Il culto dei feticci (19*).
Dapprima cercherò di indicare quelle credenze che abbiamo potuto scoprire, poi dirò cosa ne so io delle pratiche esteriori. Devo premettere che la mia esposizione sarà soltanto un abbozzo molto imperfetto, perché siamo ben lontani dall'avere potuto penetrare a fondo queste credenze. Correggo: è impossibile formulare un qualsiasi sistema di credenze, perché queste non formano un sistema nella mente dei popoli che abbiamo visitato e neppure nella mente dei sacerdoti che le hanno in deposito. Come l'errore e la menzogna, i dogmi del paganesimo non hanno né forma, né limiti. Il terrore, il desiderio sfrenato, la sete di piacere, i pregiudizi, le tradizioni confuse, la gelosia, l'odio dei vicini e altre simili furberie sono alla base delle credenze di questa povera gente. Se vi si aggiunge l'astuzia dei sacerdoti, degli impostori, che davanti a tutti rivestono un carattere sacro, ci si farà un'idea di cosa possano essere queste credenze. Qualche rimasuglio di tradizioni primitive conservano ancora qualche luce in mezzo a queste tenebre dense, che si fa notare da sola.
Si dice generalmente che i negri d'Africa, soprattutto quelli
dell'Africa tropicale, in fatto di religione sono feticisti e
si chiama feticcio ogni oggetto che riceve un culto qualsiasi.
Questo nome feticcio è stato dato dai primi navigatori
portoghesi agli idoli dei neri, secondo l'etimologia latina fictitus
e il portoghese feitiço. Di qui deriva il nome feticeiro
dei portoghesi, féticheur dei francesi e fattucchiero
degli italiani, per indicare i sacerdoti di questi culti mostruosi.
Ma se si volesse tentare di definire ciò che si intende
per feticismo, termine generico per definire queste religioni,
sarebbe impossibile farlo con chiarezza. Alcune volte si tratta
di forze della natura divinizzate, di fenomeni più eclatanti,
delle cose più straordinarie, quali gli alberi mostruosi,
i termitai, gli animali pericolosi, che sono ritenuti degni di
culto. Molto sovente si ammette l'esistenza degli spiriti cattivi,
o degli spiriti buoni e cattivi allo stesso tempo, capaci di nuocere
o di portare beneficio, che si manifestano sotto una quantità
di forme diverse. Ogni oggetto un po' straordinario per le sue
qualità può diventare un dio o un feticcio. Sovente,
pure delle misure di igiene, di ordine, di bene pubblico, di governo
possono rivestire il carattere religioso. Per esempio, in certi
paesi è proibito raccogliere certi frutti prima di una
tale epoca sotto pena di soccombere sotto lo sdegno del feticcio.
Lo Zangbeto di Porto Novo, divinità che incute terrore
nei ladri e che da sola riesce a mettere la città intera
al riparo da quelli che sono portati ad appropriarsi dei beni
altrui, è un mezzo di ordine pubblico che sostituisce i
nostri carabinieri, le nostre guardie civiche e i nostri guardiani
notturni. Si tratta di una divinità creata proprio per
questo.
Se si sonda il pensiero degli uomini maturi un poco ragionevoli, ci si accorge che tutti, senza distinzione di nazione, ammettono l'esistenza di un Dio supremo che ha fatto tutto, e che fa andare avanti il mondo. Per quanto questa idea sia confusa, per quanto possa essere poco formulata, essa esiste in tutte le menti, perfino nelle più rozze. Ma quel che non è meno generale, quel che si riconosce con altrettanta evidenza, è che questa nozione della divinità resta sterile nel profondo dell'intelligenza umana, essa non arriva al cuore, non produce alcuna azione nell'uomo. Questo Dio Supremo, per servirmi dello stesso linguaggio degli indigeni, è troppo distante per occuparsi degli uomini. Nessuno l'ha mai visto, non si sa niente di lui; del resto si occupa poco dei neri. E' ben possibile che questo stesso Dio voglia favorire i bianchi; per lo meno è quanto essi dicono e può esserci del vero in questo, ma dei negri non si occupa proprio. Egli li lascia nella loro miseria, nella loro ignoranza, essi quindi non hanno niente a che vedere con lui. D'altronde, se è lui il Dio dei bianchi, bisogna ammettere che è più furbo, più capace dei feticci dei neri, ma in fin dei conti egli insegna loro anche a essere cattivi, invadenti. Bisogna starsene accorti. Insomma questa credenza in un Dio supremo esiste dappertutto, ma essa non costituisce una religione.
