo. La prima parte tratta delle avventure del ragno che va alla ricerca della coda del più vecchio tra gli elefanti.
Grazie a un piccolo amuleto, ricevuto da un genio della foresta, il ragno riuscirà a ottenere quanto desidera e a ritornare a casa sfuggendo a tutte le insidie. A questo punto il racconto sarebbe terminato: infatti il ragno ha mantenuto la promessa iniziale consegnando quanto aveva promesso. Anche se terminasse così il racconto sarebbe completo: invece qui termina solo la prima parte. Gli elefanti hanno seguito il ragno per riprendere la coda e uccidere il colpevole. Il ragno riesce a sfuggire e a consegnare la coda, ma gli elefanti non perdonano: a questo punto inizia la seconda parte della narrazione.
"Un'elefantessa si trasforma in una giovane. Va nel villaggio e riesce a farsi sposare dal ragno. La donna sa che il marito è protetto da un amuleto. Ella cerca tutti i mezzi per toglierglielo. Il marito, da parte sua, si accorge della vera identità della moglie. Un giorno è nei campi. La donna, con uno stratagemma, riesce a scoprire la strada che conduce al campo del marito, malgrado che costui abbia cercato in tutti i modi di tenergliela nascosta e lo raggiunge nei campi. Con un altro sotterfugio la moglie strappa al marito l'amuleto, nascosto nella capigliatura, e lo getta nel fuoco. Ecco la donna trasformata in elefante pronto a stritolare il ragno. Costui sfugge ancora una volta all'elefante, grazie agli ultimi consigli che il suo amuleto gli darà prima di bruciare completamente: deve gettarsi nel fuoco dove l'amuleto sta bruciando. Il ragno si getta e si trasforma in uno sparviero".

Stessa dinamica, ma non stessa riuscita

Possediamo altri racconti costruiti in questo modo. Ma la riuscita del procedimento qualche volta è fittizia, la fusione delle due parti non avviene, il legame è puramente esterno. Il finale dell'uno serve soltanto come pretesto per iniziare un altro racconto e continuare la narrazione, senza che fra i due ci sia una effettiva relazione.
Per esempio, in un altro racconto, a sua volta diviso in due parti, nella prima si tratta di un contadino continuamente disturbato nello svolgimento dei lavori agricoli da tre seccatori, che vogliono appropriarsi del suo campo. Costoro infine promettono che lo lasceranno in pace solo a condizione che egli riesca a conoscere e a ripetere i loro nomi. L'uomo è in grave imbarazzo, ma il ragno gli suggerisce uno stratagemma per mezzo del quale riuscirà a liberarsi dei tre scocciatori. A questo punto il racconto potrebbe terminare. La situazione iniziale è risolta e capovolta: i seccatori se ne sono andati e l'agricoltore ha ritrovato la sua libertà e ... il suo campo.
La seconda parte prende l'avvio dall'avventura occorsa alla medesima persona mentre ritorna a casa dai campi. Aiuta a uscire da una fossa alcuni animali che vi sono caduti e uno di essi, più tardi, rende il bene ricevuto al contadino trovatosi improvvisamente in difficoltà mentre è solo nella foresta.
Il legame della seconda parte con la prima è molto più tenue che nel racconto precedente, quasi inesistente. Il finale della prima parte serve solo come pretesto per introdurre la seconda, che in comune con la prima ha solo il personaggio principale. E' questo un caso in cui la fusione delle due parti, o meglio dei due racconti, è poco riuscita.

