MISSIONI DEL DAOMEI.

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R e l a z i o n e

intorno

Lo Stabilimento delle missioni nel Vicariato Apostolico del Daomei,

Dal signor abate Borghero spedita al signor abate Agostino Planque, Superiore delle Missioni africane in Lione.

Vidah, li 3 dicembre 1863

P R I M A P A R T E

Nozioni generali

La storia delle nostre prime fatiche apostoliche nel Daomei non presenta alcuno di quei quadri commoventissimi, che illustrarono, fin da principio, parecchie missioni, e ci mostrarono popoli correnti in folla a gittarsi ai piedi del Sacerdote per dimandare il battesimo. Si tenue frutto deesi, non v'ha dubbio, attribuire, in parte, all'inettitudine nostra; ma dall'altro canto confesseremo, che ci stanno incontro ostacoli tremendi: un'atmosfera cocente ci scema le forze del corpo e dello spirito, e ci sta in faccia tutto ciò che il cristianesimo ha di più avverso: la stupidezza delle facoltà intellettuali sotto la tirannide di stoltissima superstizione, e l'annientamento d'ogni vigore dell'anima fra tutti i godimenti d'una vita sensuale.

Quando si cerca la causa dello scadimento morale in cui stanno i popoli affricani, convien risalire alla maledizione di Cam; perciocché noi non sapremmo trovare altrove la spiegazione di un tanto lamentevole stato. L'esperienza c'insegna, che la natura non è avara nell'Africano negro: ed il clima solo non può avere un tale influsso sulle cose morali. Cercheremmo indarno le ragioni naturali di sì profonda abiettezza; e siamo costretti d'adorare i rigori di Dio, il quale lascia tuttavia sotto il peso dell'antico anatema questo misero popolo, anche diciannove secoli dopo il sacrificio riparatore del Calvario.

Fondazione della Missione

La Santa Sede, nel fondare il Vicariato Apostolico del Daomei, gli diede per limite, il fiume Volta, all'occidente, ed all'oriente il fiume Niger. Lo spazio fra questi due fiumi ha, ne' primi tempi, dovuto essere occupato dai bassi fondi del mare, sino alla media distanza di cento chilometri dalla riva presente. Certi sollevamenti, di cui scorgiamo le orme a fior d'acqua, e le varie maree formarono a poco a poco enormi dune, che empirono i bassi fondi, e diedero al paese la sua forma attuale: e tali movimenti continuano ancora. Quindi si concepisce, come il paese debba, in parecchi luoghi, trovarsi coperto da acque, che formano fra esse un'ampia riunione di paludi; ed è quanto caratterizza questa regione senza fiumi, senza colline, senza montagne.

Questa natura acquitrinosa, che ad ogni passo incontri coi' suoi sedimenti di melma, rende difficili le comunicazioni, mantiene lo spartimento delle tribù, e costituisce la potenza della politica daomeiese, i cui sforzi continui tendono a tenere il popolo staccato da' suoi vicini, e, dietro le sue immense paludi, al coperto da ogni invasione straniera. Mostra altresì, come noi siamo si spesso rattenuti dentro i limiti del regno.

In fatti bastano alcune guardie, poste sui luoghi per dove si debba necessariamente passare, con ordine di chiudere il cammino, perché nessuno possa uscirne senza speciale permesso; il quale, spesse volte negato ai forestieri, non è mai concesso ai paesani. Il mare poi, con le sue sbarre inesorabili, compie di toglierci qualunque uscita.

Geografia, Popoli e Idiomi

Un vasto sistema di lagune dà al vicariato nostro un aspetto particolarissimo: però quasi tutti i viaggi si fanno in piroga, che non è altro se non un grosso tronco dall'albero scavato. Quando l'acqua è profonda meno di quattro metri, i Neri la passano con lunghe pertiche; ma quando è di più, il che è rarissimo, si va innanzi a forza di pagaia, specie di remo larghissimo all'un de' capi, il quale si adopera senza appoggiarlo al bordo della piroga. La gran laguna, che corre dal Volta al Niger, merita attenzione particolare: essa non presenta che due interruzioni, a Godomé e fra Bagda e Quitta. Un semplice argine di sabbia, formato come le dune, la separa dal mare. A Gran Popo solamente ed a Lagos, quell'argine si schiude, e lascia, con l'Oceano comunicar la laguna. La sua larghezza cambia di cento in due cento metri, ed in qualche luogo pure si dilata parecchie miglia in ampio velo d'acqua.

