Primo impatto con l'Africa: l'arrivo a
Gorée sulla fregata l'Amazone.
21 GENNAIO 1861: Al mattino arriviamo in vista della
sommità dell'isola di Capo Verde e all'una del pomeriggio
gettiamo l'ancora a Gorée2. Gettiamo lo sguardo sui neri
che si presentano alla nostra vista sulla riva o che ci vengono
incontro sulle piroghe. La vista di questi uomini che noi siamo
venuti a evangelizzare ci produce una grande emozione di carità.
Soprattutto padre Fernandez3 è estremamente emozionato.
Vorrebbe subito offrirsi per la loro salvezza. Per impulso di
questo sentimento, vedendo vicino al nostro portello di murata
una piroga con degli uomini seminudi, getta loro una parte dei
suoi vestiti. Ma ci avvertono da parte dell'ufficiale di guardia
che la disciplina di bordo proibisce ogni comunicazione fra il
battello e gli stranieri. Dopo qualche ora sbarchiamo. A terra
siamo ricevuti con entusiasmo da uno stuolo di bambini che ci
conducono alla chiesa e alla canonica dove facciamo visita a padre
Lodsat della Congregazione del Santo Spirito e del Cuore di Maria,
parroco di Gorée. Ritorniamo a dormire a bordo, commossi
di aver messo piede per la prima volta sul suolo africano.
9 APRILE 1861: All'una del mattino padre Edde entra
in agonia. Gli abbiamo amministrato l'estrema unzione; subito
dopo recitiamo le preghiere dei moribondi. Muore poco prima delle
due. Recitiamo gli ultimi uffici religiosi davanti al cadavere
del nostro confratello. Alle 5 del mattino celebriamo la messa
presente cadavere. Il console fa tutti gli atti civili
e compera un terreno accanto a quello degli altri nostri confratelli5.
Sotterriamo il nostro caro confratello secondo il rito della Chiesa.
Lasciamo dunque qui, sotterrati l'uno accanto all'altro, i nostri
sei confratelli. Che i loro resti siano un pegno per la conversione
di questo paese alla fede cristiana.
20 APRILE 1861: Il signor Lartigue ci accompagna
a fare visita ai notabili del paese; facciamo questo giro in amaca.
Salutiamo una dozzina di questi signori. Si tratta di negozianti,
per la maggior parte nati nel paese, ma discendenti di brasiliani
o di portoghesi. Sono di colore quasi nero, si dichiarano cristiani
ma vivono tutti alla maniera dei pagani con un po' di vernice
di civiltà. Ci ricevono tutti molto gentilmente e sembrano
contenti del nostro arrivo.
Nota posteriore: Per ben capire ciò che segue, bisogna
sapere che nel passato esistevano a Whydah6 dei forti costruiti
dai governi europei per proteggere il commercio dei loro sudditi,
soprattutto la tratta degli schiavi. Quando questo triste commercio
fu abolito, i suddetti governi abbandonarono i forti o li passarono
in mano a qualche commerciante. A Whydah, in passato, c'erano
un forte portoghese, uno francese, uno inglese e uno olandese.
Nel forte portoghese la cappella, pur in situazione disastrosa
e quasi senza porte, era ancora agibile, con un campanile, due
campane e qualche vecchio paramento liturgico. Spesse volte si
mandava dall'isola di San Tommaso7 uno dei preti neri, ordinati
non si sa bene come, che sapevano solamente leggere la messa e
fare le cerimonie religiose, anche se in modo molto deplorevole.
Questi preti sovente conducevano una vita scandalosa, vivevano
fra i neri quasi a modo loro, ma erano pur sempre i rappresentanti
di Cristo: amministravano il battesimo ai figli dei discendenti
portoghesi e ai brasiliani, facevano le sepolture e dicevano messa
alla domenica, ma niente di più. Il cappellano che si trovava
attualmente a Whydah aveva molto scandalizzato i suoi compatrioti
e oramai non volevano più saperne di lui.
