CAPITOLO 3.




L'esploratore

Il fascino della straordinaria natura africana nei pressi di Dakar.

6 FEBBRAIO 1861: Andiamo a esplorare il paese nei dintorni del villaggio di Khan. La sabbia spinta dal vento forma delle dune, delle colline che spesso cambiano forma e luogo da un giorno all'altro. Siamo presi da uno strano sentimento osservando questa natura desolata dove non c'è nessun segno di vita. Ci dà un'idea di quel che dev'essere il deserto che occupa una così gran parte del continente africano.

13 FEBBRAIO 1861: Per la terza volta andiamo a esplorare il Capo Manuel che forma la punta più meridionale del Capo Verde, la più occidentale del continente africano. E' una fantastica massa di basalto suddivisa in colonne esagonali che si leva a picco sul mare a un'altezza di 30-40 metri, attorno alla quale il mare si agita in maniera impressionante. A bassa marea si può fare a piedi il giro di questa massa straordinaria, ma bisogna avere il piede e l'occhio sicuri per non precipitare in fondo all'oceano.

Quando fummo arrivati al bordo superiore della punta, padre Fernandez e il prete indigeno ebbero così tanta paura del rumore delle onde e dell'abisso che si offriva al loro occhio, che si coricarono per terra tremando. Soltanto una guida della missione ebbe il coraggio di accompagnarmi nella discesa e fare il giro del basalto. Ci ritornammo in seguito parecchie altre volte.

L'avventuroso viaggio verso la capitale Abomé per incontrare il re Gle-Gle.

24 NOVEMBRE 1861: Domenica. Mi sento ancora male ma nonostante ciò partiamo al mattino presto: è impossibile celebrare la messa dato che non avevamo i paramenti con noi. Vogliamo attraversare il Lama. Questo immenso acquitrino, chiamato dai portoghesi Lama, che vuol dire fango, si stende da Est a Ovest. Non si sa quale larghezza può avere, talvolta 3 o 4 chilometri, altre volte 5 o 6. Nella stagione secca si riesce ad attraversarlo a Nord del villaggio di Colli e passando da Equé, ma quando le acque sono troppo abbondanti la strada è impraticabile. Si fa allora il giro che anche noi facciamo. Nuovamente esposto al sole e in mezzo alle esalazioni acquitrinose mi sento ancora male. L'amaca è ricoperta da una leggera tenda per proteggere dal sole, ma abbiamo dovuto toglierla per attraversare la sterpaglia. Si cammina a gran fatica in un fango argilloso molto viscido, nel quale gli uomini sprofondano fino all'anca. Colui che è portato in amaca è sballottato in aria in tutti i sensi. Quando si incontrano delle pozze di acqua fangosa ognuno cammina sondando il suolo con dei lunghi bastoni. Quando entriamo in una di queste pozze io perdo la vista e in seguito perdo completamente conoscenza. Dopo un po' di tempo i miei portatori si fermano nel mezzo del Lama e mi depongono per terra; allora si accorgono che sono svenuto: grande spavento in tutti. I passanti si fermano e altri vengono dai dintorni. Dopo più di un'ora di svenimento riprendo conoscenza. Attorno a me è riunito un centinaio di persone, venute dai villaggi vicini. I neofiti mi diranno in seguito che si erano spaventati per paura che io morissi; nel qual caso si avrebbe potuto sospettare un omicidio e i miei portatori avrebbero rischiato di avere la testa tagliata. Ci si rimette in cammino, ma io soffro terribilmente. Per tirarmi un po' su fino ad ora ho avuto soltanto un po' d'acqua fangosa. Poi attraversiamo un luogo dove c'è un ruscello di acqua limpida, che va da Est a Ovest.

A Capo Las Palmas il rischio di fare naufragio.

5-10 MAGGIO 1862: Termino di copiare una grande carta topografica della colonia di Sierra Leone, che il governatore inglese ha voluto prestarmi. Gli restituisco l'originale.

15 MAGGIO 1862: E' mezzogiorno. Abbiamo una piroga in comune con altri passeggeri inglesi. Andiamo a cercarli a casa del ministro protestante. Li troviamo a tavola e ci riesce difficile deciderli a partire. Dopo un'ora di suppliche, finalmente ci imbarchiamo con un mare orribile. Riempiamo la piroga; un po' al largo il tempo diventa spaventoso. Il battello è ancorato a 4 chilometri da terra. Le onde sono così alte che assomigliano a delle montagne di acqua che vengono a infrangersi su di noi. Io mi metto sulla punta anteriore della piroga, girandomi di schiena all'onda per farla frangere su di me e lasciare entrare meno acqua nella piroga, che continuamente deve essere prosciugata. Grazie a Dio, dopo aver rischiato più di mille volte di annegare arriviamo al battello. Salto per primo nella scialuppa del battello, aiuto gli altri a fare altrettanto e mi isso a bordo lungo una corda che ci hanno gettato. Il capitano ci sgrida per avere tardato così tanto a imbarcarci, ma tutti sono contenti nel vederci salvi.

