Dopo diversi secoli di abbandono, è solo verso la fine
del XIII e l'inizio del XIV secolo che navi europee riprendono
a percorrere le misteriose rotte al di là delle colonne
d' Ercole verso ovest e sud. Gli scopi sono molteplici, esigenze
commerciali, quali la necessità di aggirare da ponente
il forte regno mamelucco di Egitto (a quell'epoca ostacolo ai
commerci) ed il desiderio di attingere direttamente alla favolose
fonti d'oro dell'Africa tropicale, si accompagnano a motivazioni
di ordine religioso, quali l'aspirazione a stabilire un contatto
diretto con il mitico regno del Prete Gianni e quindi con l'Etiopia
cristiana, con la quale, nei secoli, si erano mantenute sia pur
saltuarie relazioni.
Sono principalmente Genovesi e Catalani i protagonisti di questa
prima sortita, peraltro destinata ad esaurirsi nel giro di pochi
decenni per la crisi economica e demografica dell'Europa della
metà del XIV secolo.
Bisogna attendere l'inizio del XV secolo per veder riprendere
in grande stile la navigazione verso l'Africa.
Promotore dell'iniziativa è il Portogallo, all'epoca un
piccolo, povero e spopolato paese.
I Portoghesi, che si sono liberati da poco più di 150 anni
dalla dominazione mussulmana, traggono profitto dalla loro privilegiata
posizione geografica e da una nuova e più matura esperienza
di navigazione atlantica. Viene infatti risolto solo in quegli
anni un problema tecnico che fino ad allora aveva contrastato
la navigazione lungo il litorale africano: è infatti messa
a punto una rotta che, descrivendo un ampio arco in prossimità
delle Azzorre, permette alle caravelle di ritornare in Europa
sfruttando l'aliseo di sud-ovest.
Le nuove navi, che hanno soppiantato le galere di tipo mediterraneo
a remi e vela, la scoperta del sistema per vincere l'ostacolo
dei venti costanti che soffiano verso sud e, forse soprattutto,
il superamento di una certa riluttanza psicologica a navigare
verso mari sconosciuti, sono le condizioni che consentono ai Lusitani
di essere pronti per giocare un ruolo da protagonisti nella nuova
avventura.
Occorre peraltro la volontà di un principe, l'Infante Enrico
del Portogallo, per trasformare queste potenzialità in
fatti concreti. Enrico "il Navigatore" è infatti
il patrono ed il coordinatore di un complesso di iniziative, che
grazie ai suoi finanziamenti iniziali portano, in poco più
di 60 anni, a circumnavigare l'Africa ed a raggiungere l'India.
Le tappe fondamentali possono essere così sintetizzate:
1434: Gil Eanes doppia il Capo Bojador tra il Marocco e la Mauritania
1445: Dinis Dias scopre la foce del fiume Senegal e l'isola di
Gorea
1448: I Portoghesi iniziano la costruzione di un forte sul banco
di Arguin nell'attuale Mauritania
1460: Diogo Gomes raggiunge la Sierra Leone
1471: I Portoghesi superano il Capo delle Palme e toccano la Costa
d'Oro
1474: Le navi portoghesi raggiungono l'attuale Gabon
1482: Il Re Giovanni II del Portogallo dà inizio alla costruzione
del forte di San Giorgio de la Mina sull'odierna costa del Ghana
1483: Diogo Cao perviene alla foce del fiume Congo ed alle coste
dell'Angola
1487: Bartolomeo Diaz avvista, in un giorno di tempesta, un Capo
che sarà successivamente chiamato il Capo di Buona Speranza
1498: Vasco de Gama doppiato il Capo di Buona Speranza, dopo aver
toccato le coste dell'attuale Mozambico, raggiunge Calcutta scoprendo
una nuova rotta verso le Indie
In meno di un secolo le coste africane cessano così di
costituire un enigma per l'Europa.
