È uscito nel mese di settembre 2002 il Diario(1) che narra l'avventura umana e cristiana
di P. Francesco Borghero che, membro della SMA,(2) fu l'iniziatore della Chiesa in Dahomey,
oggi Benin. Non intendo in questa breve nota mostrare l'interesse che questo Diario
rappresenta per la storia della missione, l'etnografia e la conoscenza della complessa
situazione dell'Africa occidentale a metà del XIX secolo.
Quanto mi prefiggo è più semplicemente di far emergere dall'ombra la figura di un uomo,
di un sacerdote e di un missionario che andava fiero delle sue radici genovesi e che,
dall'inizio alla fine della sua vita, ha avuto contatti con persone che hanno fatto la
storia di Genova, in Italia e nel mondo.
Francesco Borghero, primogenito di dodici figli, nasce a Ronco Scrivia il 19 luglio 1830
e viene battezzato nella chiesa parrocchiale di San Martino il 22 luglio. Il Parroco che
lo battezza è don Giuseppe Vallarino giunto a
Ronco quello stesso anno e che chiederà, in seguito, di entrare a far parte della Congregazione
della Missione, in Genova.
Le cresima gli è impartita il 25 maggio 1838 dall'Arcivescovo di
Genova Card. Placido Maria Tadini, OCD. I registri parrocchiali ricordano che in quel giorno
furono cresimati a Ronco Scrivia 244 maschi e 227
femmine. Erano, infatti, 16 anni che la Cresima non veniva amministrata in parrocchia.
Borghero lascia in giovane età il paese e gli affetti famigliari per recarsi a studiare a
Voghera dove ha uno zio canonico, fratello
del papà. Lì ha la fortuna di frequentare il Collegium Iriense dei Padri Gesuiti, a cui deve
la sua formazione umanistica e scientifica.
In seguito alla chiusura del Collegio per la rivoluzione del 1848, si presenta al Seminario
Arcivescovile di Genova. È il 26 novembre 1849.(3) Segue i corsi di filosofia e di teologia
avendo come professore di morale Mons. Tommaso Reggio (1818-1901) che diventerà in seguito
Arcivescovo di Genova.
Tra i tanti compagni di studio uno, in particolare, gli resterà legato e a lui dobbiamo il
necrologio e diversi altri articoli sul Borghero. Si tratta di Luigi Persoglio.(4) Scrivendo la
biografia di quest'ultimo un suo confratello afferma: "Nel 1850, fondò in seminario a Genova,
insieme con Francesco Borghero (poi Vicario Apostolico in Dahomey), con Pagano (poi Arciprete di Pieve di Sori),
con Granelli (poi Arciprete di Rapallo) la Società dei Felici, in base al libro del P. Sarasa:
L'Arte di goder sempre.(5) Loro motto eran questi
versi:
S'egli è ver, siccome è vero,
Che dal suo celeste soglio,
Dio dirige il mondo intiero,
Con la sua man benefattrice;
Ciò che accade è ciò ch'io voglio;
Caschi il mondo, io son felice." (6)
In seminario ha un altro compagno, Vincenzo Minolli, a cui dedica una poesia in occasione
della sua ordinazione sacerdotale avvenuta il 21 settembre 1850.(7)
Durante la sua teologia Borghero viene, poi, in contatto con P. Don Pier Francesco Casaretto
OSB, abate di San Giuliano d'Albaro che sarà l'iniziatore della Congregazione Sublacense.
(8)
Il Casaretto, già nel luglio 1846, aveva chiesto alla Santa Sede di poter aprire un Collegio
Monastico con lo scopo di formare dei giovani monaci per le Missioni Estere.
Il Collegio per le Missioni Estere apre, in effetti,
le sue porte a San Giuliano d'Albaro verso la fine di settembre del 1847. Al'inizio Casaretto
pensa soprattutto all'Inghilterra e all'Australia, ma dal dicembre 1851 si vede che ormai
il suo sguardo missionario si rivolge anche verso l'Africa.(9)
Borghero, dunque, desideroso di dedicarsi alle missioni(10) parte a bordo del Vapore Postale
Francese il 10 settembre 1852 alla volta di Subiaco, con il Casaretto che, nel frattempo,
era stato eletto Presidente della Congregazione Benedettina. Borghero aveva
appena concluso il 3° anno di Teologia.
