A scrivere è Padre Francesco Borghero (1830-1892),
missionario della Società delle Missioni Africane. La "relazione"
cui allude è datata 20 gennaio 1862. Al momento Borghero
si trova ad Abomey (nel Dahomey, oggi Benin) e si rivolge ad un
suo confratello, padre Lafitte, rimasto nella missione di Ouidah.
Borghero si pone il problema del valore e del significato delle
testimonianze che sta fissando nella sua scrittura. Altre volte,
come si evince sempre dal suo epistolario, sembra esprimere dubbi
sulla legittimità della sua operazione.
Finché soggiornò nei territori dell'allora
Vicariato del Dahomey, Borghero diede vita ad "appunti"
sullo stato della missione e insieme sugli uomini e le cose d'Africa,
appunti che, come era consuetudine, spediva sotto forma epistolare
alla casa madre. Essi risultano "eccedenti", rispetto
alla media della scrittura missionaria di genere, e nello stesso
tempo "lacunosi" o disomogenei, rispetto alle potenzialità
descrittive e alle curiosità geografiche ed etnografiche
che il testimone dimostrava. Nel Diario, come nelle lettere, Borghero
dimostra di condividere, almeno a parole, il diffuso pregiudizio
europeo, secondo cui a una minorità tecnologica degli africani
corrisponde una minorità delle loro configurazioni culturali
e sociali. Borghero traduce in parole la sua abilità di
cartografo. Riconosce cioè gli altri, come uomini e come
agenti fattuali della Società e del territorio, nel momento
in cui predispone per essi uno spazio non subordinato nella sua
scrittura. Borghero mira a cogliere gli elementi nel loro contesto
spaziale e sociale. Riconosce una trama psicologica complessa
anche alle personalità dei neri. Qualsiasi selezione di
temi o episodi del Diario, estrapolati dalla trama delle loro
interne relazioni complessive, rischiano di tradire appunto la
cifra qualificante della scrittura di Borghero. In ogni caso,
si può sondare una via esemplificativa di accesso al Diario,
a partire dalle pagine dedicate alla sua visita al re di Abomey
(novembre 1861 - gennaio 1862).
Borghero sa che il suo tentativo di stabilire nuove missioni,
nei territori dell'appena istituito Vicariato Apostolico del Dahomey,
non può prescindere da una realistica azione diplomatica,
un'azione che tenga conto dei poteri costituiti e in primo luogo
di quelli locali. Borghero non appare intellettualmente scandalizzato
da una così vistosa differenza (religiosa, culturale, sociale,
istituzionale). Sul piano della sua coscienza, essi definiscono
il confine delle differenze invalicabili; sul piano della sua
descrizione, i criteri di selezione del riferibile.
Borghero riconosce realisticamente il potere del re, nei suoi
tratti politici e in fondo anche religiosi. Dalle stesse condizioni
poste da Borghero si evince che egli ha elaborato una griglia
comparativa tra il mondo da cui egli proviene e di cui È
egli stesso documento e il mondo in cui si trova grazie alla sua
avventura missionaria. Come era nello spirito del tempo, non attribuisce
alcun valore positivo alle pratiche e alle credenze aliene, tuttavia
non le classifica sotto rubriche differenti rispetto alle sue
proprie; cioè le riconosce come morfologicamente omologhe,
se non nel lessico, certamente nella disposizione che egli dà
alla materia descritta.
Nel contesto attuale degli studi dedicati all'Africa e in
genere al problema del contatto tra Occidente e Terzo Mondo, quest'iniziativa
editoriale dei padri della Società delle Missioni Africane
è da salutare con molto favore. E' testimonianza di un
momento decisivo dell'avventura missionaria cristiana (e in particolare
della Società delle Missioni Africane) nell'Africa occidentale.
E' testimonianza di una dinamica storica e antropologica del contatto
culturale e religioso che, nel bene e nel male, ha influenzato
in modo determinante il contemporaneo corso della storia del continente
a sud del Sahara. Nel sottrarre materiali di così grande
interesse scientifico a un uso esclusivamente interno, per metterli
a disposizione anche di quanti si dedicano, sotto vari punti di
vista, allo studio dell'Africa, i padri della Società delle
Missioni Africane hanno onorato nel modo più consono la
memoria del loro confratello.