21 APRILE 1861: Durante la messa annuncio la creazione
canonica del Vicariato del Dahomé e i poteri che abbiamo
ricevuto dalla Propagazione della Fede8 per erigere qui
la missione. Per parlare con i cristiani mi servo della lingua
spagnola, dato che non so ancora il portoghese; ma mi capiscono
e anch'io li capisco quando parlano portoghese. La lingua portoghese,
del resto, è molto comune in queste contrade e forma come
il legame e la lingua universale in mezzo alle diverse tribù
che hanno ciascuna una lingua propria. Da ogni parte si rallegrano
del nostro arrivo e ci fanno ben sperare per la riuscita della
nostra missione. Siamo però nella sofferenza nel vedere
che questi portoghesi, bianchi o neri, che si dicono cristiani,
vivono esattamente come i pagani. I bianchi del Portogallo, come
pure tutti gli altri europei, sono poligami, i loro discendenti,
diventati quasi neri, hanno una religione che è un amalgama
mostruoso di paganesimo, di pratiche cristiane e di superstizioni
feticiste. Ci saranno molti rovi ed erbacce da sradicare in questo
campo prima che si possa fare germogliare il buon grano.
28 SETTEMBRE 1861: Vado alla spiaggia con padre
Fernandez per accompagnarlo e farlo imbarcare sulla Lisbonesa
per andare in Portogallo, e di là a casa sua in Galizia9.
Troviamo sulla spiaggia il capitano con parecchi portoghesi e
brasiliani che banchettano sotto una barca. Ci invitano a condividere
il loro pasto, ma rifiutiamo scusandocene. Siamo tutti e due molto
tristi e aspettiamo in pace, quasi senza dire niente, l'ora dell'imbarco.
I portoghesi fanno un grande pranzo, svuotano parecchie bottiglie;
molti di loro sono più allegri del dovuto. Finalmente prendono
posto nella baleniera per attraversare la barre10 e andare
a bordo. La barre non era troppo cattiva, ma si tratta
pur sempre di un passaggio difficile e pericoloso. Il signor Carvallo,
un brasiliano, quasi ubriaco, pretende di dirigere la manovra
e per scherzo dice delle stupidaggini al capo dei rematori. Costui
non prende bene queste parole e, per caso o per malizia, lascia
che l'ondata si spezzi sulla barca, che subito si riempie d'acqua,
e a una seconda ondata la barca si capovolge. Noi aspettiamo a
riva con emozione estrema, temendo di vedere perire qualcuno.
Padre Fernandez, afferrato da due neri vigorosi, è portato
a terra mezzo morto; i rimanenti riescono a tornare a terra a
nuoto da soli o sono portati da altri; perfino gli effetti personali
di padre Fernandez sono spinti a terra dalle onde. Questo caro
confratello era quasi morto. Devo svestirlo completamente come
un bambino, coprirlo con qualche vestito asciutto prestatoci dal
signor Ardisson, capo della spiaggia del forte francese, e portarlo
a Whydah. Dice che non vuole più partire, che preferisce
morire qui, che Dio ha fatto conoscere abbastanza chiaramente
la sua volontà. Dopo un po' di riposo sta già meglio
e dichiara nuovamente che non vuole più andarsene.
16 GENNAIO 1862: Il re sa grosso modo chi siamo
e il tipo di religione che professiamo, ma c'è un punto
che non capisce e sul quale stenta a credere. Si tratta del celibato.
Mi fa un mucchio di domande ben strane, le cui risposte lo meravigliano
assai. Al fine di convincerlo domando di lasciar parlare Amoua,
uno dei loro che ha visto da vicino il nostro tipo di vita a Whydah
e il cugino del re che è presente e che per 40 giorni aveva
vissuto con me. Questi due individui rendono una testimonianza
sfolgorante. Allora il re mi dice: "Non avrei mai creduto
possibile questo genere di vita, vi ammiro ma devo dire che non
saremmo capaci di imitarvi". Gli rispondo che molto aiuta
la grazia di Dio, la preghiera e la paura di offendere un Dio
che si ama, ma il re sembra capire ben poco di questi argomenti;
finisce col dirmi che è molto contento di avere nel suo
regno gente come noi.