Durante la sua permanenza a Subiaco, Borghero ha la possibilità di incontrare il sacerdote
genovese Nicolò Olivieri (1792-1864) da Voltaggio, chiamato "l'apostolo delle Morette",
che aveva portato in monastero due africani abissini.
Il 27 dicembre 1854, nella Basilica
di Santa Scolastica, Borghero riceve l'ordinazione sacerdotale da Mons. Joseph Brown,
vescovo benedettino di Newport e Menevia in Inghilterra.
Dopo aver insegnato 5 anni nel Monastero, Borghero si rende conto che il Casaretto non
gli avrebbe permesso di realizzare la sua vocazione missionaria, come gli era stato promesso
e lascia, quindi, Subiaco. Siamo alla fine del 1857.
Prima di raggiungere la SMA, Borghero
ha modo di entrare in contatto con diverse altre personalità genovesi: dagli Abati Benedettini
Testa (11) e Canevello (12) all'Arcivescovo mons. Andrea Charvaz, al cancelliere arcivescovile
Giulio Ravenna. In quel momento, infatti, cerca con l'aiuto dei personaggi di cui sopra, di far
riconoscere come valida la sua ordinazione che qualcuno mette in dubbio.
Il clero genovese riappare con forza alla fine della vita, per certi versi tutta e sempre
avventurosa, di Borghero. Nel 1890, infatti, assume l'incarico della direzione spirituale
presso i Figli di Santa Maria Immacolata, opera fondata da don Frassinetti(13) per i ragazzi
poveri che volevano diventare sacerdoti. Lì ha comunanza di vita con figure importanti
del presbiterio genovese, primo tra tutti il P. Antonio Piccardo che, alla morte del
Frassinetti, ebbe affidata la direzione della Pia Opera, trasformata da lui in Congregazione
religiosa nel 1903.(14)
Al momento del suo arrivo in via Ginevrina,(15) l'Opera sta vivendo i suoi anni di maggior
splendore. È ancora vivo il ricordo di Pietro Olivari tipografo, direttore della tipografia
degli Artigianelli del Servo di Dio don Mntebruno. Figlio spirituale del venerabile Giuseppe
Frassinetti, Pietro Olivari fu uno dei primi religiosi al secolo fondati dal Frassinetti,
in anticipo d'un secolo sulle attuali congregazioni laiche. Morì nel gennaio del 1890.
In Carignano si trovano, inoltre, in quel momento don Semino, divenuto canonico della
Basilica di Carignano; don Mantero, musico di buona fama; don Antonio Minetti, innamorato
del canto gregoriano, della liturgia e della spiritualità benedettina che diventerà alla
morte del Piccardo il II° Superiore Generale dell'Opera; (16) don Tommaso Gaggero che ricoprì
i compiti di professore, economo e vice-direttore dell'Opera. (17)
Al funerale di Borghero a Ronco Scrivia, il 18 ottobre 1892, sono presenti molti della sua
ultima famiglia spirituale.
Così scrive, infatti, don Gaggero nel suo Diario:
"18. Ottobre. Martedì. Col treno delle 4.40 partono per Ronco per prender parte al funerale di Don Borghero il Direttore, Don Minetti, Campodonico, Bellesio e Piffero, Trucco e Bottaro. D. Mantero col treno delle 6.25 diretto.
A Ronco funerale di Don Borghero:
Canta Messa il Direttore, e cantano in Coro D. Minetti ecc. Poggi e Grondona. Suona l'organo
D. Mantero. Quindi quei di Genova, meno D. Mantero che ritorna subito, vanno a pranzo all'Isola
da D. Gnecco. Ritornano a sera".(18)
Tra i preti genovesi dobbiamo poi annoverarne uno che, pur non avendo conosciuto
Borghero, ne era parente: Mons. Pietro Zuccarino, rettore del Seminario di Genova e per
più di vent'anni Vescovo di Bobbio. È lui che consegna alla SMA uno dei pochi oggetti di
Borghero che ci siano pervenuti: il suo orologio da tasca. (19)
Durante il suo periodo africano, dal 1861 al 1865, Borghero viene a contatto con diverse persone impegnate in Africa, principalmente in campo commerciale.