I Protagonisti iniziali
Discendendo le coste dell'Africa occidentale, tra l'attuale Senegal
e la Nigeria, i Portoghesi scoprono, una dopo l'altra, una serie
di piccole entità tribali costituite, se non da un solo
villaggio, da pochi villaggi assoggettati ad uno più importante.
I primi Europei si trovano quindi di fronte ad un'estrema frammentazione
politica alla quale corrisponde uno stato di continua belligeranza
tra una comunità e l'altra.
In questa regione costiera i grandi imperi e le confederazioni
dell'interno non giungono fino al mare.
Tale situazione, unita al fatto che i nuovi venuti non aspirano,
almeno per il momento, a conquiste territoriali, rende agevole
lo stabilirsi di rapporti pacifici con gli indigeni. Anzi, in
non pochi casi sono gli Africani stessi a chiedere agli Europei
di installarsi sulla costa sia per favorire i commerci, sia per
proteggere il villaggio dagli attacchi dei confinanti.
La situazione non si modifica neppure quando i Portoghesi entrano
in contatto con le grandi realtà politiche dell'Africa
occidentale: il Regno del Benin e, soprattutto, il grande Regno
di Congo.
Rispetto ai piccoli stati tribali della Costa di Guinea si tratta
di entità sociali ed amministrative molto complesse, che
praticano un vero e proprio controllo del territorio e dei commerci
tramite una rigida e ben strutturata scala gerarchica con al vertice
un Monarca.
Anche in questi casi, soprattutto all'inizio, i rapporti tra Europei
ed Africani sono sostanzialmente buoni: il Re del Portogallo si
riferisce al Re del Congo chiamandolo "suo fratello"
e con lui scambia ambasciatori ricevuti con grandi onori alla
corte di Lisbona.
Diversa è la situazione che i Portoghesi incontrano in
Africa orientale. Doppiato il Capo di Buona Speranza, Vasco de
Gama ed i suoi raggiungono una dopo l'altra una serie di straordinarie
città delle quali fino ad allora gli Europei non sospettavano
neppure l'esistenza. Grande è ogni volta la meraviglia
di fronte alla profusione di ricchezze, alla sontuosità
dei palazzi, alla raffinatezza degli abitanti.
In effetti quelle città erano fiorite già da 200
anni prima che i Portoghesi vi arrivassero e da secoli erano scalo
ed approdo di mercanti arabi, persiani, indiani e cinesi. E' un
mondo profondamente impregnato di cultura islamica, la cui prosperità
si basa non sulla produzione bensì sugli scambi. Dopo un
primo momento di ammirato stupore, i Portoghesi si gettano a capofitto
in selvagge aggressioni e saccheggi che hanno tra l'altro l'obiettivo,
non troppo recondito, di distruggere il potere di queste città-stato.
Peraltro il tentativo portoghese di egemonizzare i commerci da
e verso le Indie è destinato a fallire, ma questo non impedisce
che, dopo la fase iniziale, si stabilisca con le popolazioni locali
una tranquilla e pacifica coesistenza .
In termini complessivi si può quindi affermare che, per
un lungo periodo durato oltre 300 anni, le relazioni fra gli Europei
e gli Africani furono prevalentemente pacifiche e, pur senza volerle
idealizzare, non si può negare che esse furono improntate
su basi fondamentalmente paritarie. Inoltre per secoli gli insediamenti
costieri europei ebbero la capacità di calamitare le popolazioni
locali in un rapporto di reciproca protezione e sostentamento.
E gli Africani mostrarono in diverse circostanze un reale attaccamento
a quelli che avrebbero dovuto essere dei corpi estranei. Se così
non fosse non ci si spiegherebbe perché, per esempio a
Whydah, diversi anni dopo che i Francesi e gli Inglesi se ne erano
andati, gli abitanti continuassero ad issare le bandiere europee
sulle rovine degli antichi forti.
Gli inisediamenti costieri
Dalla metà del XV secolo, nel corso di tre secoli e mezzo
nove Stati europei o le loro Compagnie Commerciali costruiscono
e mantengono stazioni fortificate sulle coste dell'Africa nera.