16 MARZO 1862: Arriviamo al Capo Las Palmas. Ci fermiamo
solo qualche ora per imbarcare quelli che si dirigono verso il
Nord. Mi è stato impossibile andare a terra per trattare
con i Kruman, i marinai neri impiegati sulle navi europee, affinché
vengano a lavorare per noi. Fra coloro che si imbarcano c'è
il Presidente della Repubblica della Liberia10, che va a Londra,
e di là negli Stati Uniti d'America. Faccio conoscenza
con parecchi altri liberiani, fra i quali alcuni ministri protestanti,
tra cui uno molto istruito. Passiamo in rassegna i principali
punti delle rispettive dottrine, evidenziando gli aspetti discordanti.
Quasi tutti riconoscono che il Protestantesimo è un errore
di massa, che la verità è dalla parte cattolica,
senza tuttavia avere il coraggio di ritornare sui loro passi.
Se ne scusano, dando la colpa ai loro antenati.
30 APRILE 1862: Nel pomeriggio ritorniamo all'isola
Tumbo. Qui, su preghiera del padre, io battezzo una bambina di
tre anni, nata da padre francese e da madre maomettana. Una bella
pelle di tigre mi è messa a disposizione come tavolo per
i Sacri Olii... Prima di partire dall'isola do istruzione a parecchi
commercianti, che risalgono i fiumi per il loro commercio, sul
modo di amministrare il battesimo ai bambini in pericolo di morte,
sulle regole da seguire per contrarre legittimamente il matrimonio
in questi paesi lontani dove non c'è alcuna speranza di
avere dei preti. Mi assicurano che un gran numero di bambini sarà
salvato da questi commercianti. Dichiaro che è assolutamente
illecito e superstizioso il commercio di medaglie e croci come
amuleti contro le ferite in guerra. Questa povera gente è
di natura molto mite, incatenata dal culto maomettano e dall'idolatria.
Si copre di questi amuleti, che si chiamano gris-gris,
per rendersi invulnerabili. Mi fanno pietà.
1 APRILE 1863: Dopo l'incendio del forte12, il Jevogan13
viene al forte accompagnato da molti soldati. Lungi dall'esprimerci
il suo rammarico, come hanno fatto tutti, ci fa chiamare, seduto
sul trono e attorniato da soldati, come in tribunale. Ci dice
che dobbiamo versargli una certa somma di danaro poiché
questa è l'abitudine del paese. Parla come se ci condannasse
a pagare questa somma, come se dovessimo sborsarla immediatamente
e senza misericordia. Detto questo ci annuncia che più
tardi verranno gli stregoni per praticare le cerimonie d'uso per
simili frangenti. Gli rispondo coraggiosamente che la somma che
ci obbliga a pagare gliela daremo senza difficoltà, poiché
è lui il più forte, ma, quanto al resto, non possiamo
permettere che gli stregoni entrino nel forte. Il re ce l'ha dato
e ci aveva accordato la libertà religiosa14. Abbiamo quindi
il diritto di non ammettere queste profanazioni davanti alla nostra
chiesa. Il Jevogan riconosce i nostri diritti e ci assicura
che le cerimonie saranno fatte fuori del forte e sulla piazza
pubblica; non abbiamo più niente da ribattere... Con il
signor Barry mi reco dal Jevogan. Trovo riuniti presso
di lui parecchi stregoni. Mi fanno un lungo discorso per darmi
le prove della potenza del dio del fulmine e sul fatto che io
sono stato punito per non avere mai voluto rendergli omaggio.