Bisogna qui fare accenno a una eccezione della quale i nostri
neofiti ci hanno sovente parlato in Dahomé? Non so, in
realtà, fino a che punto bisogna insistere su questo. I
nostri neofiti ci hanno sempre assicurato che esiste in Dahomé
e anche nei paesi vicini, una categoria di persone, che vivono
preferibilmente nelle campagne, che non ammettono l'esistenza
di nessun feticcio, che non adorano nessuna cosa visibile, ma
che riconoscono e professano un solo Dio, padrone supremo di tutte
le cose. Di più, essi pensano che si tratti del Dio adorato
nella cappella del forte portoghese, che essi ogni tanto vengono
a pregare e al quale offrono un po' di olio di palma. Io stesso
sono stato spettatore di una di queste visite religiose. Un gruppo
di 7 o 8 persone sono venute una sera davanti alla nostra cappella,
e, stando in ginocchio davanti alla porta aperta, si rivolsero
a Dio in questi termini, secondo la traduzione di un neofita:
"Nostro fratello che era il nostro appoggio è morto
qualche tempo fa, lo sai bene, tu che tutto tieni nella tua mano.
Ebbene, questa morte ci ha molto colpiti; veniamo a lamentarci
davanti a te. Cerca dunque un'altra volta di non trattarci più
così". Poi ci hanno offerto dell'olio di palma per
la chiesa e se ne sono andati senza dire altro. E' il loro modo
di comportarsi, ci hanno detto, non desiderano mettersi in relazione
con altre persone, essi stanno preferibilmente nelle foreste.
Queste persone avevano un aspetto molto calmo, molto sereno, ma
come persone che vogliano evitare ogni contatto umano. Non abbiamo
mai potuto penetrare oltre nella conoscenza di questa classe di
persone. Aggiungo ancora che in ogni contrada ho notato degli
individui che parevano completamente diversi dagli altri, che
vivono separati dagli altri, molto comprensivi, molto caritatevoli,
se questo aggettivo si può mai applicare a delle persone
che vivono fuori dal Cristianesimo! Non dico che siano numerosi,
ma ne ho incontrati un po' dappertutto.
L'idea che ci possa essere una religione falsa o una vera, non viene per niente in mente ai neri. Per loro la religione non è altro che un'usanza puramente locale. Ciascuno ha la propria religione, i propri costumi, le proprie tradizioni. Ogni paese ha i propri feticci. I bianchi hanno forse dei feticci più astuti di quelli dei neri. Ecco il motivo per cui sono più furbi, ma ciò che è bene per l'uno non lo è necessariamente per l'altro, ciò che può convenire a un bianco può anche non essere conveniente per un nero. Questa è la risposta invariabile che si riceve quando un nero è spinto a riflettere sulla vanità del suo culto e sull'eccellenza del culto cristiano. Secondo i neri (in Dahomé e vicinanze questo modo di vedere è generale) bisogna avere dei feticci allo stesso modo che uno ha degli amici. Più uno ne ha, tanto meglio sarà! Se l'uno non ti aiuta, ti aiuterà l'altro! Ben inteso i feticci sono accettati solo a condizione di non imporre alla natura delle leggi troppo contrarie ai propri gusti.
