Conclusione: lo sguardo di Ibn Battuta


Nel suo primo viaggio verso la Mecca, ad Alessandria Ibn Battuta ha un sogno: "Mi sono visto portato sulle ali di un grande uccello che volava in direzione della Mecca, poi dello Yemen; mi trasportava in seguito lontano verso l'oriente, si abbatteva su una contrada tenebrosa e nerastra dove mi abbandonava".

Un sogno che si realizza

E' il sogno premonitore che farà di Ibn Battuta il più grande viaggiatore medievale. Dirà più tardi: "Ringrazio Dio di avermi Dato ciò che desideravo quaggiù, cioè di percorrere la terra e di essere andato, credo, più lontano di chiunque. Resta l'altra vita, ma ho una grande speranza nella misericordia di Dio".
Il sogno si è realizzato e Ibn Battuta ha compiuto otto viaggi peregrinando per le vie del mondo musulmano allora conosciuto. Guidato da un'insaziabile curiosità, I.B. inaugura un modo nuovo di viaggiare per i suoi tempi, non legato a fini commerciali o al conseguimento di onori e all'ordine di sovrani. Egli fa del viaggio una scelta esistenziale. Nelle sue peregrinazioni è guidato dal desiderio di conoscere le terre estreme del Dar-al-Islam, sulle rotte dei mercanti, seguendo le tracce dei saggi.

Un abile narratore

Tornato in patria detta la relazione dei suoi viaggi (Rihla) al suo biografo, rivelandosi un abile narratore, per la ricchezza delle notizie, d'interesse etnografico, storico, geografico e soprattutto commerciale.
Fin dalle prime pagine della Rihla si intuisce che il nostro viaggiatore confiderà i suoi sentimenti e il lettore avrà modo di "partecipare" con empatia, potendo osservare e vivere le situazioni con l'animo di Ibn Battuta. Ma il suo sguardo sarà sempre limitato dall'Islam che professa. Mentre attraversa mondi culturali diversi, ciò che conta è l'attrazione e la rilevazione di ciò che è simile: la presenza dell'Islam. L'impressione che si ricava è quella di un viaggiare all'interno di un mondo accomunato da un'unica facies religiosa che assicura unità e uniformità, mentre intorno lo scenario è radicalmente diverso.

La rete di ospitalit&a; musulmana

Nei suoi viaggi è portato a soggiornare presso uomini della sua classe e cultura, giureconsulti e sovrani. Si serve volentieri della rete di ospitalità che accoglieva pellegrini e viandanti in nome dell'obbligo religioso dell'assistenza. Quando non è accolto secondo il suo rango se ne risente amaramente, e lo rileva, pronto a dare giudizi taglienti come a proposito del re del Mali "un re avaro da cui non c'è da spettarsi nulla".

Fatica a capire il diverso

Ibn Battuta ha come unico punto di riferimento la legge coranica e la lingua araba: per lui il Dar al Islam coincide con il mondo veramente umano. Egli fa fatica a vivere col diverso e soffre visibilmente a contatto di tradizioni, usanze, leggi differenti dalle sue. Il suo universo culturale gli impedisce di frequentare la gente comune che incontra, di vivere come un qualunque forestiero tra i popoli delle terre che visita. Egli ha un atteggiamento di fondo che limita il suo sguardo: non solo disdegna costumi e usanze contrarie allo spirito islamico, ma si adombra e si sente offeso, turbato, scandalizzato, quando incontra comportamenti imprevedibili: è per lui uno shock culturale!

Traumi e meriti culturali

Davanti a realtà sconosciute come in Cina e in Africa il trauma culturale è forte, e riconosce la sua incapacità ad avvicinare e leggere la realtà cinese depositaria di una cultura millenaria.
Non si può comunque togliere al Battuta il merito della vastità dei suoi viaggi e delle conoscenze tramandate. Per quanto riguarda l'Africa Ibn Battuta è uno dei primi che abbia raggiunto il Mali descrivendone la sua capitale.

Il viaggio del Malfante

Un centinaio di anni il viaggio dopo, nel 1447, il genovese Antonio Malfante, farà pressappoco lo stesso viaggio di Ibn Battuta nel cuore del Sahara. A dorso di cammello attraversa il deserto e arriva a Tueto, il più grande centro commerciale dell'Africa occidentale interna.
Gli interessi del Malfante non sono quelli di Ibn Battuta, e neppure quelli di Marco Polo. Secondo gli studiosi i motivi che hanno indotto il Malfante al viaggio sono di ordine economico legati all'ambiente mercantile genovese che avrebbe favorito l'impresa: ricerca dei centri auriferi e di nuovi mercati per la vendita dei tessuti.
Ma anche Malfante descrive con vivo interesse gli usi e i costumi dei Tuaregh, da lui identificati con i Filistei, fornisce particolareggiate notizie sulle popolazioni delle valli del Niger. Come sottolinea la Galliano "a parte l'errata concezione dell'identificazione del Niger con il Senegal e il Nilo, l'elenco dei toponimi delle città è pressoché esatto, ed esse sono quasi tutte identificabili. Egli riferisce poi, con grande precisione, gli usi, costumi e commerci dei popoli di quelle regioni".

Ibn Battuta e Malfante

Ad ogni modo l'ardita puntata del Malfante non può essere paragonata al viaggio di I.B., né come ampiezza, né come documentazione, né come apporti nuovi.
Concludiamo con una nota su Ibn Battuta e Marco Polo. Ibn Battuta appare meno aperto e meno moderno di Marco Polo. Lo spirito di osservazione di Marco Polo è legato a modelli religiosi e matrici culturali diverse. Anche se la sua narrazione è necessariamente quella di un uomo medievale, nel Milione traspare lo spirito di un uomo curioso, proteso all'avventura, desideroso di conoscere il nuovo. Marco Polo è contemporaneamente uomo del Medioevo e della modernità laica.