La storia mette in gioco i valori della società condivisi

Abbiamo detto in precedenza che l'epilogo è quasi sempre più intuibile all'inizio del racconto, quando il narratore presenta la situazione iniziale. Con ciò non si vuol dire che in tutti i racconti agisca una specie di meccanismo automatico che si metta in movimento una volta dato il via all'azione. Poichè il racconto è uno dei modi per esplicitare i valori su cui la società è costruita, la folla, dal momento in cui viene posto il problema iniziale, sente quali siano i valori in gioco e, almeno globalmente, intuisce quale sarà il risultato finale.
Il ragno e la larva (akokonan) lavorano assieme il loro campo.Il ragno cammina normalmente e ogni giorno arriva al lavoro al mattino presto. La larva, strisciando, arriva nei campi verso sera, quando è già l'ora di ritornare. Ogni giorno succede la stessa cosa. La larva si decide ad andare alla ricerca di un farmaco che le permetta di camminare velocemente e arrivare nei campi alla stessa ora del ragno e trova il farmaco. Il ragno, giunto nei campi, vede la larva già al lavoro e subodora qualcosa di anormale. Al mattino seguente sorveglia il compagno: lo vede uscire di nascosto dal villaggio, andare in un luogo appartato e pronunciare la parola atumvin. Appena pronunciata tale parola si innalza e vola verso i campi. Il ragno udita la parola magica imita immediatamente la larva.
A questo punto la folla, pur non conoscendo il resto della narrazione, immagina già quali saranno le conseguenze dell'azione del ragno: al ragno, cioè, capiterà quel che capita a un ladro nel villaggio, non potrà godere impunemente di quanto ha rubato. La situazione finale mostra la larva che interviene per salvare il ragno, vittima della sua appropriazione indebita, in quanto non conosce la parola necessaria per fermarsi.
Il ragno vola e arriva nei campi: desiderando scendere, dice: "Mi fermo qui", ma non è quella la formula giusta.Il ragno passa dunque sopra il suo capo, vittima del suo furto.
Preso dalla paura ripete più volte la parola magica, ma invece di fermarsi, continua, più veloce che mai, nel suo volo. Infatti la parola atumvin, ogni volta che viene pronunciata, funge da "acceleratore": atumvin fa volare, non fermare. Il ragno vola,vola, vola, non fa che volare: nel villaggio tutti sono in pensiero; il ragno è scomparso da parecchi giorni. Le sue mogli e i suoi figli piangono, non hanno più nulla da mangiare. La larva ha infine pietà del ladro e un giorno che il ladro vola sopra il villaggio, pronuncia la parola magica per farlo scendere. Il ragno discende: è morente a causa del lungo, involontario digiuno. A un ladro non possono capitare che disavventure.
In altri casi la situazione finale, pur essendo intuibile, può risolversi in modo imprevedibile. Nel racconto del ragno che ruba il mais ai geni, esposto in precedenza, il ladro scoperto, per punizione, sarà percosso, ogni giorno, per un intero anno. Il ragno cerca con vari sotterfugi di sfuggire alla punizione, ma non ci riesce. A questo punto la folla si chiede se il ragno sarà veramente punito per un intero anno o se riuscirà a sfuggire prima all'ira dei geni vendicatori. Il suo furto è stato infatti sufficientemente punito: ogni giorno i geni lo fanno sanguinare. Sarà il figlio del ragno a suggerire al padre il mezzo per sfuggire alla punizione. Grazie al consiglio del figlio, il ragno riesce a liberarsi dai geni: ancora oggi nei villaggi un ladro è punito e poi lasciato libero.

Identico punto di partenza, finali diverse.

Si danno casi in cui lo stesso problema è risolto in modo diverso, cioè un identico punto di partenza porta a due situazioni finali differenti. In tal caso una di esse è probabilmente manipolata. Ma quale? Da quali indizi si può riconoscere la situazione finale "arrangiata" dal narratore?