Prima di tutto ha modo di usufruire della generosa ospitalità della famiglia Carena. Parla ripetutamente del capostipite Giuseppe, dei figli Agostino e Settimio e della figlia Giuseppina. Nel suo Diario scrive che, arrivando a Lagos l'8 marzo 1862, "dato che non ci sono posti liberi per alloggiare [all'agenzia commerciale francese], chiedo ospitalità al signor Carena, mio compatriota,che mi accoglie con la più grande affabilità. La sua casa è la più bella di Lagos". (20)
Giuseppina Carena sposa, il 30 aprile 1864, un altro commerciante italiano, il signor Del Grande, e Borghero ha l'onore di celebrare così il primo matrimonio cristiano nel Vicariato che gli è stato affidato.(21)
Grazie alla fama di un altro negoziante genovese, di Chiavari più precisamente, Borghero raggiunge - primo cattolico - Abeokuta, una delle città più importanti della Nigeria. Quell'uomo, Giambattista Scala (1817- 1876), dopo aver viaggiato in America ed in Africa, si era stabilito a Lagos già nel 1852 e vi aveva aperto una agenzia commerciale. Nel 1855 era stato nominato console del Regno Sardo. (22)
È proprio uno degli uomini di fiducia di Scala, un certo Vincenzo Paggi di Lavagna, che lo favorisce nel suo viaggio alla città di Abeokuta. Parlando di Paggi, Borghero scrive nel suo Diario, il 21 agosto 1864: "Decisamente
questo buon Paggi è un uomo d'oro per la nostra nuova missione [di Porto Novo]. Ci ha sempre aiutati in tutto, ci ha tolto dall'imbarazzo in parecchie occasioni, ed è venuto in nostro soccorso nelle mille difficoltà di un primo insediamento". (23)
Come non ricordare, poi, la gioia di Borghero di poter parlare in genovese? Già scrivendo all'abate Casaretto, il 6 marzo del 1853 dice: "Scrivo in Zeneize come dixe ou Meistro. Mi g'auguro, ma ben de coeu, un
ottimo viaggio, che scia ritorne presto con de consolanti notizie. Ne preghiò sempre ou Segnou. Scia me credda intanto ou so … figgio".(24)
Opure la sua gioia nel poter scambiare qualche parola nella propria lingua natale, in luoghi distanti da casa? "Siccome in rada sostava anche una nave genovese, - scrive nel suo Diario il 9 novembre 1861 - salgo a bordo per rendere visita all'equipaggio, stupefatto di vedermi arrampicare a bordo e sentire parlare il loro dialetto in contrade così selvagge". (25)
Un'altra volta, annota ancora nel suo Diario il 26 maggio 1864, durante un'operazione di soccorso ad una nave in avaria: "Tra la folla che ingombra la nave ed in mezzo all'equipaggio naufragato, individuo dal loro linguaggio
due marinai genovesi che ne hanno fatto parte. Uno di questi genovesi ha conosciuto mio fratello Agostino quando navigava sulla flotta italiana". (26)
Arrivando a Freetown in Sierra Leone, il 24 marzo 1861 Borghero è colpito e commosso nel vedere la bandiera che sventola sulla chiesa anglicana: "L'edificio più importante e che si distingue da lontano è la chiesa anglicana
con la sua torre quadrata, sulla quale sventola ogni domenica la bandiera di san Giorgio. Certamente non è senza commozione che vidi apparire le insegne della mia città natale così profondamente cattolica sventolare
sulla torre di una città protestante".(27)
Molto tempo dopo, in una lettera ad uno degli scrittori della Civiltà Cattolica, il famoso Giuseppe Franco dice: "Io poi devo farle i miei rallegramenti per quel tanto di bello e di pregievole che Ella si degna mettere in luce circa Genova mia, la quale a dispetto del Diavolo e dei suoi ministri, (28) continua ad essere pur sempre la Città di Maria Santissima. Il che vale cento volte meglio che il maraviglioso incremento del suo commercio". (29)
Da un'interessante conversazione-intervista avuta nel 1991 con la signora Fanny Massa, lontana parente di Borghero, ormai deceduta, siamo venuti a sapere di altri legami di Borghero con Genova.
Lo zio materno di Borghero nonché padrino di battesimo, il notaio Francesco Bisio, aveva una casa in via alla Posta Vecchia a Genova, dove nacquero i suoi nipoti. Per testamento aveva lasciato scritto che ovunque sua figlia Teresa fosse andata ad abitare, doveva conservare una camera per Padre Borghero. In seguito, infatti, al dire della signora Massa, Borghero quando veniva a Genova alloggiava in Via Assarotti 13, dove era venuta ad abitare sua cugina Teresa Bisio, (30) che suo papà aveva lasciato molto ricca.