Questa relazione ha dovuto essere abbreviata su molti punti che avrebbero deviato troppo il corso della narrazione e anche per mancanza di tempo. Se Dio mi aiuterà e se mi convincerà che ciò potrà essere apprezzato, redigerò appunti che faranno luce su molte cose, qualora si voglia essere informati totalmente su punti che hanno importanza solo in misura dell'interesse che si può a questi attribuire dal punto di vista scientifico e religioso.
A scrivere è Padre Francesco Borghero (1830-1892),
missionario della Società delle Missioni Africane. La "relazione"
a cui allude è datata 20 gennaio 1862. Al momento Borghero
si trova ad Abomey (nel Dahomey, oggi Benin) e si rivolge a un
suo confratello, padre Lafitte, rimasto nella missione di Ouidah.
E' passato un anno dal suo arrivo in Africa, un anno che lo ha
profondamente toccato. La qualità e la quantità
delle esperienze accumulate sollecitano contemporaneamente le
molte corde delle sue vocazioni e in particolare quella religiosa
e scientifica.
Borghero si pone il problema del valore e del significato
delle testimonianze che sta fissando nella sua scrittura. Si tratta
di un motivo che ricompare esplicitamente in moltissime altre
occasioni epistolari. Il missionario pensa di poter afferrare
e descrivere quasi la totalità del mondo africano che gli
è di fronte, nell'intreccio delle sue dimensioni geografiche,
sociali e culturali (luoghi, abitudini, istituzioni, lingue, religioni,
psicologia individuale e collettiva). E' ovvio dunque che, da
militante di una fede religiosa, si ponga alcune domande. E' legittimo
dedicare a una scrittura tanto ambiziosa tutto il tempo che essa
richiede? Fino a che punto descrizioni analitiche e minuziose
sono funzionali agli usi missionari, come per esempio quelli dell'istruzione
e della formazione dei seminaristi? Che proporzioni devono assumere
le due grandi dimensioni che si confrontano nella sua persona?
quella dell'intento apostolico, che lo ha portato fino in Africa,
e quella delle realtà locali, con le loro interne ragioni,
che si dischiudono ai suoi occhi?
Borghero vive quasi come tentazione la sua volontà
descrittiva. In alcune circostanze sembra voler rassicurare se
stesso sull'utilità missiologica della sua intenzione etnografica.
Altre volte, come si evince sempre dal suo epistolario, sembra
esprimere dubbi sulla legittimità della sua operazione.
Tanto che, quasi a liberarsi di un travaglio, chiede esplicitamente
lumi a Planque, il superiore della sua Società missionaria,
residente a Lione. Nel "postscriptum" di una lettera
del 4 settembre del 1864, redatta a Porto Novo e spedita a Lione,
si legge:.
P/S. Abbiate la bontà
di dirmi se lo stile col quale redigo il mio diario vi sta bene
e se posso permettermi o no alcuni dettagli minuziosi. Dal mio
punto di vista vi inserisco tutto ciò che potrebbe essere
di una qualche utilità pratica, ma non sono in condizione
di poter ben distinguere ciò che è ozioso o superfluo.
Ora se una tale realtà non si presenta a voi come lusinga
dell'immaginazione, è che la verità prevale su tutto
e potrà proteggere le Missioni da idee sbagliate che, se
qui importate, potrebbero esporre a delusioni impreviste. Ditemi
dunque cosa ne pensate perché mi serva di regola"
Finché soggiornò nei territori dell'allora
Vicariato del Dahomey, Borghero diede vita ad "appunti"
sullo stato della missione e insieme sugli uomini e le cose d'Africa,
appunti che, com'era consuetudine, spediva sotto forma epistolare
alla casa madre. Essi risultano "eccedenti", rispetto
alla media della scrittura missionaria di genere, e nello stesso
tempo "lacunosi" o disomogenei, rispetto alle potenzialità
descrittive e alle curiosità geografiche ed etnografiche
che il testimone dimostrava. Poi una volta in Europa (lascia l'Africa
nel 1865, dopo aver soggiornato in Benin ed essersi spinto in
lungo e in largo nei paesi del golfo di Guinea), riprende materialmente
tra le mani il suo diario epistolare (in particolare le lettere
spedite a Planque) e realizza in modo per lui più accettabile
la sua intenzione di sintesi tra istanze religiose e istanze scientifiche.