La moglie obbliga il marito a parlare, e costui muore

Per esempio, nel racconto "L'uomo che comprende il linguaggio degli animali" possediamo due versioni che seguono lo stesso schema fino quasi al termine. Il marito, comprendendo il linguaggio degli animali, è spesso portato a ridere per quel che, lui solo, comprende. La moglie immagina che il marito rida di lei e perciò lo fa convocare dal re. Il marito sa che, se parlasse, per lui sarebbe la fine. E' a questo punto che i due racconti si diversificano. Ecco le due finali.
"Allora la donna convocò il marito dal re. Arrivarono ed esposero i fatti. L'uomo disse :"Non parlerò". La moglie rispose: "Devi dire la ragione per cui ridi di me quando siamo a letto insieme". Il re disse a sua volta:"Se fra tre giorni non avrai parlato, ti uccideremo". Ecco a che punto si era. L'uomo era arrivato davanti al re: si erano riuniti e lo avevano interrogato. Allora l'uomo disse: "Se parlo morirò, ma non fa nulla, parlerò e morirò. Ero andato a raccogliere linfa di palma. Un'antilope arrivava sempre prima di me sul posto e beveva la lin- fa... Un giorno l'ho sorpresa e l'ho convocata davanti a tutti gli animali. Per ricompensarmi, gli animali mi hanno dato un farmaco con il quale avrei compreso il linguaggio di tutti gli animali... Ero a letto con mia moglie. Tre topi passano. L'uno dice: "Togliti di lì che voglio orinare sull'occhio malato della donna"
Improvvisamente l'uomo... kpum! Cadde a terra morto".
Allora il re sentenziò: "Si uccida pure la donna, perchè è stata causa della morte del marito". Alla donna venne tagliata la testa".

La moglie vuole obbligare il marito a parlare, ma il Gallo lo salva

I due arrivarono al villaggio. Arrivati al villaggio, tutti si riunirono. L'uomo, per quanto lo riguarda, sapeva già che, se avesse svelato il suo segreto, cioè che comprendeva il linguaggio degli animali, sarebbe morto. Restarono al villaggio per molto tempo. Discussero a lungo. L'uomo non voleva parlare. La donna voleva forzare il marito a raccontare le sue faccende. Costui non voleva parlare... L'uomo sapeva che se avesse parlato, sarebbe morto. Preferiva divorziare piuttosto che morire. "So quel che devo fare per avere la vita". Tutti sono riuniti. Le persone riunite sono veramente numerose. Sono numerose come gli abitanti di Koun. Improvvisamente un gallo e una gallina passarono in mezzo alla folla: crècrècrècrè. Il gallo disse alla gallina: "Fermati che voglio possederti". La gallina rispose: "Non voglio". "Ti dico, fermati che voglio possederti", disse ancora il gallo. "Non voglio", rispose di nuovo la gallina. "Va bene, se è così allora divorzierò". L'uomo, che comprendeva il linguaggio degli animali, disse: "Ho capito, va bene così. Poichè le cose stanno così, amica mia, mi vedo costretto a lasciarti libera, piuttosto che morire mentre tu resti in vita...". L'uomo rimase solo. Ecco la ragione per cui il divorzio è entrato nel mondo".

Il peso della tradizione

Tra questi due finali, il più vicino alla tradizione è molto probabilmente il primo. Le ragioni che ci fanno propendere per questa scelta sono sia di ordine interno, cioè inerenti all'economia del racconto, sia esterne, riguardanti cioè la società di cui i racconti sono l'espressione.
Abbiamo già avuto occasione di notare come la perturbazione d'una legge naturale sia fattore di squilibrio, di disordine, di guai. In questo caso, l'uomo entra nel mondo degli animali, impossessandosi del loro linguaggio: una tale violazione può durare senza conseguenze? A prima vista parrebbe di sì, purchè l'uomo sappia mantenere il suo segreto: infatti, perderà il privilegio, e anche la vita, solo se svelerà il segreto. Nel secondo racconto l'uomo riesce infatti a mantenere la propria condizione accettando che la moglie se ne vada, piuttosto che morire lui e lasciare lei in vita.
In tutta la nostra raccolta è questa la sola storia del genere che termina in modo diverso dalle altre:
1) la perturbazione di una legge naturale non ha conseguenze serie, l'abbandono della moglie non potendo essere considerato una conseguenza adeguata;
2) il patto fra l'uomo e gli animali è mantenuto, mentre di solito esso è infranto;
3) la situazione iniziale non è ristabilita: la perturbazione permane tale anche alla fine del racconto. L'uomo continua a godere del suo privilegio; questo fatto, nel caso specifico, può parere normale,
dato che il patto non è stato violato. Ma è un elemento anormale, presente unicamente in questo racconto.
Tali elementi sono invece assenti nel primo racconto in cui l'uomo rompe il patto e paga con la morte, ristabilendo la situazione iniziale. Anche sotto l'aspetto strettamente storico, la conclusione del primo racconto è molto più conforme alla realtà sociale. Sono infatti numerosi i racconti in cui viene messo in evidenza l'assolutismo del potere, l'arbitrio dell'autorità, eser- citata con eccessivo rigore, applicando la pena di morte anche senza validi motivi.