Di conseguenza mi condannano a pagare una grossa multa di 500
franchi. Rispondo loro che ieri il Jevogan è venuto
da noi con i suoi soldati e, senza dirmi lo scopo, ha esigito
da noi una somma, che noi gli abbiamo versato. Ora che me ne domandano
un'altra per delle ragioni superstiziose, dichiaro che rifiuto
di pagarla. Mi minacciano nuovamente e, dato che io continuo a
rifiutare, mi prendono per le braccia e mi frugano le tasche,
togliendomi tutto quel che ho. Quindi mi trascinano in una prigione
buia dove sono lasciato solo. E' Giovedì Santo: non mi
lamento di essere trattato in questo modo. Tanto meglio per me,
se posso partecipare ai maltrattamenti fatti subire a Nostro Signore
in questo stesso giorno. Dopo circa una mezz'ora sono di nuovo
ricondotto davanti al Jevogan che mi dice: "Siete
liberi, potete tornare a casa vostra". Io protesto ancora
una volta contro questi soprusi e contro queste superstizioni,
e me ne vado. Il signor Barry mi dice, mentre usciamo, che ha
fatto capire al Jevogan che né io, né i miei
confratelli avremmo mai dato la somma esigita; che sarebbero nate
grandi complicazioni se avesse continuato a ostinarsi, e che si
sarebbe proposto lui stesso di pagargli una somma affinché
mi lasciasse libero e facesse cadere questo contenzioso. Rientrato
a casa, penso sia mio dovere informare i confratelli di quanto
è successo; i miei confratelli sono soddisfatti della mia
condotta, il che mi consola. D'altra parte, se i miei confratelli
non fossero stati convinti che io avevo agito nel giusto modo,
sarei nuovamente andato dal Jevogan per dirgli che poteva
mettermi in prigione, tagliarmi la testa, se voleva, piuttosto
che accettare qualsiasi compromesso.
16 APRILE 1864: Viaggio tutta la notte in piroga. Al mattino
di buon'ora, un po' prima del levare del sole, seduto sulla prua
della piroga, recito il breviario e ai miei piedi è accovacciato
uno dei miei uomini. Al levar del sole, si alza, si mette in ginocchio
e fa le sue abluzioni: toglie i sandali dai piedi e fa le preghiere
musulmane rivolto verso il sole. In quello stesso momento mi trovo
al punto del breviario dove si comincia l'inno Iam lucis orto
sidere. Sento una pietà profonda per questi poveri
ciechi che pregano in un modo così vano e superstizioso.
APRILE 1864. Nota. E' vero che di per
sé il Cristianesimo è proibito agli indigeni
perfino sotto pena di morte. Ma dal momento in cui, in qualche
modo, un individuo si mette assieme a un creolo, a un mulatto
o a uno di quei negri che si chiamano bianchi, perché vivono
alla maniera dei bianchi, non vi si oppone più. E' ben
vero che il cristiano è escluso dalle cariche pubbliche,
non gli si lascerà mai esercitare una certa influenza sociale,
i cristiani sono considerati come stranieri che vivono presso
i neri. L'indigeno che abbraccia il Cristianesimo viene considerato
come uno che ha abbandonato la sua patria. Ma finora il re e gli
altri capi non si dimostrano per niente ostili. Sappiamo bene
che gli stregoni ci vedono di mal occhio. Sembra che indovinino
che c'è una inimicizia profonda fra la loro religione e
la nostra, mentre invece si adattano molto bene ad altre idolatrie.
Di conseguenza, quando i cristiani saranno abbastanza numerosi
per avere un'influenza pubblica e avere una certa forza, non si
potrà fare a meno di incorrere nelle persecuzioni.
