MISSIONI DEL DAOMEI.

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R e l a z i o n e

intorno

Lo Stabilimento delle missioni nel Vicariato Apostolico del Daomei,

Dal signor abate Borghero spedita al signor abate Agostino Planque, Superiore delle Missioni africane in Lione.

Vidah, li 3 dicembre 1863

SECONDA PARTE

USI E PRATICHE DEL PAESE

Le pratiche religiose

Sul fettiscismo stesso non vi dirò che alcune parole. I Portoghesi, primi a frequentar queste coste, chiamarono Feitico, dalla voce latina ficticius, la quantità degli oggetti, a' quali i Neri rendono culto, ed i quali da una paese all'altro variano più o meno di forma e di specie. Le forze della natura, che più colpiscono i sensi, come, la vegetazione, il fulmine, il mare, ricevono pure adoratori. Nella sostanza però ammettono tutti l'esistenza di un Dio unico e creatore; ma non gli rendono omaggio alcuno, perché, dicono, è troppo superiore ad essi e ai loro omaggi. Gli odi spesso risponderti: Sì, Dio è il più forte, ma è pei Bianchi: per noi altri poveri ignoranti, non sapremmo elevarci più alto de' nostri santi. Così chiamano i loro idoli. Si direbbe, che sentono la necessità di un essere intermedio fra Dio e gli uomini, e lo cercano nell'opera delle loro mani. Il dì, che giungerà al loro spirito il conoscimento di Nostro Signor Gesù Cristo, saranno paghi. Così quanto al popolo.

I sacerdoti sono più avanti nei loro misteri, e dicono chiaro che esistono esseri sconosciuti dal volgo, i quali dominano la natura e tengono in mano loro la sorte dell'uomo: fanno il male a chi piace loro, uccidono quelli che vogliono, e i favori loro non si ottengono se non per mezzo di forti contribuzioni. E' dunque una vera idolatria, qual sempre fu.

Nel Daomei, segnatamente, le sette del fettiscismo sono organizzate solidamente, e con una gerarchia bene ordinata. Le donne vi prendono parte quanto gli uomini, almeno. Vidah è come il convegno di tutti i fettisci. L'idolo di Beelfegor sta all'entrata di tutte le case, ed i suoi tempietti si contano per centinaia.

I serpenti hanno sacerdoti, tempi, sacrifici: è il più venerato di tutti gl'idoli, e sembra essere sempre stato il principalissimo. Il fulmine è pure un iddio ragguardevole: ma più specialmente adorato sulle rive del Volta ed in qualche tribù dentro terra.

Frammenti di verità

Gl'idoli morali non si legano con la religione: anzi si direbbe che sono soffogati dalla superstizione siffattamente, che non se ne trovano più le orme. L'idea del bene e del male morale e della volontà di Dio sono cose del tutto oscurate. L'uomo adopera secondo il destino pel quale è nato: quindi niuna espiazione delle colpe, niun premio per le buone opere. La morte conduce ad un altro mondo, ove vivesi come in questo.

Spenta non è però la verità tutta quanta: ad onta dei loro dogmi fatalisti, riconoscono, che i mali fisici, di cui l'uomo è colpito, sono l'effetto di qualche delitto: ed il ben essere, il guiderdone delle buone azioni. In mezzo dunque a tante tenebre si mostra pure un barlume di verità.

Anche fra la moltitudine imbestialita incontrasi (credo di poter dire, più spesso che non si pensa) quantità di gente, che ha un pò più di senno, che riconosce Dio, quale autore di ogni bene; e la sommissione verso di Lui, qual dovere dell'uomo.

Dio ajuta quelli che lavorano, dice un proverbio speciale al Daomei; e queste parole si ripetono talora in forma di saluto. Tratteremo più avanti e alquanto minutamente questa materia.

Le quattro famiglie di popoli, di cui parlai, professano tutte il fettiscismo; ma i Nango sono stati soggiogati dal maomettismo. Le relazioni frequenti col soldano dovevano produrre tale risultamento; ma questa mescolanza non ha servito ad altro, che a formare una vieppiù compiuta assurdità.

Sacrifici umani

La pratica de' sacrifici umani è strettamente legata col fettiscismo. Nel Daomei questi sacrifici salgono a spaventevole quantità, e sono moltiplicati all'infinito i diversi mezzi con cui si praticano. Ne' luoghi, ove l'influenza e la forza degli Europei sono riuscite a far abolire in pubblico queste atrocità, si cercano luoghi occulti, per ivi placare gli spiriti malefici, che richieggono quelle offerte.