Il potere assoluto dei sovrani

Il potere esercitato da questi sovrani era veramente assoluto, come si vede anche nel racconto del re che allevava un pitone il quale, poco alla volta, semina distruzione e morte al villaggio, Al di là dell'immagine narrativa si può intravvedere l'autorità tirannica del sovrano, messa ben in evidenza dallo svolgimento di tutto il racconto. Nessuno poteva parlare con questo sovrano: a chi avesse osato farlo, veniva tagliata la testa, come è detto esplicitamente nel testo.
In un contesto simile è evidente che una persona convocata davanti al tribunale del re e dei suoi notabili non avrebbe potuto esimersi dal parlare. Il re aveva nelle proprie mani ogni mezzo di coercizione.. Era altamente improbabile che un individuo, che nascondeva un segreto, fosse lasciato libero di parlare o meno; infatti, il racconto nella prima versione è esplicito: "O parli, o fra tre giorni sarai ucciso".
Nel finale si ha la morte dell'uomo e della donna: l'uccisione della donna rientra nella prassi comune perchè chi causa la morte di una persona, volontariamente o meno, è messo a sua volta a morte. Dunque, il finale del racconto è quasi certamente non tradizionale ma rimodellato secondo istanze recenti. Nel nostro caso,anche se non ci è dato sapere a partire da quali elementi il narratore abbia rielaborato il finale, non è difficile scoprire i motivi di fondo cui s'ispira.
Nella società attuale, quella in cui il narratore vive, il potere tradizionale ha perso gran parte della sua autorità. L'autorità delle corti reali, delle "chefferies", dei capi-villaggio, dove esiste ancora, è fortemente temperata dal potere centrale. L'amministrazione governativa è presente ovunque con i suoi agenti: prefetti, sottoprefetti, segretari generali e particolari del partito unico, controllori delle varie compagnie di Stato ecc. Il finale del racconto è quindi il riflesso di questa nuova situazione, ma forse anche d'una sempre più decisa affermazione dei diritti maritali in seno a una società matrilineare che, almeno sotto l'aspetto economico, è in decadenza.

Finali manipolate

La manipolazione delle finali merita particolare attenzione: non sempre è facile scoprire tali manipolazioni, tanto più che l'elemento nuovo è spesso abilmente fuso con il resto, in un tutto armonico. Resta comunque sempre l'indizio fondamentale più sopra enunciato: quando un racconto termina diversamente da quanto fanno presupporre le premesse, presentando conclusioni antitradizionali, quasi certamente il finale è manipolato.

Da dove provengono i correttivi?

A questo punto si pone il problema se si possano individuare con precisione le istanze moderne, che fungono da correttivo della tradizione. Nel caso esaminato, si sono potuti individuare solo gli influssi che generalmente esercita l'evoluzionwe del mondo tradizionale, di cui si perde poco alla volta il valore normativo.
Presentiamo ora un caso in cui questi influssi, oltre ad essere più manifesti, sono di un ordine ben preciso. Il finale del racconto va scopertamente al di là dell'attesa della folla che si aspetta il finale intuibile dall'inizio del racconto e previsto dalla tradizione.