Tale intenzione si concretizza nel suo Journal, la cui redazione
ha termine nel 1876. Ora questa preziosa testimonianza è
diventata accessibile grazie a una recente pubblicazione: Journal
de Francesco Borghero premier missionnaire du Dahomey (1861-1865).Sa
vie, son Journal (1860-1864), la Relation de 1863, documents rassemblés
et présentés par le P. Renzo Mandirola, les PP.
SMA et Yves Morel, S.J., Karthala, Paris 1997. L'edizione, come
è accennato nel titolo, riproduce, oltre al "Diario",
anche la Relation sur l'établissement des missions dans
le Vicariat apostolique du Dahomey e qualche Documents et
considération générales di appoggio alla
citata Relation.
Il volume è uno dei primi esiti del lungo lavoro di
scavo e reperimento dell'intero lascito documentario di padre
Borghero (che fu, tra molte altre cose, anche apprezzato cartografo
e disegnatore), scavo e reperimento che si devono a Lorenzo Mandirola.
Dal suo lavoro dipendono anche precedenti trascrizioni provvisorie
dello stesso Journal e di altre Relazioni fatte circolare con
liberalità negli ambienti degli studi missiologici, geografici
e antropologici*. Anche chi scrive ha potuto facilmente accedere
all'epistolario di Borghero, tuttora inedito, grazie alla generosa
disponibilità di Mandirola.
Nell'edizione citata, il lettore troverà una presentazione
dell'opera e una biografia intellettuale del suo autore scritte
da Yves Morel, a cui si devono anche la revisione del testo e
l'aggiunta di alcune note. Nell'impossibilità qui di poter
anche solo elencare i motivi di interesse (antropologici, geografici,
linguistici, missiologici) offerti dalla lettura del Journal,
si proverà a indicare alcune qualità che sembrano
identificare il punto di vista del testimone (si ricorda che Borghero,
di nazionalità italiana, avendo fatto parte di una Società
missionaria sorta in Francia, ha scritto in francese la maggior
parte delle sue lettere e il suo diario di missione).
Ciò che rende il Diario di Borghero una scrittura eccezionale
(rispetto alla media della coeva letteratura missionaria) non
riguarda direttamente l'ideologia del suo autore. Riguarda piuttosto
la sua tecnica di osservazione e descrizione. Nel Diario, come
nelle lettere, Borghero dimostra di condividere, almeno a parole,
il diffuso pregiudizio europeo, secondo cui a una minorità
tecnologica degli africani corrisponde una minorità delle
loro configurazioni culturali e sociali. Se a questa caratteristica
si aggiunge il fatto che, in quanto missionario, è per
definizione legato a una idea forte della verità e dell'errore,
della salvezza e della perdizione, ci si aspetterebbe di trovarsi
di fronte a una scrittura a una sola direzione, una scrittura
in cui si saldano i due momenti forti di un etnocentrismo dogmatico:
la legittimazione del potere dell'Occidente come esito dell'unica
e sola ragione e insieme dell'unica forma della verità
rivelata. Questo blocco eurocentrico ha governato infatti, pur
sempre con eccezioni di grande o grandissimo rilievo, molte scritture
missionarie fino ad anni recenti. Esse testimoniano spesso dedizione
verso i "gentili", ma si traducono anche in disattenzione
e negazione del loro mondo interno ed esterno, del loro presumibile
punto di vista. Niente di tutto ciò accade in Borghero.
Il riconoscimento dell'altro non avviene attraverso dichiarazioni
di principio. Avviene sotto forma stilistica, attraverso lo spazio
che la scrittura concede all'altro punto di vista. Borghero traduce
in parole la sua abilità di cartografo. Stabilisce relazioni
costanti tra i punti di riferimento prospettico dell'osservazione.