I misteri che accadono in queste adunanze di fettiscismo sono impenetrabili per noi, e sentono del diabolico assai. Talvolta ce ne parlano quanto basta a comprendere, che il volgo non capisce nulla di queste pratiche. Questo pezzo di legno che disprezzate, dicono, sappiate, che opera grandi cose. E in altri casi: Questi sacrifici sono il pegno della conservazione del regno. Altri discorsi loro indicano ancora, che esistono comunicazioni con esseri ignoti, i quali hanno potenza su tutte le cose, specialmente di far il male: quindi il piegarsi, che i paesani fanno a tutte le esigenze de' sacerdoti pagani.

Due altre ragioni, oltre la superstizione, concorrono a rendere queste stragi più numerose nel Daomei: vuolsi primamente inculcare il rispetto verso la potenza regale, e, su popoli barbari, il mezzo quasi unico a produrre impressioni profonde è il terrore della morte; l'altra ragione dipende dalla costituzione stessa del paese, la cui principale ricchezza consiste nel numero degli schiavi: per la qual cosa la quantità delle vittime, che s'immolano, è misura della grandezza delle ricchezze: un'ecatombe umana equivale qua ad un gran festino, ove si fanno spese da principe: Quanto debb'essere ricco il re! O come grande l'esercito suo di schiavi, dacché ne immola sì gran quantità! Tale è l'effetto che vogliono produrre; e vi riescono a meraviglia.

Persitenza della schiavitù

La schiavitù è nelle usanze del paese radicata per modo, che impossibile sarebbe annientarla di botto, senza dissolvere l'organizzazione della società. Il figlio appartiene, generalmente, alla madre; ed è saviezza in un paese, ove non esiste matrimonio stabile: senza tal precauzione, dettata dalla natura, i popoli sparirebbero tosto. Ci sono dunque schiavi per nascita, ed altri, che tali divengono per condannazione. Un colpevole, il quale abbia commesso qualche gran delitto, e colui, il quale non possa pagare i suoi debiti, sono ridotti in ischiavitù, venduti, espatriati. Talvolta un solo individuo porta la pena di tutta la sua famiglia. Allorché la famiglia dichiara, che non può pagare i debiti suoi: se un membro di essa si fa schiavo, le si rimettono tutti i debiti, qualunque siano. E' una specie di fallimento, e si pratica particolarmente nei Mina. il ratto od il furto recano pure la loro rata alla schiavitù; perché in questo paese, anzi generalmente in Affrica, si ruba l'uomo non altrimenti che si farebbe una merce: pigliasi un uomo su la via pubblica, si conduce lontano e si vende. Io conosco a Vidah un uomo, che rubò un giovine a Lagos, passò a Porto Nuovo per venderlo, e venne rubato egli stesso con la sua preda; ed ambedue furono venduti nel Daomei. Questo modo non si usa nel Daomei, almeno apertamente, stante le difficoltà che ci sono di passare i confini del regno.

Gli schiavi, per lo più, si acquistano col rapimento: un principe forte move verso una città, la circonda co' suoi soldati, l'espugna e ne mena via tutti gli abitanti. Questa é la principale occupazione del Daomei. I Nango combattono spesso, per tale scopo, fra loro; e nel Benin anche i villaggi d'una medesima tribù si danno a questi combattimenti, ne' quali i vinti diventano proprietà del vincitore. Una parte degli schiavi rimangono presso i vincitori o nei paesi vicini, ma i più sono venduti alle navi, che ne fanno traffico per l'America, ove sono trasportati.

Mi direte forse, che sulle coste ben guardate dalle navi mandate ad incrociare, la tratta dei mori debb'essere repressa. Disingannatevi: sempre si sa illudere la vigilanza degl'incrociatori: e se il numero annuale degli schiavi imbarcati per l'America è diminuito di qualche migliajo, dipende dalla difficoltà, ognora più forte, di trovar uomini, nel deserto che si fa intorno di sé.

