Fuerteventura

Fuerteventura, che si chiamava Herbania, è la seconda grande isola dell'arcipelago. Si presenta come un vasto tavolato quasi desertico, con ondulazioni modeste che non superano mai poche centinaia di metri. E' il residuo di un enorme cratere vulcanico sprofondato in parte nell'oceano Atlantico.

Lapilli, crateri e rocce vulcaniche

Una parte dell'isola è coperta da una quantità enorme di lapilli, picon per gli abitanti, che contrastano con il bianco dei jables (le grandi distese di sabbia), il marrone violaceo dei basalti, l'oro delle spiagge e il grigio dei lajares, villaggi costruiti con pietre piatte locali. Il suo aspetto è eminentemente africano, le relative influenze climatiche e i venti violenti del vicino Sahara (60 miglia) inaridiscono il suolo assetato e rendono la vegetazione stentata e la vita umana rara e difficile. La monotonia della pianura è interrotta da centinaia di calderas (crateri) declinati in tutte le forme e dimensioni: calderetas, calderones, calderitas, conitos, hornitos (piccoli forni), e bordi di rocce vulcaniche: cuchillos e cuchilletes.

Un oasi nel deserto della civiltà

“Quest'isola non assomiglia a nessun'altra, poiché il suo stile è quello di uno scheletro. La sua terra è scheletrica, come le sue rovine vulcaniche e le sue montagne a gobba di cammello. Si direbbe che dei frammenti di vulcano siano emersi dal fondo del mare come un dono, per quelli tra noi che percepiscono il segreto delle forme”. Così il poeta e filosofo spagnolo Miguel Unamuno descrisse Fuerteventura, descrivendola “un'oasi nel deserto della civiltà”.

Rovine di vecchi regni

Dalla spiaggia dove gli indigeni acconciati di piume di struzzo accolsero cinque secoli fa i Normanni, si risale il Rio de Las Palmas, tra le palme da dattero che gettano un'ombra frastagliata sugli aridi campi di cereali. Non resta nulla della muraglia che separava i due bellicosi regni di Fuerteventura preispanica, ma, a 23 chilometri da Puerto del Rosario, la capitale, si possono vedere ampie rovine sparse lungo la penisola di Jandia.

L'isola dei giganti

I primi abitanti dell'isola erano particolarmente grandi. Si narra dell'esistenza di un gigante di nome Mahan, alto oltre sette metri, sepolto all'interno dell'omonima grotta nella montagna di Cardones. Si nutrivano di carne di capra, fresca o seccata al sole poiché ignoravano metodi di salatura o di cottura. Abitavano in grotte naturali e si coprivano con pelli di capra o pecora, con il pelo rivolto verso l'interno in inverno e l'esterno in estate. Certi storici affermano che le donne, molto belle, si coprivano il corpo solo dopo il matrimonio e sposavano tre mariti che si alternavano nel loro letto, al lavoro e come domestici.

Offerte alle divinità

Sui rilievi più elevati sono stati trovati graffiti e segni antropomorfici. Qui gli antichi abitanti innalzavano costruzioni piramidali di pietra chiamate fecuenes. Vi si accedeva da una stretta porta e all'interno un idolo di pietra rustica simboleggiava un essere invisibile, divinità alla quale portavano, come offerta, latte, grasso di capra e orzo che veniva bruciato. A seconda della direzione del fumo sapevano se il grande spirito sarebbe stato propizio oppure ostile. Invocavano l'anima degli antenati, erranti sopra il mare sotto forma d'impercettibili piccole nuvole; perciò si riunivano all'alba sulle spiagge durante il solstizio estivo ed organizzavano grandi feste.

Foche e branzini

Separato da Fuerteventura da uno stretto canale, l'isolotto di Lobos deve il suo nome alla grande quantità di “lupi di mare” (branzini) e di foche che lo popolavano. La loro carne ha costituito l'alimento principale delle truppe di Béthencourt, che trasformavano il loro grasso in combustibile per le lampade e utilizzavano le pelli per fabbricare calzature.