Anche quando è assolutamente lontano dal simpatizzare col
mondo africano o dall'apprezzarlo, egli tuttavia lo riconosce
come mondo dotato di senso e spesso di ragione. Riconosce cioè
gli altri, come uomini e come agenti fattuali della Società
e del territorio, nel momento in cui predispone per essi uno spazio
non subordinato nella sua scrittura. Sembrerebbe questa una inclinazione
propria di Borghero, a cui egli stesso, quasi a posteriori, cerca
di dare un senso anche missiologico (nell'ottica del conoscere
per evangelizzare).
Tale sua inclinazione si concretizza in un metodo di osservazione.
Borghero mira a cogliere gli elementi nel loro contesto spaziale
e sociale. L'io narrante, con la sua realtà interiore,
non prende mai tutta la scena. Considera, per esempio, gli indigeni
sempre nelle loro presunte relazioni con il territorio, con la
Società locale, con i rappresentanti delle nazioni europee.
Riconosce una trama psicologica complessa anche alle personalità
dei neri. E' capace cioè di guardare sé stesso e
i bianchi anche con gli occhi dei neri o almeno di alcuni di essi.
Dà spazio e parole a ciò che egli immagina siano
i presupposti e le strategie dei singoli come dei gruppi. Raramente
riduce "tutti gli altri" a "uno", ma tratteggia
sovente le Società locali nelle loro differenze interne.
Tende ad equilibrare le dimensioni a confronto: la condizione
spirituale, più che monopolizzare la scrittura, trova spazio
accanto alle altre, per risaltare piuttosto per contrasto. Misura
le differenze in campo senza oscillare tra esotismi e negazioni:
riconoscere l'altro consiste proprio nella misurazione della sua
differenza in quanto africano nei confronti dell'europeo e in
quanto prossimo nei confronti dell'osservante. Gli stessi suoi
successi diplomatici con le autorità indigene dovettero
essere il frutto di una tale equilibrata geometria rappresentativa
di fatti, idee, passioni e ragioni a confronto.
E' difficile qui portare esempi che diano immediatamente un'idea
di tali abilità descrittive. Qualsiasi selezione di temi
o episodi del Diario, estrapolati dalla trama delle loro interne
relazioni complessive, rischia di tradire appunto la cifra qualificante
della scrittura di Borghero. In ogni caso, si può sondare
una via esemplificativa di accesso al Diario, a partire dalle
pagine dedicate alla sua visita al re di Abomey (novembre 1861
- gennaio 1862).
Borghero sa che il suo tentativo di stabilire nuove missioni,
nei territori dell'appena istituito Vicariato Apostolico del Dahomey,
non può prescindere da una realistica azione diplomatica,
un'azione che tenga conto dei poteri costituiti e in primo luogo
di quelli locali. Ciò però non gli preclude la possibilità
di individuare con chiarezza e senza oscillazioni i punti discriminanti
che definiscono quelle che per lui sono le differenze dei valori
e dei poteri in campo. Il re di Abomey (che nell'epistolario è
detto Glélé) e la sua corte non sono demonizzati.
Borghero non appare intellettualmente scandalizzato da una così
vistosa differenza (religiosa, culturale, sociale, istituzionale).
O per lo meno il compito che egli si assume, e di cui mette a
parte il lettore, è quello di una comprensione il più
possibile analitica e spassionata della realtà aliena.
Questo tentativo di avvicinamento, anziché innescare il
più usuale processo altalenante ora di rifiuto ora di 'immedesimazione',
avviene attraverso l'isolamento di pochi ma chiari punti discriminanti.
Sul piano della sua coscienza, essi definiscono il confine delle
differenze invalicabili; sul piano della sua descrizione, i criteri
di selezione del riferibile.