Sorte degli schiavi

La sorte degli schiavi, che sono imbarcati, non ha mestieri delle nostre elegie per movere a pietà: ciò fecero molto altri. La sorte di quelli, che rimangono in Affrica, è molto bene dolorosa. Il padrone ha, generalmente, cura del suo schiavo, anzi ne ha spesso più cura che d'un suo figlio; perché pensa: Il figlio non mi costa niente, e lo schiavo è il frutto del mio lavoro, de' miei risparmiamenti, delle mie privazioni; e mi costò caro. Basta al padrone di ben concepire i proprii interessi, perché s'induca a proteggere colui, che fruttifica ad utile suo; ed allora accade sovente, che lo schiavo fa parte della famiglia come i figlioli del padrone; e così preferisce il suo stato alla libertà; perciocché, abbandonato a se stesso, non saprebbe agevolmente procacciarsi un durevole mantenimento da vivere. Nel Daomei il governo protegge lo schiavo, il quale, se avvenga che sia male trattato, è in diritto di richiamarsi alle autorità: e queste possono costringere un padrone a meglio adempiere a' suoi doveri, od anche togliergli lo schiavo.

Sempre si fecero belle teorie, e se ne fanno pure oggidì, col fine d'incivilire l'Affrica e di annullare la schiavitù: ma tutti questi sforzi divengono sterili, e non saranno che voci sonore, tutto il tempo che durerà l'ostinatezza di tenersi fuori del cristianesimo. E nondimeno il cristianesimo ha pur da molti secoli in qua sciolto problemi ben altrimenti difficili; ed è il solo che possa sciogliere tutte le difficoltà, che tengono in sulla corda tutti i nostri moderni filosofi. Avendo posto la filantropia in luogo della carità cristiana, non dee far meraviglia se sono sempre sconcertati. La schiavitù è una piaga sociale, proveniente dalla mancanza di tutto ciò che il cristianesimo c'insegna: l'amore del prossimo, i doveri reciproci de' superiori e degl'inferiori, l'obbligo del lavoro qual espiazione e quale rimedio del primo peccato e de' suoi effetti. Togli questi principi, non rimane che l'odio verso il suo simile, l'ingiustizia del più forte o del più astuto, l'ozio con tutti i disordini che partorisce. Dicesi, che l'Inghilterra spende cinquanta milioni l'anno per la repressione della tratta dei Neri: cosa per certo lodevolissima; ma noi, i quali vediamo cogli occhi propri ciò che succede, possiamo assicurare, senza tema d'essere contradetti, che questa somma enorme non iscema d'uno solo il numero degli schiavi, che gemono sotto il carico del peccato del nostro primo padre. Se invece di cinquanta milioni, che spendonsi in marina, si spendessero soltanto cinque milioni nella fondazione di missioni e nel mantenimento di missionari, non trascorrerebbe un giorno, senza che da tutte queste costiere si alzasse al cielo una voce unanime di benedizioni.

Se il cristianesimo rechi, così da queste parti come in ogni altro luogo, ov'è stabilito, frutti di benedizione agli schiavi, noi il vedremo or ora; e vedremo altresì, che, giusta i disegni della misericordia di Dio, la schiavitù stessa dié nascimento al cristianesimo su queste coste, donde tante creature umane erano svelte da insaziabile cupidità.

Lo stato miserabile del popolo

Altre piaghe rendono ancora più miserabile lo stato del popolo; la più grave è certamente la mancanza del matrimonio, onde tiene le veci una poligamia bestiale. In altre contrade, per esempio, nell'India, o nella Cina, o nel Giappone, la poligamia è senza fallo cosa tristissima; ma almeno esiste colà una specie di matrimonio, che serve a costituire la famiglia e mettere alcun freno: ma qua, nulla di ciò. Non solamente il matrimonio è sconosciuto, ma non si ha né anche idea d'un'unione alquanto vera. L'uomo che possa, mercé di qualche donativo, ottenere una giovane libera dai parenti di questa, o non vive nella medesima casa con lei, o la riguarda come sua propria serva; ma siccome i servigi che una donna può rendere sono quasi sempre lucrativi; avviene, che chiunque è dovizioso, compra femmine schiave quante più può e vive con esse in libertà peggio che un animale. Quindi si concepisce, che i legami della famiglia non esistono; e si comprende pure, perché nel diritto domestico alla madre e non al padre appartengono i figli. La madre sola ne supporta il carico, finché siano atti a provvedere da sé ai bisogni della vita.