In piroga verso Abeokuta attraverso un paese in guerra.

7 MAGGIO 1864: Stamattina partiamo, dunque, su cinque piroghe. Verso le 9 sento delle grida, delle urla selvagge e un'agitazione fra coloro che occupano le piroghe. Esco di sotto il mio riparo di frasche per vedere ciò che succede. Lorenço18 è spaventato a morte. L'ufficiale del Bacheron (il rappresentante del re di Abeokuta, nell'attuale Nigeria meridionale), che stava in un'altra piroga, viene da me e mi dice di non temere. Allo stesso tempo vede discendere una, due, tre, poi altre piroghe piene di soldati armati che brandiscono il fucile e la spada, e che lanciano urla formidabili. Mi porto in piedi sulla punta della poppa della mia piroga, per vedere meglio. L'ufficiale sale su un mucchio di mercanzie in mezzo a un'altra piroga e andiamo incontro ai soldati, con la mia piroga in testa. Quando siamo vicini, l'ufficiale innalza più che può la grande spada del Bacheron e svela il contenuto della sua missione presso di noi. Il capo dei soldati mi fa passare innanzi; dopo la mia piroga ne lascia ancora passare altre 6, dopo altre lunghe spiegazioni. Alle ultime cinque piroghe si dà ordine di indietreggiare e di attraccare su un banco di sabbia a 400 metri da là. I piroghieri sono muti dal terrore. Poi arriva una grossa piroga armata. Il capo viene sulla prua e mi tocca la guancia con il suo fucile, fingendo di minacciarmi. Resto impassibile e rispondo alle sue minacce con un saluto gentile. Poi mi dice: . Poi ci danno l'ordine di risalire il fiume e di attendere il ritorno dei soldati. Mi spiegano a bassa voce che i soldati vogliono fare razzia delle cinque piroghe rimaste indietro, ma non vogliono farmi vedere gli orrori. Con il mio cannocchiale, infatti, vedo lontano le cinque piroghe trascinate sulla sabbia e un gran numero di soldati che entra nel bosco vicino - mi dicono - per tagliare ognuno un bastone con cui massacrare i piroghieri. Lorenço mi riferisce tutti questi discorsi che sente tendendo l'orecchio. Mi dice che i soldati prenderanno tutto quel che possono dal carico delle piroghe, bruceranno il resto assieme alle piroghe e massacreranno i piroghieri; però non vogliono che io sappia quel che sta succedendo. Un po' più tardi siamo raggiunti da parecchie piroghe di questi soldati che vengono a chiederci di buona grazia quel che non possono prendere con la forza.

Approdo disperato a Vittoria.

8 GIUGNO 1864: Al mattino si alza una buona brezza di terra ma, cosa incredibile, i miei marinai non vi prestano attenzione. Si perde tutta la mattinata a rattoppare quella misera randa di mezzana, senza approfittare della brezza. Finalmente si parte. Siamo costretti a issare la piroga sul ponte per non perderla. Questa manovra rischia di farci capovolgere. Vedendo che non riusciamo a venire fuori dalla nostra posizione, mi raccomando di tutto cuore alla Vergine Santissima, e al mio grande protettore l'arcangelo San Raffaele, che già tante volte mi ha salvato dai pericoli. Facciamo dei bordeggi troppo corti e ci ritroviamo ancora all'est dell'Hulk. Allora mi decido a fare un colpo decisivo. Al momento in cui cambiamo bordeggio, allontanandoci da terra, afferro un randello di legno che mi capita sottomano e dico al pilota che deve continuare la navigazione finché io gli dica di bordeggiare, altrimenti lo butto a mare. Minaccio allo stesso modo gli altri negri, con gran terrore di Lorenço che è estremamente meravigliato di questo mio modo di fare. Il pilota, preso fra due paure, si decide a lasciarmi fare e proseguiamo per parecchie miglia prima di bordeggiare. I negri tacciono, mi lasciano fare, più stupefatti che mai. Guardano con terrore da una parte la terra che sfugge, dall'altra il randello che tengo vigorosamente in mano, con la minaccia di picchiare se non mi ascoltano. Finalmente viriamo di bordo e al ritorno riusciamo appena a girare attorno all'Hulk. Se la nostra bordata fosse stata appena più corta, saremmo ancora ricascati a Est. Qui cambia tutto. La corrente si divide in due davanti all'Hulk. Anche il vento ci diventa favorevole e il tempo si fa chiaro. Doppiamo il capo Samboko e, con grandissima gioia del mio equipaggio, corriamo diritti verso Vittoria. Vediamo con ammirazione emergere davanti a noi il grande colosso del Camerun, il bel picco doppio di Bimbia. Poi, più in basso, le due isole Mondori e N'dami e le roccie dei pirati. Tutto ciò forma il porto di Vittoria (nell'attuale Camerun), villaggio recente che vediamo addossato sul fondo dello scenario. La corrente molto forte (3 o 4 miglia all'ora) che viene da Sud si biforca sulla punta dell'Hulk e il vento pare andare nella stessa direzione. Siamo al colmo della gioia per la nostra liberazione e pieni di ammirazione per la natura meravigliosa che abbiamo davanti agli occhi. Entrati in questo grande porto naturale che i francesi chiamano Baia di Amboise, una delle più belle d'Africa, siamo così colpiti che non vediamo neppure una nave.