Così la religione dei bianchi, che permette una sola e
stessa donna per tutta la vita e che impone altre leggi contrarie
alla legge della carne, non è ritenuta una buona religione
per i neri. Ciò può avere dei vantaggi per i bianchi,
ma non è conveniente per i neri. Così si può
vedere che uno stesso individuo pratichi culti diversi, quando
ciò gli conviene. Ho visto un buon numero di schiavi, originari
di queste parti, portati in schiavitù in Brasile, dove
hanno vissuto sotto dei padroni cristiani, dirsi cristiani pure
loro, perché hanno ricevuto il Battesimo ma senza nessuna
formazione vera, e nello stesso tempo professare l'Islam e avere
anche tutti i feticci del paese. Secondo il loro modo di pensare,
con tre religioni differenti, saranno senz'altro felici, perché
una religione o l'altra verrà in loro aiuto. E' evidente
che, in ultima analisi, è il culto di se stessi che è
più importante di tutto.
19 MAGGIO 1861: Domenica di Pentecoste. Celebriamo
questa solennità ben poveramente: qualche portoghese assiste
alla messa e nessun altro. Del resto abbiamo ancora una posizione
molto precaria. Non possiamo ancora cominciare in altro modo la
nostra missione, se non con le persone che sono disposte a venire
da noi in forma privata. Non potremo sviluppare maggiormente la
nostra opera se non dopo aver incontrato personalmente il re e
aver dimostrato al Paese che siamo amici. Ci dicono che a quel
momento un gran numero di ragazzi verrà da noi per imparare.
Finora si guarda a noi con sospetto, pur testimoniandoci molto
rispetto. Gli indigeni non ci mandano via, i brasiliani ci guardano
fare, ma sappiamo di essere visti di malocchio dagli stregoni.
Con questo nome vengono chiamati i sacerdoti del feticismo che
è la religione di questo Paese, sulla quale sappiamo ancora
dire ben poco, tanto ci pare mostruosa.
Il serpente è adorato in un gran numero di paesi. Si trova
questo culto perfino in Sierra Leone. Però io parlerò
soltanto del culto reso a Whydah, dove ho potuto conoscerlo meglio.
Si tratta di serpenti che hanno il veleno debole, lenti a spostarsi
e poco nocivi. Hanno bisogno di un grande calore per essere un
po' aggressivi. Li si adora, dicono i neri, perché non
fanno del male. La cosa non è strettamente vera, ma paragonati
ad altri rettili terribili che sono tanto abbondanti in Guinea
e dal morso mortifero, si pensa che, dato che non sono nocivi,
questi serpenti meritano gli onori della divinità. Il grande
serpente boa, o altri di dimensioni colossali, si trova nei pressi
di Grand Popo a Ovest di Whydah. Non c'è un posto fisso
dove esso è adorato, ma ha i suoi stregoni ben organizzati.
Per quel che ne so, c'è la proibizione di ucciderlo, sotto
pena di morte. Ignoro se gli si facciano dei sacrifici, ma esso
può prendere tutto quel che trova alla sua portata, e nessuno
può impedirglielo. E c'è ben altra cosa! Dato che
talvolta i genitori per andare al lavoro o altrove lasciano i
loro bambini in qualche luogo isolato, se il Boa viene a impadronirsi
di un bambino, la mamma non può impedirglielo; ben peggio,
i genitori sono obbligati dallo stregone a fare un'offerta di
ringraziamento a un dio così potente che si è degnato
di scegliere il loro bambino per nutrirsi. E i poveri neri subiscono
terrificati tali oltraggi alla natura umana da parte degli stregoni,
senza opporvi resistenza. A Whydah il culto è meglio organizzato.
Esso è il culto nazionale per eccellenza.