L'influsso delle nuove religioni

"Una donna affida i suoi tre bambini alla sorella maggiore che è senza figli e vive, sola con il marito, in un accampamento nella foresta. Compie questo gesto per alleviare la solitudine della sorella. La sorella maggiore e il marito, entrambi musulmani, uno alla volta, uccidono e mangiano i bambini. La madre un giorno va a trovare i propri figli. Non li trova. La sorella la rassicura, dicendole che sono nei campi. La madre li attende, li attende, li attende...chiamandoli con i canti a cui risponde invariabilmente la sorella, dandole sempre la medesima risposta. Finalmente un giorno la sorella maggiore svela ciò che ha fatto, mostrandole la testa dei bambini. La madre, dopo un accorato rimprovero, se ne va dal re e racconta il misfatto della sorella. Il re sentenza: "Per una persona del genere non c'è che una punizione: il taglio della testa. E' questa la legge, la si applichi" '. In questo modo termina,per esempio, il racconto "Foe chian". La madre snaturata, che inviava volontariamente i suoi figli alla morte, viene presa e sacrificata per il bene del villaggio. Qui invece la tradizione non viene seguita: la sorella minore interviene in favore della maggiore, affinchè non venga uccisa.
Ecco le parole della donna:
"Lascia perdere questo castigo. Noi non sappiamo cosa potrà capitare anche a noi un giorno. Questo potrà, un giorno, servirci come esempio. Dunque non ucciderla, lasciala in vita. La dove andrà con il suo rimorso, solo Nyamien lo sa. Se Nyamien vorrà che io abbia ancora figli, allora li metterò al mondo, e un giorno questi bambini mi renderanno servizio. Io non rifarò più una cosa simile, sarà forse lei che ricomincerà". Quesate parole possono essere considerate espressioni della filosofia bona o frutto di contatti esterni? Siamo di fronte a un correttivo introdotto sotto l'influsso del cristianesimo o delle leggi coloniali.

I correttivi influenzati dall'Islam

Esistono altri casi del genere. Prendiamo come esempio un racconto di F.V.Equilbecq, "L'implacabile creditore", in cui il finale è di sapore prettamente islamico, cioè non legato alla concezione religiosa tradizionale.
"Una donna va ad attingere acqua con le sue rivali. Costoro partono prima di lei. Ella rimane sola, senza aiuto per sollevare il suo recipiente d'acqua e metterselo sul capo. Un genio dell'acqua viene in suo aiuto, ma si fa promettere in ricompensa la figlia che la donna metterà al mondo. La donna promette e torna a casa, raccontando l'avventura alle rivali. La figlia nasce, ma la donna non si sente di sacrificarla al genio dell'acqua. La ragazza giunge alla soglia del matrimonio. La sera del matrimonio, una delle rivali, che non aveva figli, va ad avvertire il genio di ciò che sta succedendo. Il genio arriva nella casa della donna e grida: "Vengo a cercare quanto mi è dovuto". Al posto della figlia la madre gli consegna dei cavalli. Il genio li divora e ripete la sua richiesta. Gli si offre una mandria di buoi, che vengono subito divorati, e il genio continua a richiedere quanto gliè dovuto. Gli vengono successivamente offerti pecore, capre, prigionieri, cauri, le rivali della madre: il genio divora tutto. La ragazza disperata cerca rifugio dal padre. Costui si offre al genio al suo posto, pur di salvare la figlia, ma invano. La stessa cosa succede alla madre. La ragazza rimane sola davanti al genio e implora il soccorso di Allah.
Sta per essere divorata quando un violentissimo uragano si scatena dal levante (dal lato della Mecca): risucchia in un turbine il genio che viene scaraventato a terra.
Nella caduta, il ventre si apre e tutto ciò che aveva ingoiato esce "salvo la rivale che aveva avvertito il genio".