La ragione principale di questi insediamenti è duplice:
da una parte favorire e proteggere i traffici di ciascun paese,
dall'altra tenere lontani i potenziali concorrenti.
La storia della costruzione dei castelli, dei forti e degli empori
può essere sommariamente divisa in due momenti fondamentali
1448-1640: il periodo dell'egemonia portoghese
1640-1800: il periodo dell'egemonia olandese e poi francese, danese,
svedese, brandenburghese ed inglese
In termini strettamente cronologici il primo forte è quello
di Arguin (sulle attuali coste della Mauritania), la cui costruzione
viene avviata dai Portoghesi nel 1448.
Bisogna attendere pochi decenni, il 1482, per vedere iniziata
l'edificazione di quello che rimarrà per sempre il più
importante insediamento dell'Africa occidentale: il forte di San
Giorgio de la Mina o di Elmina. Il castello di Elmina è
quindi la più antica costruzione europea nei tropici: quando
viene completato Cristoforo Colombo non ha ancora attraversato
l'Atlantico e tanto meno Vasco de Gama si è affacciato
sull'Oceano Indiano.
L'egemonia portoghese rimane sostanzialmente incontrastata fino
al 1600. In questo periodo vengono costruiti non pi- di 13-15
forti e castelli la metà dei quali nell'Africa occidentale.
Tra le prime fortificazioni e quelle degli ultimi anni del XVI
secolo, si colgono sensibili differenze costruttive significativamente
rivelatrici dei cambiamenti in essere. Mentre le difese dei primi
forti sono orientate soprattutto verso terra, a protezione da
indigeni potenzialmente ostili, già verso la metà
del XVI secolo ci si accorge che, in realtà, il nemico
viene dal mare.
Tra gli ultimi anni del XVI secolo ed il 1640 lo scenario muta
radicalmente: sulle coste della Guinea, ma anche su quella dell'Africa
orientale, si affacciano prepotentemente nuove potenze europee
decise a contrastare l'egemonia dei Portoghesi: sono soprattutto
Olandesi e negli anni immediatamente successivi Francesi, Danesi,
Svedesi, Brandenburghesi ed Inglesi. La lotta è cruenta
e relativamente rapida: in 40 anni i Portoghesi vengono sostanzialmente
espulsi da tutta l'Africa occidentale, eccettuata l'Angola, mentre
mantengono le posizioni in Africa orientale.
In questo periodo vengono costruiti 6-7 forti tutti ormai chiaramente
concepiti, secondo le regole dell'architettura militare, per difendersi
da attacchi con armi da fuoco. Il vero pericolo non è tanto
costituito dagli indigeni quanto dai concorrenti europei.
Gli anni tra il 1640 ed il 1710 sono caratterizzati da una continua
e strenua competizione fra diverse Compagnie Commerciali per conquistare
e difendere le migliori piazze d'affari.
E' la vera epopea dei forti, in poche decine di anni ne vengono
eretti oltre 40, due terzi dei quali su una striscia costiera
di poco più di 300 km, corrispondente per lo più
all'attuale Ghana.
Dal 1710 al 1800 si assiste ad una sostanziale coesistenza dominata
dall'interesse comune per il commercio.
Le posizioni sono ormai stabilizzate ed anche la necessità
di costruire nuovi forti è molto ridotta; su tutta la costa
occidentale ed orientale ne vengono infatti eretti non più
di 15.
Alla fine di questo periodo e prima dell'inizio della colonizzazione,
sulla costa africana si contano non meno di 70-80 forti importanti,
alcuni dei quali già da anni sono abbandonati ed in rovina.
Salvo pochissime eccezioni il loro uso è rimasto sempre
il medesimo e cioè di essere dei magazzini protetti per
le merci in arrivo dall'Europa e per le mercanzie, compresa quella
umana, in partenza dall'Africa.
Già molto tempo prima che si mettesse in moto la complessa
macchina dell'esplorazione, in Europa erano giunti gli echi dei
mitici tesori dell'interno dell'Africa.
