Lanzarote

Lanzarote, l'isola più orientale dell'arcipelago, è la più originale delle sette sorelle: pezzo di luna caduto dal cielo, forma ovale dai colori metallici, visione apocalittica dai cento vulcani. Con l'alta marea, il mare penetra in certi punti creando un aspetto quasi lagunare. E' la laguna di El Charco, dove tre isolotti attaccati alla riva da dighe hanno permesso la costruzione di diversi porticcioli.

Clima dolce e caldo costante

La vicinanza alla costa africana (110 km) e l'assenza di alte catene montuose (al massimo 617 metri, a Las Penas del Chache) fanno sì che il clima sia secco e soleggiato; i venti alisei soffiano senza sosta e l'isola riceve, soprattutto d'inverno, delle masse di aria calda tropicale dal continente.
Al di là del promontorio basaltico di El Rio emergono a nord la piccola isola di La Graziosa e, più lontano, l'isolotto di Alegranza, simili alle ultime falangi di una mano gigantesca aperta sull'Atlantico. Inglesi e francesi si fermavano un tempo a Graziosa per riparare le navi e per prepararle alla lunga traversata atlantica. La costa era sorvegliata da sentinelle che, appostate in vetta al vulcano di Armida, davano l'allarme in caso di attacco dei corsari che saccheggiavano abitazioni, bestiame e navi anche nelle isole vicine. Alegranza è un unico vulcano alto 256 metri, con un cratere profondo 200, e circondato da coni eruttivi più recenti.

Campi a terrazza

La capitale, Arrecife, è un borgo di case cubiche, biancastre, dalle porte blu. Il retroterra appare arido, duro, inospitale, ricoperto di ceneri scure che contrastano violentemente con il colore rossastro dei campi sistemati a terrazza e coltivati a erba medica, mais, legumi e viti. Nelle vicinanze della montagna de fuego, Timanfaya, e alla montagna de infierno, Tinescheide, il suolo diventa un mare duro e nero dalle onde pietrificate e dalle forme strane. Innumerevoli conchiglie incrostate nella lava mandano riflessi iridescenti, grosse pietre sono imprigionate nel magma solidificato e, qua e là, mostruose bolle sono scoppiate in forme strane.

Una terribile eruzione che dura sei anni

E' il risultato della terribile eruzione che, iniziata nel settembre del 1730, inghiottì quattordici villaggi e coprì la scarsa vegetazione e le rarissime sorgenti. Il padre Don Andrei Lorenzo Curbelo, curato della parrocchia di Yaiza, ha lasciato una testimonianza scritta dei tragici eventi, finché, nel dicembre 1731, fuggì con alcuni fedeli verso la Gran Canaria. La violenza dei fenomeni vulcanici durò quasi sei anni: fuoco, fumo, esalazioni pestilenziali, ceneri e lapilli, scosse sismiche, fiumi di lava, coni vulcanici che improvvisamente si innalzavano spalancando altrettanti crateri.

Convivere con la lava

Pochi anni dopo il cataclisma gli uomini tornarono, riuscirono a convivere con la lava ed inventarono un metodo di coltivazione che è alla base dell'economia isolana: si scavano delle buche nel terreno per sfruttare la falda freatica poco profonda, sul fondo si semina orzo e granoturco, si pianta uva e pomodoro; il tutto è coperto da uno strato di lava polverizzata che trattiene l'umidità atmosferica ed è protetto dal vento da muretti di pietra. Il suolo vulcanico è molto fertile, e la vite in particolare produce un delizioso malvasia bianco. La dorsale vulcanica dell'isola mantiene un elevatissimo calore a pochi centimetri di profondità, creando una microserra naturale. A sessanta centimetri di profondità le pendici dei trecento crateri di Timanfaya mantengono una temperatura di 400 gradi Celsius, e di 140 gradi a soli dieci centimetri dalla superficie, sufficienti a fare cuocere un uovo in meno di sette minuti.