Finali a sorpresa e inattese

Se si paragona questo racconto con altri del medesimo genere, si nota subito che il finale è stato manifestamente manipolato.
Si veda, per esempio, sempre in F.V.Equilbecq, "Gli aiuti dei Guinnaru" ove pure sono in azione i geni d'un campo che "aiutano" Sabuyuma non solo nei lavori utili, quali dissodare, bruciare l'erba secca e le sterpaglie, seminare, ma in tutto, indipendente- mente dal vantaggio o danno che per lui ne consegue. Per esempio, se il figlio di Sabuyuma mangia una spiga, i geni lo aiutano a mangiarle tutte; quando il padre batte il figlio per il guaio combinato (il campo distrutto), i geni lo aiutano a batterlo e lo uccidono. Se Sabuyuma si gratta la schiena, lo aiutano a grattarsi fino a scorticarlo, e Sabuyuma muore. Solo per l'uomo l'azione è positiva o negativa, e limitata: per i geni tutti i gesti sono ugualmente meccanici e una volta in movimento non possono più essere fermati.
Nel finale dell'"Implacabile creditore", invece, all'ultimo momento Allah interviene e arresta la macchina infernale per salvare la ragazza, celebrando il trionfo del "vero Dio" sulla folla degli spiriti e delle divinità minori dell'antica religione tradizionale.
Sotto l'aspetto formale, questo finale è del tutto estraneo all'economia del racconto: il deus ex machina viene a risolvere una situazione altrimenti senza via d'uscita. Il racconto è distorto dalla sua linea naturale e piegato a servire una tesi sostituendo il finale tradizionale con un correttivo di ordine religioso di importazione. Il finale del nostro racconto è però di ordine completamente diverso anche rispetto a quello dell'"Implacabile creditore": la sua conclusione, anche se al di fuori delle norme tradizionali, non è per nulla imprevedibile, ed è il risultato della bontà della donna, che si manifesta durante tutto il racconto.
Il finale a sorpresa è estraneo ai nostri racconti: nella nostra raccolta non ce n'è alcuno di questo genere, mentre esiste una serie di racconti in cui interviene l'Essere supremo, la cui azione è mediata attraverso l'uomo: un cacciatore, un amico, un incontro fortuito. L'Essere supremo non interviene mai direttamente e inaspettatamente.

Trasmettere nuove visioni e nuovi valori

Restano da considerare ancora due elementi importanti: i racconti trasmettono un insegnamento che i bambini presenti assorbono. Una delle norme cardine su cui poggia l'esistenza del gruppo è che colui che fa il male riceverà male, colui che fa il bene riceverà bene secondo la legge del taglione.
Nel nostro caso la donna invece, dopo aver ucciso tre bambini, è perdonata e lasciata libera. Atta Koffi Raphael ci faceva osservare che nella tradizione Bona il perdono è sconosciuto, anche nelle forme più ridotte, e perciò questo è un rapporto cristiano, aggiungendo: "Secondo la tradizione, il racconto avrebbe potuto terminare nel modo seguente: il re prese la sorella maggiore e le fece tagliare la testa. Ecco la ragione per cui una sorella maggiore non deve uccidere i figli della minore, anche se non ha figli. Devi ammettere che una conclusione di questo tipo può fare effetto sulle giovani destinate ad essere madri o...sterili. Il racconto deve conservare la sua funzione educativa. Non è forse certo un caso che questo racconto provenga da Koun Fao, dove i missionari sono presenti da lungo tempo".
Secondo Atta Koffi, dunque, il finale in questione è palesamente influenzato dal cristianesimo: l'autore ha saputo sapientemente e discretamente inserire l'elemento cristiano all'interno del materiale tradizionale, rimodellato secondo altri valori. E' lontano dallo spirito dell'autore un proselitismo chiassoso o una propaganda dichiarata: egli non fa altro che trasmettere, secondo moduli tradizionali, un messaggio nuovo cui crede e di cui è profondamente permeato. Anche stilisticamente il racconto si snoda armonioso.