Queste leggende avevano trovato una clamorosa conferma nelle cronache
del pellegrinaggio alla Mecca, del 1324, di Mansa Musa, Imperatore
del Mali, il cui oro, profuso in quantità, aveva strabiliato
e messo in difficoltà l'economia dello stesso Egitto.
Così quando le prime navi portoghesi incominciano a percorrere
le rotte dell'Africa, uno degli obiettivi principali è
la scoperta e la conquista di queste misteriose fonti, fino ad
allora saldamente controllate da mercanti mussulmani.
Per parecchi decenni, praticamente dalla metà del XV secolo
fino al 1600, i Portoghesi si dedicano, in situazione di quasi
monopolio, a lucrosi traffici sia sulle coste del Golfo di Guinea,
sia nell'Africa orientale. Le condizioni geo-politiche di questa
penetrazione sono infatti ben regolate dal trattato di Tordesillas
del 1494 che, con la benedizione di Papa Alessandro VI, ha sancito
le sfere di influenza delle Corone di Portogallo e di Spagna sia
per il nuovo mondo, sia per il continente africano e l'estremo
oriente asiatico.
E' soprattutto l'oro africano, inizialmente trovato in copiosissima
quantità, che fornisce le più consistenti entrate
e consente ai Portoghesi di finanziare le spedizioni ed i primi
insediamenti. Ben presto però cominciano ad arrivare dall'Africa
anche avorio, spezie ed i primi schiavi; in cambio i Portoghesi
portano oggetti di metallo, tessuti, collane di vetro e di corallo.
Salvo per il commercio dell'oro, che normalmente la Corona si
riserva di gestire direttamente, i traffici vengono affidati a
privati, ai quali sono concesse licenze in cambio di tasse ed
oneri doganali.
La contestazione al monopolio portoghese comincia a manifestarsi,
già verso la metà del XVI secolo, come conseguenza
immediata del distacco degli Stati del nord Europa dalla comunità
cattolico-romana.
Tra il 1600 ed il 1640 lo scenario, soprattutto in Africa occidentale,
cambia radicalmente. I Portoghesi non riescono a respingere la
pressione dei nuovi arrivati, soprattutto Olandesi seguiti ben
presto da Francesi, Danesi, Svedesi, Brandenburghesi ed Inglesi.
In realtà il Portogallo, a parte la difficoltà militare,
ha ormai concentrato il suo interesse prevalente verso i traffici
con l'Asia che viene raggiunta con una rotta che, per utilizzare
i venti costanti, tocca le Canarie, sfiora il Brasile e raggiunge
l'Africa solo all'altezza del Capo di Buona Speranza. Per garantirsi
questo traffico i Portoghesi sono perciò interessati solo
a difendere poche piazze sulla costa occidentale dell'Africa ed
alcune basi su quella orientale.
Tra il 1640 ed i primi anni del XVIII secolo si assiste, soprattutto
sulla costa di Guinea, alla competizione fra i nuovi arrivati
per la conquista delle piazze commerciali più ricche e
più sicure.
A differenza dei Portoghesi, gli Stati europei non agiscono direttamente
ma tramite Compagnie Commerciali create all'uopo. Per gli Olandesi
la "West Indische Compagnie", per i Francesi "La
Compagnie du Sénégal", per gli Inglesi dapprima
la "Company of Royal Adventurers into Africa", poi la
"Royal African Company" ed infine la "Company of
Merchands Trading to Africa".
Le caratteristiche delle Compagnie Commerciali sono simili: si
tratta di organizzazioni ad economia mista con la partecipazione
degli Stati e di privati normalmente vicini alla Corona.
Dopo l'iniziale periodo di competizione, per tutto il XVIII secolo
la situazione si normalizza e gli affari delle Compagnie prosperano.