Vale la pena di dire anche qualcosa sul rapporto di Borghero con i giornali di Genova. La sua collaborazione con essi comincia molto presto. Da qualche mese soltanto è a Subiaco quando scrive un articolo sull'arrivo in monastero di due 'moretti abissini'
e lo invia al giornale Il Cattolico (31) fondato nel 1848 con il nome de Il Cattolico di Genova da due importanti sacerdoti genovesi: Gaetano Alimonda, futuro cardinale di Torino e Tommaso Reggio, futuro arcivescovo di Genova. (32)
Non sappiamo ancora se durante la sua permanenza in Africa abbia collaborato con i giornali genovesi facendo conoscere quel continente e il Regno del Dahomey in particolare, come ha fatto su altre riviste italiane, nonché francesi e inglesi. Ma siamo invece certi che negli anni ottanta, ricomincia la collaborazione con i giornali genovesi. Sono di quegli anni, infatti, due serie di articoli che mostrano la poliedricità dell'uomo. Dapprima quattro articoli pubblicati su Il Cittadino tra il 2 e il 5 novembre 1883 con il seguente titolo: "Cenni sulla nuova Ferrovia in costruzione detta Succursale dei Giovi".
Dopo averne descritto con cura i lavori e le tecniche nonché il percorso, muove qualche critica per lo sconvolgimento della trama urbanistica del paese di Ronco.
Le seconda serie di scritti porta il lettore al di là dei mari. Durante diciassette lunghi articoli fa scoprire ai genovesi di allora un'opera faraonica in costruzione: il "Canale interoceanico di Panama. Notizie e descrizioni".
Dal 25 luglio fino al 10 di agosto del 1884 intrattiene dottamente i suoi lettori sui vari progetti, le dimensioni, il tracciato, la qualità delle rocce incontrate e molte altre cose ancora di questo progetto grandioso. È per questa collaborazione che Il Cittadino, all'annuncio della morte di Borghero, ne dà la notizia nel modo seguente: "L'ora tarda non ci permette di esprimere in modo adeguato il dolore per la perdita del nostro carissimo ed illustre collaboratore straordinario, del quale piangono la perdita i numerosi amici ed ammiratori. Diremo in seguito dei meriti e delle doti insigni del Venerando Missionario, alla di cui anima preghiamo la pace eterna e il meritato guiderdone". (33)
Non vogliamo, poi, sottacere il gran numero di relazioni che Borghero intratteneva, anche nella sua terra.
Un nome che affiora fin dalle sue prime lettere è quello di Angelo Moresco di cui non conosciamo che poche cose. Più giovane di Borghero, (34) entra nel seminario di Genova nel novembre del 1849 come lui. Da una lettera di Persoglio sappiamo che dopo le vacanze estive del 1853 non ritorna più in seminario. (35) È con Moresco che Borghero si reca a far visita all'abbazia di san Giuliano dopo la Pasqua del 1852, ed è lui che lo presenta all'Abate Casaretto. È un ragazzo che, al dire di Borghero, sembra avere "intenzioni tanto propizie per l'opera delle Missioni Straniere". (36)
Quando poi Borghero è in Africa, Moresco diventa il tramite per far giungere a sua mamma a Ronco Scrivia qualche soldo per aiutarla a superare un momento veramente difficile per la sua famiglia. È nel chiedere questo aiuto al suo Superiore a Lione che veniamo a conoscere anche l'indirizzo di Moresco: "Al Signor Angelo Moresco – Dietro S. Bartolomeo degli Armeni 10 - Genova". (37)
Ci sono poi i nomi di altre persone che affiorano dalle sue lettere e nei vari diari. È al sindaco di Ronco Scrivia, il cav. Giuseppe Rebora, che Borghero scrive presentandogli i suoi scritti sulla Ferrovia in costruzione e le sue perplessità; gli racconta la sua visita "a Genova, alla Direzione generale della Succursale dei Giovi, [dove] ebbi l'opportunità di trattare la questione davanti a principali ingegneri della Direzione. (38)
Per rimanere al suo paese natio non possiamo non menzionare Carlo Vassallo a cui scrive una lunga lettera spiegandogli tutto ciò che si deve sapere per far funzionare bene gli orologi; (39) o ancora "le buone suore Benedettine di Ronco, per le quali egli molto avea fatto, [e che] gli mostrarono la loro gratitudine assistendolo assiduamente giorno e notte per molte settimane" (40) e a cui lascia in dono un libro ricevuto quando studiava a Voghera. (41)
A Genova, poi, potremmo riferire di molte relazioni intrattenute da Borghero, sia con gente semplice che con persone della borghesia locale: il Sig. Pio Radif, il Cav. Iacopo Virgilio, il Marchese Cattaneo, i domestici di quest'ultimo a cui faceva il catechismo, etc. (42)
Ma un posto speciale in questa possibile lista occupa l'abbazia benedettina di San Giuliano d'Albaro e la comunità dei Benedettini. Lì era cominciata la sua avventura missionaria e lì Borghero ritorna con piacere, al termine della sua vita.