Le formule finali di chiusura

Ogni racconto termina con un insegnamento che, di solito, ne riassume il contenuto. Le formule conclusive si presentano sotto forme diverse: eziologica, parenetica, religiosa.
Sarebbe errato pensare che tutto l'insegnamento del racconto si riduca al condensato finale: ogni racconto ha un messaggio interno diffuso che ognuno percepisce secondo le sue capacità e possibilità. Questo insegnamento, trasmesso lungo tutta la narrazione, è assorbito quasi inconsciamente, è il vero messaggio del racconto che si esprime durante tutta la narrazione soprattutto attraverso la critica e la satira dei personaggi.
Non è qui il luogo di analizzare gli insegnamenti dei racconti. Vogliamo soltanto elencare alcuni possibili tipi di conclusione. Tutte le volte in cui si parlerà di situazione finale, di formule conclusive, morale, non intenderemo riferirci alla situazione finale del racconto cui corrisponde la situazione iniziale o la impostazione del problema, ma unicamente alle formule finali con cui il narratore chiude il suo racconto.
Le formule di chiusura possono essere divise in due grandi categorie, all'interno delle quali sono possibili ulteriori suddivisioni. Le une sono la conclusione normale e logica del racconto: la formula finale riassume quanto si è raccontato, condensan- dolo in una frase pro-memoria che serve sia da insegnamento, sia come commento. Il questo caso, il finale non è legato tanto alla personalità del narratore, quanto alle vicende narrate. Le altre, invece, hanno un legame più tenue con il contenuto della narrazio- ne, anche se la conclusione è consequenziale a quanto precede: ma la narrazione potrebbe essere diversa senza che per questo il finale muti; oppure, i racconti possono trattare lo stesso tema e terminare in modo differente. In questo caso, il finale "sa" di esterno. Pur non essendo estraneo all'economia del racconto, è maggiormente condizionato dalla personalità del narratore che dal- la logica del racconto. Abbiamo tutta una serie di racconti con finali identiche, ma con intreccio totalmente diverso, e viceversa.

Qualche esempio del primo gruppo

Rientrano in questa categoria soprattutto le conclusioni che potremmo definire eziologiche. Esse spiegano la causa per cui, per esempio, l'avvoltoio mangia i vermi delle latrine, oppure come mai il ventre è il re di tutte le membra. In questi casi, il finale è la conclusione attesa e già implicita nella narrazione. Il vero insegnamento morale si situa al di fuori della formula conclusiva:
"L'avvoltoio ha come padre il re della regione. Un giorno, il padre muore. Dopo i funerali, tutti i suoi dignitari, gli animali della corte, si ritirano nelle loro case, lasciando l'avvoltoio solo con la madre. L'avvoltoio era stato abituato a vivere alle loro spalle: non aveva alcun mestiere né sapeva cacciare. Improv- visamente si trova solo. Non sa procurarsi il cibo, e d'altronde nessuno gliene offre. Sentendosi morire di fame decide di scendere nelle latrine pubbliche e di cibarsi delle larve che vi si trovano. Se non morirà, avrà trovato il suo cibo. Infatti non solo non muore, ma anzi si sente bene. A partire da quel giorno l'av- voltoio si ciba regolarmente delle larve dei gabinetti".
In questo racconto la conclusione è già implicita nella narrazione: il finale non è estraneo al soggetto, ma è l'esplicitazione e il riassunto degli avvenimenti narrati. Il tutto forma un'unità armonica. In questo caso non sarebbe appropriato parlare di una morale. Il vero insegnamento del racconto non è nell'indi-cazione finale, che spiega unicamente la causa dello strano com- portamento d'un volatile, ma traspare piuttosto da tutto il racconto. E' una chiara lezione per i fannulloni, gli imprevidenti e per coloro che vivono alle spalle degli altri.
Le stesse osservazioni valgono per il racconto "Il ventre, re di tutte le membra":
"Tutte le membra sono figlie di Nyamien. E' Nyamien che le ha create. Ognuna vive per conto suo. Un giorno Nyamien decide di visitarle ad una ad una, senza farsi però riconoscere. Vuol ren- dersi personalmente conto di quale sia la migliore di tutte. Si traveste da mendicante sporco e puzzolente e se ne va a trovare i suoi figli. Ovunque è mal accolto, mal alloggiato, mal nutrito. Solo il ventre lo accoglie bene, malgrado la sua sporcizia maleo- dorante. Nyamien convoca tutti i figli presso il ventre, nominandolo loro re: tutte le membra dovranno, d'ora in avanti, lavorare per lui".
Anche in questo racconto la conclusione è naturale e logica, il riassunto delle vicende interne. Come nel racconto precedente, gli insegnamenti vanno ben al di là della formuletta esplicativa finale, volta unicamente a spiegare un dato dell'esperienza quotidiana. Dal modo negativo di comportarsi dei personaggi davanti allo straniero, la folla non ha difficoltà a comprendere quali siano i valori in questione: l'ospitalità è infatti una pietra fondamen- tale nel codice di comportamento presso i Bona.