Quattro popoli principali occupano il nostro vicariato, e ciascuno ha il suo idioma, le sue usanze, i suoi costumi, le sue istituzioni speciali. Dal Volta al Gran Popo abita un ramo della famiglia degli Aquapeani, che si stende anche all'occidente del Volta, di cui Acra e Cristiamburgo sono le principali città. Noi le indicheremo col nome di Mina, come le chiamano qua. Nel territorio a noi affidato, Quitta, Elmina, Chica, Porto Seguro, Piccolo Popo, Agoné e Gran Popo, sono le loro città più notevoli sulla riva del mare. Vicino al Picolo Popo sta Gridii, ove i Neri hanno un mercato assai bene provvisto. Un gran capo, ch'essi chiamano re, vi risiede; ma di re non ha altro che il nome: perciocché i Mina sono tutti indipendenti nelle loro rispettive città, e governati da capi, che lungo tutte queste coste, chiamansi Cabaceros.

Vengono poscia le due città marittime del Daomei, Vidah e Godomé. Nulla vi dirò dello stato presente del regno, cui conoscete bastantemente, da che se ne parla in Europa. E' una monarchia compatta, organizzata militarmente con lingua, costumi, usanze particolari, come ognun sa.

Ma quello che è ignoto ai più, sono l'origine e l'agumento di essa; quindi ne dirò alcuna cosa, seguendo la narrazione più plausibile, che se ne fa, e spogliandola, il meglio che per noi si saprà, delle aggiunte favolose che vi si mescolano spesso.

I regni del Daomei

Non si sa di certa scienza, in qual tempo, ma probabilmente sotto la fine del XVII, o sul cominciare del XVIII secolo, il regno presente del Daomei era diviso in tre stati, determinati dalla natura medesima, e limitati dalle grandi paludi, che anche ai dì nostri sono di sì difficile tragitto: il regno di Quidda, che era la città attuale di Vidah; quello di Adra, ovvero Allada, che è tuttavia una grande città, ed il regno, più al settentrione, di là dalla gran palude Lama, del quale non s'indica il nome, ma il quale, ai tempi di cui parliamo, era governato da un re, chiamato Da: nome, che in lingua del paese suona quanto Serpente.

Questi tre regni erano occupati da un popolo parlante un medesimo idioma, il quale chiamasi tuttavia Dgedgi: è lingua del Daomei. Il regno d'Allada era più potente degli altri; ma avvenne che, un suo re lasciò, morendo, tre figli, i quali, vivente il padre, erano divenuti ricchissimi e gran dignitari. Ciascuno di essi pretendeva occupare il trono vacante per morte del padre: ciascuno avendo seguaci, il secondogenito dopo sanguinosi combattimenti trionfò; e i due altri si diedero alla fuga con tutti i partigiani loro e gli schiavi. L'uno passò i rivi che, a levante, limitano questo regno, ed andò a stabilirsi nel luogo, ove di presente è Porto Nuovo. O fondasse egli quella città, o vi fosse dai naturali riconosciuto qual loro capo, vi regnò da signore. I discendenti di lui vi regnano ancora, e, sebbene in Porto Nuovo parlasi la lingua di Nagos, la lingua della corte è sempre la Dgedgi. Il terzo fratello traversò la gran palude del Lama, e si rifuggì coi' suoi appo il re Da, o, come altri dicono, il re dei Da. Sembra più probabile, che Da fosse il nome del re, e che questo portasse il nome del suo popolo. Il re lo raccolse e gli concesse terreni per istabilirvisi colle sue genti.

S'ignora, quale città abitasse il re Da; ma, a giudicarne dall'antichità de' suoi edifici e dalle usanze che s'appoggiano alla tradizione, sei indotto a credere, essere la città di Cana. Il terreno conceduto era sito, ove sta oggi la città di Agbomé, metropoli del Daomei. L'ospite nuovo fece un recinto di mura, e in quello fabbricò le case per sé e pe' suoi: quinci il nome d'Agbomé che significa nel recinto. Il numero de' suoi seguaci, che campavano dalla vendetta del fratello rimasto re d'Allada, cresceva ogni dì. Certi seguaci dell'altro fratello, per la malvagità delle vie impediti di giungere a Porto Nuovo, andavano pure ad Agbomé. Per la qual cosa, lo spazio concesso dal re Da divenendo insufficiente, quel rifuggito chiese tre volte un'aggiunta di terreno, e l'ottenne; ma ad una quarta dimanda, il re Da, che cominciava a temere il carattere intraprendente del giovine avventuriere, gli rispose: Voi fabbricate case dovunque, né avete cera di voler cessare. Se io vi dessi altro terreno, voi vi fareste a fabbricare per tutto, e fino sopra il mio ventre.