Oltre all'oro gli Europei hanno imparato a diversificare i loro
commerci: dall'Africa si esportano avorio, gomma, pelle, legname,
spezie e soprattutto merce umana. In Africa si importano armi
da fuoco e relative munizioni, vini ed alcolici in genere, metallo
in barre, lingotti o "manilles", tessuti ed infine paccottiglia
di tutti i generi: specchi, carte dorate, perle di vetro, conchiglie
e cauri.
Per decenni, se non secoli, l'economia della tratta coinvolge
capitali estremamente importanti al punto che intere regioni d'Europa
ne dipendono in modo determinante.
La Tratta degli schiavi
In 400 anni, dalla metà del XV alla metà del XIX
secolo, la tratta transatlantica degli schiavi interessa un'entità
stimata tra i 12 ed i 14 milioni di Africani.
La prima "transazione" commerciale di questo genere,
di cui esista traccia, è del 1445 quando Antao Gonales
scambia mercanzie portoghesi contro "nove negri e un po'
di polvere d'oro". In effetti, se questo commercio non avesse
riguardato esseri umani, potrebbe, non a torto, considerarsi un
capitolo del più ampio argomento degli scambi tra gli Europei
e gli Africani.
La tratta degli schiavi è infatti anch'essa scandita da
due principali momenti: dal 1448 al 1640 il periodo portoghese
e dal 1640 fino agli inizi dell'800 il periodo olandese e delle
altre potenze europee.
Nella prima fase, la tratta transatlantica, sia per entità,
sia per importanza, gioca un ruolo fondamentalmente marginale
nel contesto di commerci diversificati dei quali i Portoghesi
detengono un monopolio pressoché totale. Nei due secoli
interessati, gli Africani deportati non superano probabilmente
il milione di individui, con una maggior concentrazione negli
ultimi anni.
Nel corso di questo periodo si passa infatti da un commercio occasionale
ad una tratta vera e propria, volta a rifornire di mano d'opera
le prime colture intensive delle isole atlantiche africane e poi,
in misura crescente, i nuovi territori delle Americhe.
Per gestire questo traffico viene anche inventata la formula dell'"assiento"
destinata a mettere d'accordo l'onore dell'acquirente, il commercio
e la morale. L'"assiento" è infatti un contratto
tra la Corona spagnola ed un intermediario con il quale quest'ultimo
si impegna a fornire alle colonie la quantità di mano d'opera
necessaria senza che la Corona, in quanto Stato, sia coinvolta
in una disdicevole pratica di commercio di esseri umani.
La seconda fase si avvia in concomitanza a nuovi equilibri politici
europei e quando le potenze coinvolte si rendono conto che il
controllo dei commerci della Guinea un aspetto importante
del mutato scenario mondiale, soprattutto in relazione ai nuovi
territori delle Americhe.
Nella situazione venutasi a creare, la tratta degli schiavi acquista
una rilevanza speciale: da una parte l'Europa produttrice di beni
per i nuovi mercati e bisognosa di mano d'opera, dall'altra l'Africa
consumatrice di mercanzie europee e produttrice di uomini per
esportazione.
Le grandi Compagnie Commerciali giocano un ruolo fondamentale
in questo mercato che per un paio di secoli è sicuramente
il commercio più redditizio.
L'Europa "negriera" trae un enorme profitto, al punto
che si potrà legittimamente affermare che buona parte dello
sviluppo economico di vaste regioni, se non di interi Stati, è
strettamente correlato agli oltre 10 milioni di uomini e donne
che in quegli anni sono tradotti da una parte all'altra dell'Atlantico.
Ma in contemporanea si crea anche un'Africa "negriera":
essa è caratterizzata dall'emergenza di nuove realtà
politiche in larga parte frutto della tratta degli schiavi. Sul
versante africano si sviluppano e si consolidano infatti entità
come il regno degli Ashanti, quello del Dahomey e di Loango, le
città-stato del delta del Niger e dell'Africa orientale,
strutture politiche tutte fortemente beneficiate dal commercio
umano.