Alla scoperta delle vette del Camerun.

13-15 GIUGNO 1864: I villaggi di Batumbo, di Bouenda o di Lobo, che si trovano più in basso di Mapania, sarebbero ottimi per impiantarvi una futura missione. Mapania però è già troppo elevata; non si trovano più sorgenti di acqua, mentre Batumbo ne è molto ben fornita. Gli abitanti di questo villaggio mi sono parsi più disponibili. Per stabilire una missione in queste montagne, sarebbe sufficiente raggruppare parecchi villaggi, e farne un solo stato, capace di difendersi dagli attacchi. Credo che a poco a poco si riuscirebbe a impiantarvi la fede, istruendo i ragazzi come siamo riusciti a fare così bene sul Golfo di Guinea. Non ho ancora potuto capire niente di quanto riguarda le credenze e superstizioni di questo paese. Non ho notato da nessuna parte oggetti di culto. So soltanto che si crede, qui come altrove, all'esistenza dell'anima dopo la morte, come si crede in un Dio supremo che ha fatto tutto, ma al quale non si rende alcun culto. Ho notato questo pomeriggio qualcosa di misterioso in una capanna vicina a quella di Botany. Egli stesso con le sue donne vi hanno trascorso un certo tempo.

La grande montagna che noi chiamiamo il Picco del Camerun, che Burton stima superare i 4.000 metri di altezza, a Bosumbo è chiamata Paio. Non ho potuto sapere ciò che significa. Ma altrove, dappertutto, a partire dal fiume Camerun fino verso il Rio del Rey, si chiama Mongo-ma-Loba. Secondo le mie guide Mongo significa montagna, Loba è il nome che si dà a Dio. Burton crede che questa montagna sia la celebre theôn ochema o Deorum currus del periplo dei Cartaginesi. Non ho tempo qui per discutere su questa opinione, che del resto mi pare inconciliabile con il racconto che ci rimane del periplo, perché i Cartaginesi, guidati da Hesan, arrivati al theôn ochema, dovettero ritornare sulla loro strada per mancanza di viveri, come fa notare il testo greco. Ora, se in quei tempi i navigatori fossero stati senza viveri a una tale distanza dallo stretto di Gibilterra, con la navigazione del ritorno così difficile, non avrebbero mai potuto arrivare fino al Mediterraneo.

Le sorprese dei viaggi per mare!

9 LUGLIO 1864: Altra notizia dolorosa. Padre Lafitte e padre Cloud, che erano partiti da Whydah nel mese di febbraio sul Mathieu (un veliero commerciale) per ritornare a Marsiglia, per una straordinaria incapacità del capitano e del suo secondo, dopo aver navigato più di due mesi senza mai rendersi conto della rotta percorsa, al momento in cui si credevano nei paraggi dello stretto di Gibilterra, si sono trovati di fronte alla foce del fiume Volta, non lontani dal luogo dove si erano imbarcati. Ritornati a Whydah con gran sorpresa di tutti, hanno lasciato il Mathieu e sono ritornati in Europa sul battello postale inglese. I confratelli mi avevano subito scritto l'accaduto, ma non ho ricevuto niente. Non si è saputo in che modo spiegare l'aberrazione del viaggio del Mathieu. Il capitano è stato destituito e il battello è stato mandato il Francia sotto il comando di un ufficiale della marina da guerra. Non possiamo scendere a terra a causa della barre troppo cattiva.


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