Basta rileggere il diario di don Gaggero per vedere quante volte va da loro a pranzo o a celebrare l'eucaristia. Anche la Cronaca del Monastero segnala spesso la sua presenza e ne dà perfino l'annuncio della morte: "In Ronco Scrivia sua patria è morto D. Francesco Borghero. Fu egli per qualche anno Oblato nel nostro Monastero di S. Scolastica di Subiaco in cui esercitava l'ufficio di Maestro di Rettorica. Desideroso peraltro di portarsi in Missione, e vedendo di non poter tra noi raggiungere l'intento, lasciò con dispiacere Subiaco e si aggregò alla Società delle Missioni Africane stabilitasi non molto prima a Lione. Partì poi per la Missione del Dahomey ove sostenne fatiche grandissime, che gli rovinarono la salute e lo costrinsero a tornare in Europa. Conservò sempre grande affetto per noi e soleva dire con piacere che la vita monastica praticata in Subiaco eragli stata non poco utile nel periodo della Missione e nel resto della sua vita. Più volte venne a visitarci conoscendo assai bene il P. Abate [Teodoro Cappelli], al cui fratello maggiore alunno in S. Scolastica, aveva fatto scuola di Rettorica". (43)
Un ultimo sguardo vorremmo rivolgerlo all'attaccamento alla sua Chiesa d'origine che Borghero mantenne fino alla fine della sua vita. Ritornato in Europa nel 1865, Borghero ridice la sua disponibilità a partire in Africa quando la salute glielo permetterà e soprattutto quando sarà sollevato dalla responsabilità di Superiore interino del Vicariato Apostolico del Dahomey.
Ma la sua vita cambia direzione, improvvisamente. Il Cardinal Barnabò, Prefetto di Propaganda Fide, lo chiama a Roma all'inizio di gennaio del 1868 e gli dice che, per il bene dell'Istituto nascente e della Missione, deve farsi da parte. È un colpo duro per lui che fino alla fine della vita continuerà a parlare di Lione come della sua casa, dei missionari del Dahomey come dei suoi missionari e di P. Planque come del suo Superiore.
Ad ogni modo, si mette a disposizione di Propaganda, e dopo qualche tempo, a causa della sua salute malferma gli viene chiesto di servire come precettore del Duca Antonino Salviati e del Principe Giuseppe Borghese; così per una quindicina d'anni vive nelle diverse case dei Salviati, soprattutto a Migliarino Pisano.
All'approssimarsi delle nozze del duca Antonino Salviati (45) considera il suo compito ormai terminato e si sente quindi libero di ritornare nella sua terra ad esercitarvi il ministero sacerdotale.
Tra il giugno ed il novembre 1884 lo vediamo molto occupato a Ronco Scrivia. "Ho avuto molto da fare - scrive in una lettera - durante l'estate appena passata e l'autunno. Eravamo in paesi minacciati dal colera e nello stesso tempo in zone dove sono concentrati più di 1500 operai impiegati nella costruzione della ferrovia. Essi provengono da diverse regioni d'Italia e parlano 4 diversi dialetti. Siccome capisco abbastanza questi dialetti per poter confessare, ho avuto di che lavorare; il colera, infatti, è un grande e valoroso missionario per spingere la gente al confessionale. Per di più abbiamo avuto ultimamente una grande missione popolare che ci ha ulteriormente occupati". (46)
L'anno successivo ritorna a Ronco Scrivia e poi svolge il suo ministero, per un lungo periodo, al Castello d'Invrea vicino a Varazze: "Durante il mese di maggio devo trovarmi a Ronco Scrivia presso Genova, per sostituire un prete.