10 OTTOBRE 1861: La questione del mio viaggio ad
Abomé era già stata trattata parecchie volte sia
con il Jevogan, che con il principe Tchiudato, che è
uno dei personaggi più intimi del re. Questo viaggio era
necessario per regolarizzare agli occhi degli indigeni la nostra
presenza e la nostra missione. Si trattava, però, dapprima
di risolvere una difficoltà molto grave. Gli europei di
rango che si recano ad Abomé su invito del re (perché
non ci si può andare altrimenti) sono sempre obbligati
ad assistere ai sacrifici umani che sovente ammontano a parecchie
migliaia di vittime. I sacrifici sono sempre accompagnati da atti
superstiziosi. Noi ci siamo proposti fin dall'inizio di fare ciò
che era in nostro potere per condannare o essere estranei a queste
cose. Di conseguenza, tutte le volte che avemmo l'occasione di
parlarne coi capi, dichiarammo sempre nel modo più formale
che non potevamo in alcun caso accondiscendere a questi spettacoli,
che dovevamo condannare queste tradizioni, e che, se il re avesse
voluto invitarci alla capitale, noi saremmo andati se non a condizione
di non essere obbligati, come tutti gli altri, a partecipare a
tali cerimonie.
18 OTTOBRE 1861: Riceviamo un'ambasceria solenne
da parte del re del Dahomé che ci manda il suo scettro
per invitarci a salire alla capitale per fargli visita. Nel Dahomé
un re o un altro notabile mandano il loro scettro per mille motivi;
dove essi non possono recarsi, si fanno sostituire mandando il
loro scettro. 29 OTTOBRE 1861: Il Mehou, il capo dei dignitari di corte, riferisce al re che il bianco suo amico viene a vederlo con un grande desiderio di essere ricevuto da Sua Maestà. Allora tutta la persona del re compare allo scoperto ed egli avanza verso di me. In questo momento la barriera si apre e io pure avanzo in mezzo a un silenzio generale. Il re mi prende immediatamente la mano e là in piedi scambiamo i primi convenevoli. Mi conduce in seguito sotto il suo parasole e mi indica un posto dove posso far mettere una sedia; nello stesso tempo viene sollevato un po' da terra il trono del re, il quale va immediatamente a sedervisi sopra. Il re è un bell'uomo di colore non molto nero ma piuttosto simile al rame scuro, di corporatura snella, di età al di sotto dei 40 anni. Porta in testa una specie di calotta intessuta finemente con fili di foglie di paglia variamente colorati, un bel monile al collo, il corpo avviluppato in un elegante tessuto di seta giallo e bianco molto ben disposto a guisa di toga romana, ma con la spalla sinistra scoperta alla maniera della Grecia antica. Di tutto il popolo, lui solo porta dei sandali, del tipo che calzano i ricchi maomettani del Sahara. Qualche braccialetto d'oro ai polsi dà il tocco finale al suo costume. Secondo gli usi non è mai permesso al bianco parlare direttamente al re, ma ci si deve servire dell'interprete, perfino se il bianco conosce la lingua indigena. Durante il nostro colloquio tutti erano in ginocchio, io avevo i miei neofiti in piedi dietro di me. Al mio lato c'era un interprete, più un secondo interprete che gli serviva da testimone: io parlavo portoghese all'interprete che traduceva le mie parole al Mehou, il quale in seguito a voce bassa, tenendosi in ginocchio, le trasmetteva al re. In questo modo niente di sgradito poteva arrivare alle orecchie reali. Poiché anzitutto l'interprete, sotto pena di morte, ha l'obbligo di tradurre soltanto ciò che al re fa piacere sentire e poi il Mehou trasmette al re le parole più addolcite possibile. Così io sapevo già che non dovevo dire al re niente di sgradevole, né sulle guerre, né sulla schiavitù, né sui sacrifici umani, poiché l'interprete mi aveva dichiarato che si trattava della sua testa, se avesse osato trasmettere questi propositi al re.
Ci fu poi riportato che parecchie persone hanno dichiarato chiaramente
che "il feticcio dei bianchi" si era fatto vedere al
Dahomé e che il re ne aveva avuto la più grande
stima e aveva rispettato il suo potere. Tutto dunque lascia credere
che si deve attribuire questo strano ricevimento alla paura superstiziosa
per lo "stregone dei bianchi", come sono stato sovente
chiamato.