Nel definire il cerimoniale per l'incontro con il re di Abomey,
Borghero pone cinque condizioni essenziali: 1) di non essere obbligato
ad atti contrari alle sue credenze religiose; 2) di non essere
messo al cospetto, nei contesti solenni o comunque formalizzati,
di oggetti del culto tradizionale (chiede che si tolgano momentaneamente
o si coprano "feticci2 e ogni oggetto "superstizioso");
3) di non partecipare a riti contemplanti sacrifici cruenti e
di evitare che in suo onore vengano celebrati anche in sua assenza;
4) di essere esonerato dal cerimoniale contemplante la visita
alle mogli del re, fatta eccezione per la prima moglie; 5) di
non partecipare al consumo e allo scambio di acquavite. Queste
condizioni, più che scrupoli di coscienza, sono piuttosto
intenzioni comunicative. Borghero riconosce realisticamente il
potere del re, nei suoi tratti politici e in fondo anche religiosi.
Ma pretende che il re riconosca anche le sue prerogative religiose,
prerogative che gli sottopone attraverso una selezione di tratti
discriminanti e in tal senso capaci di identificare la differenza
anche agli occhi dello stesso re. Tali tratti diventano poi anche
punti di vista costanti del suoi prospetti descrittivi.
Dalla stesse condizioni poste da Borghero si evince che egli
ha elaborato una griglia comparativa tra il mondo da cui egli
proviene e di cui È egli stesso documento e il mondo in
cui si trova grazie alla sua avventura missionaria. Come era nello
spirito del tempo, non attribuisce alcun valore positivo alle
pratiche e alle credenze aliene, tuttavia non le classifica sotto
rubriche differenti rispetto alle sue proprie; cioè le
riconosce come morfologicamente omologhe, se non nel lessico,
certamente nella disposizione che egli d
alla materia descritta.
Le altre possibilità di essere uomini non sono, per il
Borghero "scienziato", aberrazioni che non trovano possibilità
di ordinamento logico, incarnazioni da attribuire sempre e comunque
alla follia o al diabolico. Sono invece appunto altri modi di
stare al mondo, da valutare magari molto negativamente, da estirpare
o da sostituire, beninteso, ma pur sempre da riconoscere come
dotate di significato e di dinamismo storico.
Nel contesto attuale degli studi dedicati all'Africa e in
genere al problema del contatto tra Occidente e Terzo Mondo, questa
iniziativa editoriale dei padri della Società delle Missioni
Africane è da salutare con molto favore. Il Diario di Borghero
è preziosa testimonianza storica su territori e Società
che hanno lasciato labili memorie prima di trasformarsi più
o meno radicalmente. E' testimonianza di un momento decisivo dell'avventura
missionaria cristiana (e in particolare della Società delle
Missioni Africane) nell'Africa occidentale. E' testimonianza di
una dinamica storica e antropologica del contatto culturale e
religioso che, nel bene e nel male, ha influenzato in modo determinante
il contemporaneo corso della storia del continente a sud del Sahara.
Nel sottrarre materiali di così grande interesse scientifico
a un uso esclusivamente interno, per metterli a disposizione anche
di quanti si dedicano, sotto vari punti di vista, allo studio
dell'Africa, i padri della Società delle Missioni Africane
hanno onorato nel modo più consono la memoria del loro
confratello. Borghero fu animato infatti da una volontà
di sapere mai mortificata da chiusure precostituite.
* Da una prima trascrizione integrale del Journal, messa in
circolazione negli ambienti scientifici su supporti elettronici,
dipendono direttamente varie e recenti iniziative editoriali.
Due edizioni provvisorie hanno visto la luce ad Abidjan, nel 1993,
per conto dell'INADES. Una terza, dovuta a Rosario Giordano, è
stata pubblicata a Monforte, sempre nel 1993, per conto del Centro
Studi Storici. Queste tre edizioni, fondate tutte su una stessa
trascrizione provvisoria, contengono anche gli appunti di Borghero
intitolati "De la religion" e "Sacrifices humains",
appunti che però non compaiono nell'edizione definitiva
di cui qui si riferisce. Stralci e commenti dello stesso Diario,
anche indipendentemente dal recente lavoro di trascrizione integrale,
si possono recuperare ancora in altri studi, anteriori e posteriori,
di carattere missiologico, antropologico e geografico.
Valerio Petrarca