Queste sono le vere cagioni della spopolazione in Affrica. Ci sono autori, che l'attribuiscono al commercio degli schiavi, che si trasportano in America o nell'Arabia; ed allo stato di guerra permanente, che fra loro si fanno i popoli affricani. Io non niego che tali cause non esercitano una certa influenza; ma è minima in paragone di quanto io ho ora asserito. Il numero degli schiavi imbarcati è inferiore a quello degli emigranti liberi, che ciascun anno abbandonano l'Europa, specialmente se si consideri la superficie dell'Affrica, che è quattro volte maggiore di quella dell'Europa. Lo stato di guerra permanente non fa morire tante persone quante si potrebbe credere: si combatte qua presso a poco come facevano, alcuni secoli or sono, certe compagnie di mercenari: un solo giorno a Solferino o ad Austerlitz fa una strage maggiore di quella di un anno intero di guerra su tutto il suolo affricano.

I primi germi della religione

Che ne sia di ciò, grave assaissimo sarà l'incarico del cristianesimo di condurre nel diritto cammino dell'Evangelio pecorelle tanto lontane dall'ovile; massimamente se aggiungasi, che i sacerdoti degl'idoli, sì giustamente temuti, proibiscono, sotto pena di morte, ai paesani di abbracciare il cristianesimo: se non che la Provvidenza non trova ostacoli insuperabili; ed ecco come ha impiantato su questo suolo indisciplinato i primi germi della religione:

Le scoperte dei Portoghesi apersero al traffico queste contrade: essi stabilirono fattorie sulle rive del mare, e cominciarono a gettare così qualche semenza di cristianesimo. Tempo dopo, l'America, e in ispecie in Brasile, inviò essa pure i suoi negozianti, che stabilironsi su queste coste.

I discendenti di questi Bianchi si sono a poco a poco mischiati e confusi coi paesani; ma le memorie cristiane si sono serbate, malgrado la mancanza di qualunque religioso soccorso. Un nuovo elemento venne ad ingrandire il numero dei primi cristiani; vi ebbe un tempo, in cui molti schiavi furono dal paese dei Nango trasportati al Brasile: paese ove, ad onta dei mali de' tempi moderni, la nostra religione esercita grandissimo influsso: quindi i nostri affricani vennero umanamente trattati. Sotto padroni indulgenti ebbero campo di formare delle famiglie, le quali, benché nate sopra il suolo americano, conservano la lingua e la memoria della patria loro. Molti di essi ottennero la libertà, e tornarono nel loro paese a fare commercio accanto ai loro antichi padroni. Avevano quasi tutti ricevuto il battesimo mentre stavano in servitù, e sebbene, generalmente, poco ammaestrati nella Fede, portavano con essi usanze ed abitudini cristiane. Se lo schiavo si conduce bene, entra nell'intimità della famiglia, e non si vende più: i suoi figli sono assoldati sotto lo stendardo del cristianesimo, ed il battesimo è come una specie di affrancamento, che a considerare il figlio dello schiavo non altrimenti che se fosse il figlio del padrone. Quest'influenza del cristianesimo è stata così potente, che pure nella lingua del paese, nella lingua dei naturali, il nome di Bianco, di Cristiano sono sinonimi di Signore, di Libero; mentre che Nero o Pagano sono sinonimi di Servo, di Schiavo. Nel Daomei sopra tutto chiamansi Bianchi tutti i cristiani, fossero pur neri come l'ebano. I naturali pagani, eziandio quelli che sono in alto grado presso il re, diconsi apertamente schiavi di questo, piegano il ginocchio davanti a lui e copronsi di polvere la testa ed il corpo; mentre i cristiani, quantunque Neri, non salutano il re se non secondo l'uso europeo.

La legge proibisce il battesimo ai paesani, salvo se siano addetti ai Bianchi, o come schiavi, o in altro modo. Tutte le volte, che uno de' parenti è cristiano, i figli possono sempre essere battezzati: inoltre, un sacerdote qualunque può procurare ad un fanciullo il beneficio della rigenerazione; e pochi non sono i pagani, i quali vogliono, che i figli loro siano battezzati; e così i naturali forniscono il loro piccolo tributo.