La fondazione del regno

L'avventuriere non rispose sillaba: ma era già sì possente da diventare il padrone di tutto. Assalì il re, Da, e, fattolo prigioniere, si fece egli stesso proclamar re. Indi, accanto il suo recinto, disegnò una stanza degna di lui e della sua nuova fortuna; e quando ebbe scavato le fondamenta, e bisognò cominciar l'edificio, distese il re Da nel fondo della scavatura, e sopra il ventre di quello eresse il suo primo palazzo, che fu chiamato Daomei, vale a dire Ventre di Da: quindi il nome di Daomei che oggi porta il regno. Quel vecchio palazzo esiste ancora nella metropoli; ma non é più abitato dal re.

La nuova potenza divenendo ognora più minaccevole ai re d'Allada, questi, con le alleanze e con ogni industria procacciavano d'impedire a quel tremendo vicino di volgere il pensiero alla guerra. Narrasi, che essendo il re del Daomei costretto di comprare i fucili dalle genti d'Allada che li ricevevano dai Quidama: parecchie volte il re d'Allada cercò di non lasciar trasportare nel Daomei se non i fucili a cui tolta era la pietra focaia. Lo stratagemma non durò a lungo: anzi scoperto subito, il re del Daomei si decise, per vendicarsene, d'assalire Allada; l'impresa riuscitagli felicemente, alle sue possessioni aggiunse il regno d'Allada. Da questo conquisto a quello del paese di Quidda non rimaneva più che un passo da farsi; e fu fatto verso la metà del secolo trascorso.

Non debbo omettere il racconto succinto di quest'avvenimento, la cui memoria è ancora assai viva, e ne dà la ragione di parecchie usanze, che senza questo fatto sarebbero inesplicabili.

Gli abitanti di Quidda (li chiamiamo collo stesso nome scrivendo Vidah, se pronunciasi con le aspirazioni proprie a questa lingua) erano ladri di mestiere, ed esercitavano la pirateria sulla laguna di che erano i padroni. Le case di commercio, che i governi di Francia, di Portogallo e d'Inghilterra possedevano nella città, erano, come le altre, esposte alla preda dei paesani; però gli Europei furono, per difenderle, costretti a chiuderle d'un recinto, munito di quattro bastioni armati di buona artiglieria. Trovansi ancora oggidì le vestigia di quest'antico stato di cose.

Spaccato di storia locale

Ai tempi, di che parliamo, un esercito daomeiense gittò una specie di ponte sulla palude di Savi, che separava i due regni, ed era un passo arduo molto; prese Savi, ove risiedeva allora, secondo appare, il re dei Quiddani, e venne ad assalire Vidah. Fu battuto e costretto a ritirarsi; ma un caso inaspettato mutò la sorte dell'armi. Allorché i Quiddani vincitori entravano nella città, un distaccamento dell'esercito loro passò davanti la fortezza inglese. La moglie del governatore con la sua lunga capellatura sciolta si affacciò alla finestra per veder passare quelle schiere vittoriose. Un soldato, che mai non aveva veduto la lunga chioma delle donne bianche (le Nere hanno i capelli crespi e corti come gli uomini), credendo, o fingendo di credere, essere qualche animale d'una specie ignota, gridò: Che è mai l'animale ch'io vedo? e le tirò un'archibugiata, che la ferì alla gola. Durante la battaglia dei Neri fra essi, le tre fortezze, che degli uni e degli altri avevano a temere, eransi tenute armate e sulla difesa, osservando; ma quando il governatore inglese vide ferita e grondante di sangue la propria moglie, ordinò alla sua artiglieria di far fuoco. La fortezza portoghese, udendo rimbombare il cannone, fu d'avviso, che la battaglia fosse ingaggiata fra gl'inglesi ed i paesani, e batté in breccia i distaccamenti che passavano sotto i suoi bastioni. Altrettanto fece la fortezza francese. Quelle scariche essendo state udite dai Daomeiensi, i quali non erano ancora lontano molto, diedero volta, ed affrontando di nuovo i Quiddani, posti in disordine dall'artiglieria delle fortezze, presero la città. Quelli che poterono darsi alla fuga, corsero verso ponente, unica via, che allora avessero aperta. Marciarono, finché giunsero alla gran laguna che scarica le sue acque nelle lagune di Gran Popo. Ivi si fermarono e fabbricarono una città, pur chiamata Quidda, in memoria della loro perduta patria; e quella città esiste ancora. Così il Daomé è in condizione di fare direttamente il commercio coi Bianchi: quindi le ricchezze sue ed il conto che ne tengono i trafficanti; i quali vanno a domandargli, gli uni il suo olio di palma, gli altri i caricamenti di carne umana.