Poi da giugno a dicembre sarò in un piccolo paese che da sei mesi non ha più di prete. Ci sarà di che fare per rimettere le cose in ordine".(47)
A partire dal 1886 sembra ormai stabilirsi a Ronco Scrivia, impegnato nel ministero pastorale: "Avevo acconsentito ad andare ad Invrea, sui bordi del mar ligure per curare una piccola popolazione, ma eccomi oggi in un altro paese dove il bisogno del ministero è dieci volte più urgente a causa di una popolazione nuova condotta qui da immensi lavori per la costruzione della ferrovia". (48)
Nel mese di ottobre dello stesso anno, poi, collabora alla preparazione della visita pastorale dell'Arcivescovo di Genova Mons. Salvatore Magnasco: "Nel mese appena trascorso [ottobre] abbiamo avuto da fare ancora più che a Pasqua, a causa di una missione straordinaria che è stata predicata qui in occasione della visita pastorale dell'Arcivescovo di Genova che da 10 anni non aveva visitato questi paraggi". (49)
Ma qualcosa di più importante lo aspetta sul finire della sua vita, come abbiamo già accennato. Dal mese di ottobre 1890, infatti, Borghero accetta un altro incarico a Genova. (50) Scrivendo al P. Giuseppe Franco così spiega il suo nuovo lavoro: "Mi perdonerà, Padre mio, se anche questa volta le scrivo, come ho sempre fatto al cambiare di domicilio. Da quattro anni stavo a Ronco-Scrivia, ma il verno essendo colà rigidissimo e lungo, ne uscivo sempre malconcio in salute. Nello scorso inverno poi fui condotto in fin di vita per la stessa ragione, onde e medici e non medici vollero che lasciassi il paese. Il Duca Salviati mi offerse nuovamente l'ospitalità in Roma e a Pisa, e stavo sul punto di accettarla, quando a Genova si seppe che sarei partito da Ronco e parecchi sacerdoti dei più autorevoli della città mi furono attorno perché mi fermassi in Genova e consentissi ad entrare nel Seminario detto dei Figli di Maria Immacolata, per la direzione spirituale di questi giovani. È questo un secondo Seminario oltre l'Arcivescovile, destinato specialmente ai giovani che hanno la vocazione ma difettano di mezzi. Esiste da 22 anni ed ha fatto ottime prove. I giovani sono circa 100. Il gran bene da farsi, coll'aiuto di Dio, e l'autorità di quei sacerdoti mi indussero ad acconsentire e l'Arcivescovo ne sembra assai contento. Così eccomi qui ora con questi giovani, e vorrei che il Signore mi desse grazia di poter cooperare efficacemente ad avere dei buoni sacerdoti". (51)
La morte lo coglie mentre è al servizio di questa istituzione che dà ogni anno alla Chiesa di Genova nuovi preti. Il cancro al fegato, con il quale ha convissuto per diverso tempo, ha infine la meglio. Pensava di poter passare l'inverno a Roma dove i Salviati avevano messo a sua disposizione un piccolo appartamento all'ospedale del Bambino Gesù, ma non farà in tempo. È a Ronco Scrivia che si spegne, il 16 ottobre 1892.
La necrologia del Clero Genovese del 1892 mette Borghero tra i "Semplici Sacerdoti" della diocesi di Genova, dopo aver elencato gli Abati, i Canonici, i Parroci, gli ex-Parroci e prima dei Religiosi. (53) È il posto che, nella sua umiltà, avrebbe voluto occupare.
Tra i tanti genovesi che hanno salpato i mari in epoche diverse va annoverato anche questo avventuriero di Dio
che le Chiese del Benin e della Nigeria venerano come padre nella fede. Il suo nome è scritto a grandi lettere sulla spiaggia
di Ouidah, in Benin, dove sbarcò con lo spagnolo p. Fernandez il 18 aprile 1861. I cristiani di quelle terre sanno che il vangelo
è giunto loro tramite un uomo che molto ha dato e molto ha sofferto.
Che la Sua volontà sia fatta, fino alla morte. [...] Dio che ci guida farà quel che meglio gli pare; ma che tutti preghino perché la nostra volontà e i nostri affetti siano sempre conformi ai suoi decreti. [...] In questo momento non ho che una parola da dire: che si sappia che il missionario deve essere interamente uomo di Dio o non sarà nulla.(54)