Le tre sorgenti

Vi sono dunque tre sorgenti di fedeli: i discendenti degli Europei, gli schiavi liberi tornati alla loro patria dopo di aver ricevuto il battesimo, ed i paesani. Queste tre classi si distinguono principalmente a Vidah. Gli uni non parlano e non capiscono che la lingua portoghese.; i naturali coi portoghesi parlano la loro lingua indigena; i cristiani, che sono stati schiavi nel Brasile, parlano quasi tutti il nango ed il portoghese. Quegli stessi, che sono nati a Vidah da parenti nanghi, parlano di rado la lingua del paese; ed abitano un quartiere in disparte. Tutti insomma parlano il portoghese, che è parlato altresì da buon numero d'idolatri. Per la qual cosa noi abbiamo conservato, qual lingua sacra, la lingua portoghese, che lega insieme queste diverse tribù. Ci accade più volte di contare fra gli uditori nostri, Daomeiensi, Mina, Nanghi, i quali ascoltano la parola della Fede in lingua portoghese, ed i quali non potrebbero intenderci se noi parlassimo una qualunque lingua del paese.

Ci sarebbe difficile il darvi la statistica del numero de' cristiani sparsi fra il Volta ed il Niger; e non potremmo darvene che un'idea, dietro l'estimazione che sino ad ora abbiamo saputo fare, così all'ingrosso. Fra i Mina sono cristiani in picciol numero e sparsi qua e là. Agoné è, di tutti questi paesi, il centro più grande dei cristiani. In quella città è una cappella, provvista di quanto è necessario all'esercizio del culto: è l'opera d'uno schiavo liberato, di ritorno dal Brasile. Si stabilì a Vidah, e si arricchì molto, trafficando. Allora pensò di fabbricare una cappelletta in Agoné, ove possedeva una ragguardevole casa di commercio; e la decorò, sontuosamente rispetto al paese. Nulla mancavavi, né anche il cariglione da cinque campane. Stava per edificare una grande chiesa, quando la morte venne a toglierlo a' suoi progetti.

Vidah. è come noto il centro del culto cristiano: i pagani stessi riconoscono, che la cappella della fortezza portoghese è la stanza del Dio supremo. Sono di quelli, che recansi alla porta della nostra chiesa, si pongono ginocchioni con le cerimonie che usano davanti al re, e ad alta voce rivolgono a Dio preghiere, nel loro stile, per domandargli una grazia, o per ringraziarlo d'un favore ricevuto. Talvolta famiglie intere traggono ad adorare Iddio nel tempio suo, particolarmente alla morte di qualche parente loro. Si tengono sempre fuori della chiesa, davanti alla porta maggiore: e taluni offerano olio di palma, da ardersi davanti il Signore.

Parecchi portoghesi, i quali conoscono da lungo tempo la costiera, assicurano, che altre volte eravi una cappella nel regno di Benin; altri dicono in quello di Jebus; e che esiste ancora con alcune cose sacre, che i paesani serbano accuratamente, come fettisci dei Bianchi.

Tali, cred'io, sono le cose rimaste de' primi missionari, che accompagnarono i Portoghesi ai tempi delle loro spedizioni marittime.

Le Missioni Protestanti

Quanto allo stato presente del cristianesimo, quale abbiamo noi potuto apprezzare nelle nostre esplorazioni apostoliche, non temiamo di esagerare, se facciamo scendere a tre mila il numero de' cattolici; massimamente se vi comprendiamo quelli che vengono sulle coste di Benin e fino al Niger: intorno ai quali abbiamo se non informazioni confuse.

Prima di parlarvi del nostro stabilimento nel Daomei, delle scorrerie che vi facciamo, e di alcuni frutti, che abbiamo cominciato a raccogliere in questa parte sì inculta della vigna del Signore, vi dirò una parola delle missioni protestanti.

Una società di Basilea ha fondato uno stabilimento nei dintorni di Quidda; a Porto Nuovo e ad Agoné ci sono state scuole protestanti, che ora non esistono più; a Vidah, noi abbiamo una missione vesleiense; a Palma, Abecuta, Badagri e Porto Nuovo si trovano missionari metodisti ed anglicani; ma Lagos è per essi il paese più notevole. Il numero de' loro seguaci è ristretto, e vengono tutti dalle colonie inglesi, principalmente da Sierra-Leone.

Lagos, che è il centro del governo inglese, conta al più dugento persone, appartenenti al protestantismo; se ne daremo altrettanti ad Abecuta, e ne aggiungeremo anco dugento, che è molto, sparsi fra il Volta ed il Niger, non saremo lungi dal vero, fissando a seicento il numero totale dei protestanti, divise in quattro varie sette.

Il popolo del littorale, dal Volta sino a Palma, non monta a più di cento mila abitatori; sulla costa del Benin fino al Niger, non abbiamo alcun dato, che ci guidi a porre un numero né anche approsimativo.


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