Il paese dei Nango

Progredendo verso l'oriente, s'incontrarono i popoli, che qua chiamano Nango: Porto Nuovo, Lagos, Eppé e Palma sono le principali città loro sulle rive del mare. Questa nazione si stende lontano nell'interno ed ha relazioni commerciali fin al centro del Sudan e, secondo dicono molti, fino al Marocco, per mezzo delle carovane. I Nango non sono riuniti in un sol corpo politico, e non formano che piccoli Stati, spesso in guerra fra essi, senza che alcuno sia più potente degli altri. Sono lavoratori i più energici e robusti di queste contrade. Da essi si è sempre tratto gran numero di schiavi, che in America talvolta si vendevano quasi il doppio degli altri. Il re del Daomé stesso recluta i migliori soldati suoi fra i prigionieri che fa di questi popoli.

Un ramo di questa famiglia merita, giusta il testimonio di parecchi negozianti che l'hanno lungo tempo frequentata, attenzione speciale: e sono i Jebu, che formano un piccolo Stato sui confini dei Nango e degli abitatori del Benin. Si vuole, che questi Affricani siano i più onesti ed i meno superstiziosi della costiera. Le principali loro città sono Odejebon, nell'interno, e Leké, sul lido. Vivono soli e non permettono ad alcuno d'introdursi fino ad Odejebon. Coloro, i quali vogliono trafficare con essi, sono obbligati di rimanere a Leké. Mentre gli altri Nango si sono lasciati mettere sotto il giogo e le pratiche maomettane, gli Jebu, ci si dice, hanno resistito a tale invasione. Non potremo per altro avere intorno di essi informazioni sicure, se non quando gli avremo noi medesimi visitati.

Non vogliamo lasciare il paese dei Nango senza parlarvi di Abecuta, città fondata da sì pochi anni e sì popolosa. I naturali d'Abecuta e delle sue attenenze si chiamano Egba. Un labirinto di paludi e lagune, la cui navigazione è resa difficile dagli alberi, in che ti abbatti ad ogni passo, unisce questa città a Lagos. E' fabbricata sopra un'altura formata da enormi massi granitici: un muro di recinto, alto due metri soltanto, ma sufficiente in questi paesi, la difende contro ogni assalto dei vicini. L'antagonista del Daomé la minaccia continuamente, ma non ardisce avvicinarvisi. Il re attuale s'é imposto il dovere di vendicare una disfatta strepitosa, che a suo padre Ghezo toccò sotto le mura di quella città. Le migliori truppe del Daomei vi rimasero vinte: e nelle vicinanze si vedono ancora gli avanzi del campo fortificato che vi avevano stabilito. Credesi, che Abecuta contenga quasi centomila abitanti; ma quando non ne avesse che la metà, sarebbe pur sempre una città grandissima in paragone delle altre. Il vero è, che le mura d'Abecuta si stendono in lunghezza di più di venti chilometri, e che la città è compiutamente abitata. I sacrifici umani, che, non è guari, insanguinavano quest'immensa città, non vi sono più praticati in pubblico; ma, secretamente, se ne fanno non pochi. Il maomettismo vi domina, e vi sono parecchie sette di protestanti con iscuole, stamperie ed un giornale; ma i cattolici non vi sono che in piccolissimo numero.

Il regno del Benin

All'oriente del paese dei Nango, troviamo il regno di Benin: è lo Stato più vasto del vicariato nostro. Scoperto nel decimo quinto secolo dai Portoghesi, fu lungo tempo utile al loro commercio; ma presentemente è assai meno conosciuto. Pare che, sebbene abbia la sua lingua propria, le sue leggi ed il suo organamento monarchico, differisce assai poco, ne' suoi caratteri generali, dai popoli di cui ho ora tenuto discorso.