31 DICEMBRE 1864: Considero terminata la mia opera per la missione. Dispongo tutto per la mia partenza per l'Europa perché la mia salute, soprattutto i continui dolori al fegato, non mi lascia altra scelta. Ho undici ragazzi che devo condurre con me; spero di trovare il dodicesimo sul mio cammino, perché mi sono proposto di portarne dodici15. Che Dio ci accompagni e che il suo angelo sia con noi. Quando in Europa Mons. de Brésillac propose per la prima volta di intraprendere l'evangelizzazione del Dahomé, si credeva che fosse cosa impossibile. Ciò che si sapeva di questo Regno pareva dover rendere inutile l'opera dei missionari fin dal loro arrivo. Si immaginava anche che il Regno del Dahomé ricoprisse tutto lo spazio fra il Volta e il Niger. Si temeva il clima, che si pensava molto malsano, e si credeva che la popolazione locale fosse fra la più barbara di tutta l' Africa. Quando in seguito partimmo dalla Francia per venire qui, si guardava a noi come a temerari coraggiosi, ma in fondo al cuore c'era pietà per noi, come verso qualcuno che intraprende un'opera impossibile, che senz'altro fallirà. Ora, il risultato ci ha giustificato da tutto e di fronte a tutti. Il Dahomé, per quanto barbaro sia (e quanto agli usi sanguinari dei sacrifici umani lo è più di quanto si possa immaginare) ha così ben accolto l'opera dei missionari che, se niente sopravviene a interrompere la loro opera, sarà ben presto il paese che potrà evangelizzare gli altri. D'altra parte la sua estensione non è neppure un decimo di quanto gli si attribuiva appena qualche anno fa. La costa ovest, Grand Popo e Petit Popo e soprattutto Agoué sono aperti al vangelo e noi potremmo stabilirci là con sicurezza e con grandi possibilità di successo. Soprattutto le località di Porto Seguro e di Agoué sarebbero molto favorite perché piazzate direttamente sul mare, dove l'aria è più salubre. Per di più, attraverso la laguna di Porto Seguro, chiamata Hano, ci si può facilmente recare molto lontano verso l'interno. Porto Novo offre tutti i vantaggi possibili alla missione. Lagos sarebbe dal punto di vista strategico il luogo centrale di tutto il Vicariato Apostolico, per la facilità delle comunicazioni nelle tre direzioni e a motivo delle facili comunicazioni con l'Europa. Ha soltanto lo svantaggio di avere un clima che si dice più malsano degli altri, ma facendo un po' più di attenzione a scegliere il luogo più adatto per costruirvi le missioni, anche questo non dovrebbe essere un grande inconveniente. Del resto la cattiva reputazione attribuita a Lagos viene in gran parte dalle frequenti dissenterie che affliggono i bianchi. Ma io so che un gran numero di queste malattie sono state causate dall'abuso degli alcolici. Del resto, se piazzate direttamente sui bordi della laguna, le case non dovrebbero essere più malsane di quelle di Porto Novo e di Whydah. Il lato est del Vicariato Apostolico, il paese dei jebus, sarebbe molto favorevole se vi si potesse penetrare. Per il momento ciò è impossibile a causa delle inimicizie contro i bianchi, dopo il tentativo d'invasione a mano armata fatto dagli inglesi. Ma il paese più importante di tutti è Abeokuta. Questa città ci offre tutti i possibili vantaggi. Il solo inconveniente è la sua lontananza dalla costa, che può essere superata con un servizio regolare di comunicazione con Lagos (cosa assai facile). Se si dovesse mai penetrare nel cuore del Sudan e propagare il vangelo fra le vigorose popolazioni dei nango e degli haussa, bisognerebbe partire da Abeokuta. I nango che vi abitano, infatti, sono robusti, lavoratori, ben meno superstiziosi della gente della costa, parlano una bella lingua, compresa anche da molte altre popolazioni, e con il loro commercio vanno fin oltre Tombuctù. E' vero che in queste regioni si incontra la religione musulmana, ma non tutti sono musulmani nel Sudan.