Queste sono armate di fucili ad avancarica, come gli uomini. Una
su dieci è armata di un enorme coltello a forma di rasoio
che può aprirsi e chiudersi: il manico è lungo un
metro e quasi altrettanto la lama. Un colpo ben dato può
tagliare un uomo in due. La divisa delle guerriere è abbastanza
bella. Portano dei pantaloni che arrivano sopra il ginocchio,
di sopra una tunica colore ruggine chiusa da una cintura e maniche
corte che arrivano fino al gomito. Non hanno cappello ma una semplice
striscia di stoffa bianca che fa il giro della fronte ed è
legato sulla nuca, dando loro un bell'aspetto. Alla cintura portano
sospesa la sciabola e la cartucciera disposta attorno alla cintura
come gli uomini.
AGOSTO 1862: C'erano attorno al forte portoghese una quarantina
di vecchi cannoni, tutti per terra; io li faccio tirar fuori.
Ci sono serviti e ancora ci serviranno nelle nostre feste per
sparare a salve. Alla gente di qui piace. I giorni scorsi ho fatto
uso della nostra artiglieria. Tradizione vuole che i capi dei
forti rendano al re, in qualche occasione solenne, lo stesso numero
di colpi a salve che essi stessi hanno ricevuti alla capitale.
Alla capitale il re aveva fatto tirare in mio onore 30 cannonate
a salve sulla piazza del palazzo, al momento della mia uscita
dopo il primo incontro. Io gli ho reso i 30 colpi, più
altri 3 per largheggiare verso di lui. Il re, secondo l'uso, mi
aveva mandato 30 sassolini per farmi ricordare il numero dei colpi.
Per renderglieli in modo più dignitoso, faccio incatenare,
a mo' di rosario, 30 grani come delle perle e, nel luogo dove
si metterebbe la medaglia, faccio inserire una pietra preziosa,
molto bella. Mando il tutto al re con uno scettro che abbiamo
fatto scolpire per la circostanza. E' sormontato da un globo di
avorio che porta una croce. I nostri poveri negri sono grandemente
meravigliati di queste nostre piccole imprese.
8 MAGGIO 1864: Si vedono sovente delle persone che si lanciano
nell'acqua dall'alto della poppa della piroga per poi farsi raccogliere
più lontano, fare mille giochi nell'acqua. Credo anche
che per parecchi si tratti di un modo per abusare della debolezza
dei bianchi, poiché sovente sono delle ragazze che compiono
queste manovre, che possono sì essere innocenti, ma anche
essere compiute per attirare in trappola gli imprudenti. Faccio
notare questo per mettere in guardia i nostri missionari, se dovessero
mai passare da queste parti. Nel vedere queste manovre nell'acqua,
il pensiero va ai ricordi del paganesimo mitologico, con le sue
Naiadi, le sue Ninfe acquatiche. In questo caso sarà meglio
che il missionario non vi presti attenzione alcuna, ma resti piuttosto
riservato; è questo un modo per predicare la modestia cristiana
a quanti vengono per la prima volta in contatto con il missionario.
24 SETTEMBRE 1864: Stamattina di buon'ora ci siamo svegliati a causa di urla tremende nel boschetto sacro. Una quarantina di uomini armati sono venuti a impadronirsi dello stregone capo per ordine di uno dei capi della città, di cui egli aveva sedotto la moglie. Oppone una resistenza diabolica, ma è portato via ugualmente. Grande commozione in tutta la città e nelle campagne vicine per un simile sacrilegio. Immediatamente tutti gli stregoni si riuniscono e fanno grande pressione sul re e una grande paura a tutti, cosicché lo stregone capo viene rilasciato e viene ricondotto in trionfo a casa sua. Si celebrano cerimonie espiatorie per la violazione della persona sacra dello stregone. Si canta, si fanno orge tutta la notte seguente. Vengono immolate vittime in sacrificio. Era perfino stato deciso di fare un sacrificio umano. La vittima era già stata designata. In seguito si viene a sapere che il sacrificio non è stato compiuto perché la vittima è stata riscattata e sostituita con una capra, ma si sono fatte tutte le altre cerimonie d'uso.
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