Non farò la rassegna delle altre famiglie, che stanno vicino alle quattro testé nominate da me, e che ad esse, qual più, qual meno, si mescolano. Il Delta del Niger, e certi altri punti, pur sulle rive del mare, sono occupati da popoli quasi selvaggi, i quali non lasciano passare i forestieri senza ucciderli, o almeno senza spogliarli interamente. Non farò pur motto dei paesi situati un poco più dentro, i quali non sono qua molto meglio conosciuti che in Europa.

Tutte queste famiglie, di lingua sì diversa, si rassomigliano nondimeno in molte cose; ed i sapienti non mancheranno di trovarne l'origine comune ed il legame con altre tribù disgiunte e lontane pur molto. Troveranno forse, che i loro idiomi, sì rabescati agli occhi nostri, rassomigliano in sostanza, a que' geroglifici scolpiti sulla pietra d'Egitto; che le divinità loro sono in qualche cosa simili a quelle, che adoravansi nelle prime società affricane. Non è molto tempo in fatti, che i nostri allievi scopersero da sé medesimi, che l'idolo di Beelfegor, il quale è volgarissimo qua, rassembra molto alla sfinge egiziana. Osservasi, che nel Daomei ed in altri luoghi, gran numero di pagani portano al collo quella medesima croce, che spesso è rappresentata in mano di certi dei dell'Egitto, e se ne trarranno interessantissime induzioni. Noi lasceremo a coloro, che verranno dopo noi, la cura di occuparsi di tali sapienti ricerche, e ci ristringono ora a ciò che tende più direttamente al fine che ci proponiamo.

"Saviezza" di regni e regnanti

Lungo tutte le nostre spiagge, i grandi ed i piccoli Stati sono governati quasi allo stesso modo, e forse, se uno volesse darsi il pensiero di ben esaminare le cose, andrebbe convinto, che, nel fondo, si nasconde maggiore saviezza che ordinariamente non si crede. S'ode dire da tutte le parti, che le monarchie di queste regioni non si mantengono se non per mezzo di un despotismo assoluto: che la volontà del sovrano è la sola legge: che una vilissima servità aggrava ogni persona. In queste accuse è molta verità: pur giova spiegarsi: se il despotismo senza freno alcuno si attribuisce al capo, è cosa bugiarda imperocché questo capo, con tutte le sue apparenze di assoluto potere, è per altro incatenato dagli altri capi particolari, da quelli che gli tengono le veci di ministri, e dalle antiche usanze. Indi re, capi, ministri sono incatenati dai sacerdoti del fettiscismo, che imperano sopra di tutti, ed i cui decreti non ammettono discussione di sorte alcuna. Questo sistema è generale nell'Africa; ed è noto, che così fu sin dalla più remota antichità. Il despotismo barbaro, onde si parla, esiste dunque, non esercitato da un solo, bensì da questa specie di oligarchia, che esiste sola in una società ancora in culla. Il popolo è schiavo dei re, poi dei capi, poi de' particolari, che si riducono a pochi. La schiavitù può portare un altro nome, ma esiste di fatto, e, scandagliando bene questo stato di cose, si scopre finalmente ciò che più offende i principi di morale politica e sociale, che noi ricevuti abbiamo dal cristianesimo: e sono, il potere dispotico assoluto, l'influsso dei sacerdoti degl'idoli, e la terribile sanzione de' loro decreti con la morte dei trasgressori. Questa schiavitù poi sì abbarbicata e sì ostinatamente mantenuta, con tutte le iniquità che nascono da lei, e tutte le crudeltà che la seguono, e tutte le lagrime che fa spargere, è non per tanto un rimedio di mali più profondi assai. In fatti, ove questo reggiungimento non esiste, gli uomini vivono in istato del tutto selvaggio, dandosi senza ritegno al furto, alla rapina, all'uccisione, finché de' vicini meglio ordinati piombino sopra di essi e li conducano seco come schiavi. Il fettiscismo, per grossolano che sia, esercita un'influenza onnipossente sugli spiriti, e permette ai capi di stabilire un certo ordine fra i loro sudditi. Del resto, fu sempre così, fin dai più antichi tempi.


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