I Kulango di Bondoukou e Bouna

L'origine del termine

Secondo una tradizione corrente accettata dagli storici moderni (1), il termine "Koulango" significherebbe "coloro che non temono la morte. Ma in quale lingua?
I Koulango stessi si chiamano Koulam, o Koulambo, essemdo il suffisso bo in Koulango il segno del plurale. Ciò è stato "francesizzato" in Koulango, e non significa nulla in particolare.
Si trovano degli autori che scrivono Koulamvo, ma si tratta dello stesso popolo(2).
"Coloro che non hanno paura della morte" si traduce in koulango con kassiéssié o Kassiégo. Questo termine impiegato in origine agli Anyi-Bona loro vicini, si estese in seguito a tutti gli Anyi.(3)
I Bona chiamano i Koulango Ngoran. Alcuni vedono in questo termine il verbo "potere" e traducono : "coloro che possono", "i coraggiosi", da cui deriva "coloro che non hanno paura della morte". Ma questa seconda interpretazione è difficile da capire.
Infatti, nella lingua bona, la prima persona singolare del verbo potere è me Kora. In una conversazione corrente si può udire m'gora, che diventa sovente ngora. Per esempio: ngora ko (per: me kora ko): posso partire. Ma non si sente mai ngoran, con una finale nasale, con il significato di "posso".
Al negativo si può ancora trovare ngora, con il significato di "non posso". il negativo me n'kora, diventa me ngora = mgora = ngora. Per esempio: ngora ko; non posso andare. Ma anche qui la a finale non è mai nasale.
Sono da notare anche i toni. Per rimanere nella forma contratta ngoran. Nella forma positiva, posso, si avrà un tono basso e un tono alto: - per la forma negativa si avrà un tono alto e uno basso.
Ora il termine bona per designare i Koulango è ngoran, con due toni alti. Le due traduzioni dunque "coloro che possono" o "coloro che non possono", sono difficili da ricordare.
Forse il termine "i coraggiosi" non si riferisce né ai Bona, né agli Abron ma potrebbe essere una alterazione della parola koulam.
Il termine sarebbe di origine lobi? La tradizione orale (4) racconta che gli antichi re koulango dovevano essere bruciati vivi dopo solo 7 anni di regno. Si accendeva un grande fuoco, e, mentre la popolazione cantava e danzava, il re doveva gettarsi nelle fiamme. La frase "coloro che non hanno paura della morte" deriverebbe da questo fatto? Ma ciò sarebbe difficile da conciliare con ciò che si sa degli antichi Koulango che non possedevano "chefferie" organizzate tranne che a livello di villaggio.
Forse questa tradizione fa allusione ai Koulango di Bouna, piuttosto che a gruppi dispersi della regione di Bondoukou. Un segno a favore di questa interpretazione: il coraggio (5) dei soldati koulango durante le battaglie. (6)



1) Ki-Zerbo, Histoire de l'Afrique Noire, Paris 1972, 273. Ecco ciò che scrive Delafosse: I Kulango chiamano il loro paese Kolan o Koulan o Kulan-ango, la loro tribù Kulan-ngo, kulan-mbio o Kola-mbio (figlio di Koulan), e la loro lingua kulan-gho, kula-go, o nkulan-go. I Dyola li chiamano Kparhala, o Kpaghala (Pakhalla sulle carte), gli Assanti Nkoran-mfo, gli Abron Ngoran-fo o Nguran-mvo o Kulamvo. M.Delafosse, Vocabulaires Comparatifs, 226
2) H.Baumann e D.Westermann, Les Peuples et les Civilisations de l'Afrique, Paris 1967, 406.
3) Vedremo più avanti come la tradizione orale spiega la ragione per la quale i Bona sono chiamati "coloro che non hanno paura della morte".
Sembra che ciò sia legato al coraggio che I Bona mostrarono durante le guerre. Si lasciavano uccidere piuttosto che arrendersi.
4) Si ricorda che le tradizioni orali alle quali si riferisce questo testo, sono dovute sia a Adja Mienzan, sia a Tano Koffi, entrambi originaridi Broukro. Adja Mienzan è la prima sposa di Tano Koffi. Appartiene alla famiglia regale di Broukro. Suo nonno materno ha occupato la "chefferie" una ventina di anni fa (informazioni date nel 1975).
5) Cf. p. 18.
6) Dopo le informazioni ottenute da Anselme Sanon, originario di Bobo-Dioulasso, presso i Bobo-Fing, e precisamente presso i Sya, il re era rieletto ogni sette anni all'interno di una data famiglia. Se sopravviveva a tutti i divieti e giungeva al termine del suo mandato, poteva essere rieletto per altri sette anni. Ma l'informatore sottolineava che difficilmente il re giungeva al termine del suo mandato, tanto erano numerosi i divieti ai quali doveva sottomettersi. Ad un certo momento si è sentita la necessità di un rinnovamento. Poiché il re era un personaggio religioso e sacro al quale era legata la sorte della comunità, per rinnovare la società si faceva sparire il re. Dopo il regno, prima dell'elezione del nuovo sovrano, c'erano sette anni di interregno. L'informatore terminava evocando il caso di un re che avrebbe regnato per venti anni come qualche cosa di straordinario poichè questi casi sono rari.