Olivina e Ossidiana

Nell'isola si trova in abbondanza l'olivina, una pietra silicea semi-preziosa; gli isolani spesso la vendono allo stato grezzo oppure trasformata in collane, braccialetti o altri gioielli. Nel medioevo questo silicato era considerato lo smeraldo dei poveri ed era ricercato dagli amanuensi per le miniature di libri religiosi e manoscritti destinati a monasteri e castelli. Un'altra pietra vulcanica abbondante a Lanzarote, ma presente anche in altre isole, è l'ossidiana: nera, lucente, di consistenza vetrosa e dai bordi taglienti, l'ossidiana era utilizzata come arma e utensile. Oggi viene scolpita per creare oggetti ornamentali.

Mulini a vento e pompe per convogliare l'acqua

Lanzarote è battuta da un vento costante, forte e caldo, che porta dall'Africa la sabbia rossa del deserto. L'energia eolica è da tempo sfruttata dagli isolani con i mulini a vento. In riva al mare altri mulini a vento funzionano come pompe per convogliare l'acqua dell'oceano in bacini poco profondi, le saline del lago Janubio o di El Golfo, grande cratere in riva all'oceano, parzialmente crollato lasciando una spiaggia di sabbia nera. Su questo suolo rude, dove centinaia di dromedari venivano impiegati per lavori di fatica, crescono anche fichi, meloni, cipolle, patate.

Pirati e Saraceni

Teguise, ex capitale dell'isola, conserva tre conventi oggi deserti. La domina il forte di Guanapay, costruito dai Barbareschi che periodicamente attaccavano e razziavano l'isola. Nei meandri della cueva de Los Verdes, lunghi oltre tre chilometri, si rifugiavano gli abitanti durante le incursioni piratesche nei secoli XVI e XVII. Fra tutte la più celebre fu quella di Arraez Mustapha che era riuscito a rinchiudere nella grotta mille persone liberandole solo dietro pagamento di un enorme riscatto. Altri racconti danno alla cueva un alone di tragedia. Il 1° maggio 1618 sbarcarono da settanta navi 5.000 saraceni che misero Teguise a ferro e fuoco. Molti riuscirono a nascondersi nella grotta ma dovettero infine arrendersi e furono portati ad Algeri come schiavi.

Reperti archeologici

Lanzarote era già abitata ben più di mille anni a.C., come dimostrano gli scavi archeologici e le pitture rupestri. Un gruppo di archeologi (Pablo Atache dell'università di Las Palmas e Juan Cruz del museo archeologico di Saragozza) hanno scoperto, una decina di anni fa, delle anfore romane che sembrano risalire al primo secolo a.C. Alcune provengono dal sud della Spagna o dell'Italia, altre dalla Tunisia. La loro presenza conferma l'intensità degli scambi commerciali tra il Mediterraneo classico ed i territori al di là delle colonne d'Ercole, e la frequenza dei peripli marittimi l ungo le coste dell'Africa nord occidentale.

L'estrazione del carminio

Fin dall'epoca fenicia e punica le Canarie erano conosciute a causa di un piccolo insetto colorato dal quale si può estrarre il carminio. La femmina di questa cocciniglia prolifera sui cactus (Dactylopilus coccus e Coccus cacti)e i fichi d'India, soprattutto nell'isola di Lanzarote. Ci vogliono 5.000 cocciniglie seccate e polverizzate per ottenere 150 grammi della preziosa materia colorante.

Un genovese scopre l'isola

Nel 1312 l'isola fu riscoperta dal navigatore genovese Lanzaroto Malocello, che le diede il suo nome. Ma i primi veri conquistatori furono, nel 1402, Godifier de La Salle oltre a Jean de Béthencourt che doveva in seguito farsi nominare re delle Canarie diventando vassallo di Enrico III. Suo nipote sposò la principessa guance di Teguise e, diventato viceré, vendette l'isola agli spagnoli e ai portoghesi. Lanzarote fu base militare fino alla conquista definitiva dell'arcipelago da parte degli spagnoli. Già ricercati come schiavi dai catalani e dai marocchini, le cui razzie avevano provocato la protesta di Béthencourt presso il Papa Benedetto XIII, i Guanci furono vittime dei cacciatori di schiavi mori soprattutto nella seconda metà del 1500.