Nel pieno dell'epoca della tratta si stima che oltre 200 navi
europee facessero, ogni anno e più volte, la spola tra
le sponde dell'Atlantico trasportando una media annuale di 50.000
schiavi, due terzi maschi ed un terzo donne e bambini. Alla fine
si sarà trattato di uno dei più sconvolgenti e tragici
cambiamenti della storia dell'intera umanità.
Quelle dei forti sparsi lungo la costa africana sono comunità
isolate, la cui sopravvivenza si basa su una pressoché
totale autosufficienza e su una stretta disciplina.
Il Comandante, cui spettano compiti non solo militari ma anche
commerciali e diplomatici, come in epoca feudale detiene un potere
assoluto e provvede a tutte le spese ed ai salari. Egli è
affiancato da un piccolo nucleo di ufficiali e sottufficiali da
cui dipende la truppa.
Soprattutto nei forti più grandi la guarnigione è
integrata da personale civile: commercianti, contabili, artigiani
(tra cui il sarto ed il barbiere) e nei casi più fortunati,
da un medico o da un farmacista.
Tra il personale del forte si ritrova talvolta un cappellano che,
quando non esiste la chiesa all'interno dell'insediamento, svolge
i suoi uffici nella sala da pranzo, ma il cui ruolo principale
è quello, oltre che di missionario, di insegnante dei bambini
mulatti, figli degli Europei e delle Africane. Le relazioni con
le donne del luogo, teoricamente proibite, sono infatti praticate
in segreto essendo molto rari i casi di donne europee che si trovano
a vivere nei forti.
Un gran numero di schiavi, sia uomini, sia donne e bambini, provvedono
alle necessità materiali dei pochi bianchi che, tra l'altro,
sono spesso di nazionalità diversa da quella di appartenenza
del forte. Soprattutto fra i maschi, alcuni, istruiti dagli Europei,
si rivelano abili lavoratori e, non di rado, buoni soldati, utili
per rimpiazzare le continue defezioni e gli ammutinamenti.
La giornata ha cadenze regolari scandite dal suono della campana,
che di giorno ritma il tempo del lavoro e di notte i giri di ronda
delle guardie.
Oltre alle attività connesse al commercio, innumerevoli
sono le necessità del forte: dai lavori domestici ai continui
interventi di restauro, dalla cura degli animali alla manutenzione
delle armi.
La monotonia viene interrotta solo dall'arrivo di una nave e,
quando non si tratta di pirati o di equipaggi nemici, che mettono
immediatamente in moto le azioni difensive, iniziano le operazioni
di carico e scarico, condotte nel più breve tempo possibile
per non trattenere troppo a lungo l'imbarcazione ed esporre l'equipaggio
al pericolo di contagi. Per queste operazioni si impiegano un
gran numero di canoe di proprietà del forte o di pescatori
locali quasi sempre comandati e organizzati da un africano libero.
Le merci scaricate dalle navi sono destinate sia ai commerci sia
all'approvvigionamento della guarnigione.
I problemi che angustiano gli abitanti del forte sono molteplici:
l'alimentazione scarsa e squilibrata, fatta di farina e carne
affumicata, l'acqua disponibile, spesso contaminata e soprattutto
le infezioni e le febbri tipiche delle aree tropicali. Anche per
queste ragioni il periodo di ingaggio è limitato a due
anni per i Portoghesi e a tre anni per le altre nazioni; del resto
la sopravvivenza media, salvo rari casi, non supera i due anni.
Ci si consola ubriacandosi: quello del bere è infatti il
passatempo serale e notturno preferito soprattutto negli insediamenti
nei quali è vietato portarsi donne al forte o passare la
notte al villaggio.
Nel complesso la vita di queste comunità, che variano da
poche persone a qualche centinaio di individui, non è affatto
tranquilla: le condizioni di pericolo fisico e di stress mentale,
la mancanza di occasioni di svago, la difficoltà di vivere
in climi ostili generano permanenti situazioni di insofferenza,
lamentele e dispute che sfociano in ricorrenti litigi e zuffe.