Attualmente abbiamo due missioni regolarmente fondate: Whydah
e Porto Novo. A Lagos abbiamo già il terreno e l'opinione
pubblica molto favorevole. Si potrebbe quasi dire che la missione
di Lagos è già fondata. Agoué è nella
stessa situazione. Credo perfino che la gente di Agoué
sia molto incline al cristianesimo. Da tutto questo è lecito
concludere che l'evangelizzazione del Golfo di Guinea è
un'opera possibile e che offre le più grandi probabilità
di successo. L'inconveniente è la necessità di cambiare
sovente i missionari a causa del clima, ma questo bisogno diminuirà
man mano che ci si stabilirà in località più
salubri. Queste si trovano incontestabilmente nelle regioni un
po' elevate. Sotto questo punto di vista Abeokuta e i suoi dintorni
sono in buona posizione. Certamente si suppone che i missionari
si attengano alle regole di prudenza dettate dall'esperienza.
Occorre avere una grande calma, e poi evitare i colpi di sole, evitare di esporsi alla frescura della notte; inoltre grande regolarità nel nutrirsi, l'uso moderato del vino, del thè e in generale delle bevande che fanno sudare. Accontentarsi di fare un po' alla volta, sapendo che così si potrà lavorare più a lungo. Il migliore e forse unico sistema utile di fare la missione è: 1) avere una condotta irreprensibile ed evitare perfino le apparenze di disordine; 2) essere amici con tutti allo stesso modo ed evitare così inimicizie e preferenze, perché il missionario occupa una posizione che per sua natura è elevata, e non accondiscende a una familiarità troppo grande con qualcuno; 3) curare gli ammalati con grande zelo. Sovente le malattie di questi neri consistono in orribili ulcere alle gambe; bisogna accoglierli, curarli, pulirli, non badare al puzzo orribile, fare buon viso quando, a causa delle loro piaghe, si sentono respinti da tutti, talvolta perfino dai loro parenti. Questi sono per così dire i mezzi preparatori alla missione. L'evangelizzazione diretta deve esercitarsi soprattutto sui ragazzi. Occorre cominciare costituendo fra di loro un primo nucleo: prendere i migliori e farli abitare con i missionari. Aprire una scuola dove i ragazzi vengono attirati trattandoli bene e offrendo un luogo di incontro, di divertimento, di istruzione, facendo loro capire che li si ama. Questo metodo non può tardare a portare i suoi frutti. I ragazzi cresceranno e il buon seme maturerà. Insomma i missionari hanno tre grandi mezzi infallibili di cui servirsi: 1) la vita casta non soltanto realmente vissuta, ma anche testimoniata con un chiaro esempio; 2) l'esercizio della carità verso gli ammalati. Ciò offre un esempio di vita sconosciuto ai pagani e rivela un uomo diverso dagli altri, che presto conquista i cuori; i pagani sanno che possono trovare nel missionario una mano caritatevole che non li respinge a causa della puzza orribile delle loro piaghe; 3) la cura degli ammalati attirati attraverso una amicizia santa, ai quali occorre offrire un'occupazione utile mediante l'istruzione, e che è necessario riunire in un luogo comune. Non ci sono cuori così duri che possano resistere a questi mezzi apostolici veri. Basteranno 40 o 50 anni di missione per cambiare la faccia di un paese. D'altra parte tutte le virtù sono necessarie a colui che deve annunciare Dio, perché egli deve essere come il suo specchio. Per quel che riguarda la Guinea, in particolare, le diverse popolazioni che ho potuto visitare mi sono parse molto ben disposte. I nango e i gegi in particolar modo, come pure i jebus mi sembrano i meglio disposti di tutti. L'isola di Fernando Po15 e le montagne del Camerun offrono, nelle regioni elevate, un'aria più salubre. Le colline che si trovano a Nord del mare di Guinea, come quelle dove si leva Abeokuta o Coumassie16 offrono vantaggi analoghi; cosicché, se i missionari riescono a impiantarsi solidamente in una località favorevole e riescono a riunire lì un certo numero di cristiani, non avranno difficoltà a formare un villaggio cristiano e poi un altro ancora, e in questo modo, attraverso un lavoro perseverante e paziente, la fede regnerà in queste contrade.
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