Conclusioni eziologiche

Rientrano in questo gruppo anche i racconti che potremmo definire "delle origini": quei racconti che narrano le origini delle istituzioni, per sempio, del re, della regina, dei seggi atavici, della festa degli ignami, del portavoce, del matrimonio, delle professioni, del cibo, delle favole ecc. Quando il narratore termina il suo racconto, conclude invariabilmente così: "Ecco la ragione per cui il re e la regina sono arrivati nel mondo"; oppure: "Ecco l'origine della festa degli ignami e la ragione per cui nel mondo si mangia l'igname".
Queste conclusioni non sono che il sigillo a quanto è stato raccontato. Visto il contenuto della narrazione, il finale non può essere diverso. Si hanno casi in cui il racconto presenta varie sezioni interne, ognuna con una sua conclusione parziale, che vengono poi riprese alla fine della narrazione:
"Quando Nyamien creò gli uomini mise i maschi da una parte e le donne da un'altra, e disse ai due gruppi che dovevano vivere separati. Nyamien depose poi della cenere in mezzo ai due villaggi per vedere quale dei due gruppi avrebbe raggiunto l'altro per primo. Ora le donne desideravano raggiungere gli uomini, ma non sapevano come fare per non farsi scoprire da Nyamien. Una sera, la loro regina le chiama e insegna loro il mezzo per raggiungere gli uomini senza che Nyamien se ne accorga: dovevano camminare all'indietro in modo che i passi partissero dal villaggio degli uomini verso quello delle donne. Il giorno seguente Nyamien, vedendo le impronte, pensò che fossero stati gli uomini a raggiungere per primi le donne. Li benedisse e riconobbe definitivamente il fatto:
sarà l'uomo che ormai dichiarerà l'amore alla donna e andrà a cercarla.Una volta conosciuta la decisione, le donne, la sera stessa, andarono tutte nel villaggio degli uomini. Il giorno seguente Nyamien va al villaggio delle donne per annunciare loro che ormai saranno gli uomini che dovranno raggiungere le donne quando desiderano sposarsi. Giunto al villaggio lo trova vuoto.
Stupito, se ne va dagli uomini e trova là tutte le donne. Allora comprende che erano state esse ad andare per prime e che le donne amano più degli uomini. Allora sentenzia:"A partire da oggi tu, donna, amata da un uomo, quando l'uomo verrà a cercarti, se anche tu lo ami, dovrai lasciare il tuo villaggio per raggiungere quello del marito e sposarti là nel suo villaggio". Ecco la ragione per cui l'uomo cerca la donna e la donna segue l'uomo nel suo villaggio".
La forma conclusiva non è un insegnamento morale, ma unicamente il condensato del racconto e, più precisamente, delle due conclusioni interne e parziali. Anche in questo caso è la giustificazione mitica della prassi attuale. Il racconto sancisce, in una società matrilineare, la residenza virilocale della coppia.