FORTI E CASTELLI DI TRATTA

Parte seconda: Note di architettura

Tipologia dei forti

In un tentativo di generale classificazione, basato essenzialmente sulla dimensione, gli edifici costruiti dagli Europei sulle coste africane o nei pressi di fiumi navigabili sono riconducibili a tre categorie: castelli, forti ed empori.
Possono essere definiti "castelli" le costruzioni pi- grandi ed importanti, normalmente sedi dei quartieri generali degli Stati europei presenti sul territorio. Tra essi certamente meritano di essere ricordati gli insediamenti di Elmina, Cape Coast, Christiansborg, Cape Town, Ilha de Mozambique.
La denominazione di "forte" è usata in senso lato ma soprattutto si riferisce ad edifici di media grandezza con funzioni commerciali e militari.
Infine, vengono detti "empori" piccole postazioni commerciali spesso neppure fortificate.
In generale l'impianto dei forti è costituito da una cortina di forma pressoché quadrata, con solidi bastioni trapezoidali o qualche volta rotondi, di altezza uguale alla cinta muraria. Quando i bastioni non sono riempiti internamente di terra o sabbia, contengono stanze con copertura a volta, utilizzate come magazzini per le polveri o, se è stata predisposta una presa d'aria, come magazzini per le merci e soprattutto come prigioni per gli schiavi in attesa di essere imbarcati.
Il parapetto del cammino di ronda, sulla sommità della cinta muraria verso l'esterno, presenta ampie aperture merlate per i cannoni (svasate verso l'interno per migliorare il raggio di tiro) e aperture più piccole per l'uso di armi leggere. La concentrazione delle difese, per lo più verso il mare, porta spesso all'edificazione di una torre di guardia per le vedette.
Secondo lo schema più antico, all'interno di questo primo recinto viene eretto un edificio isolato che ospita le funzioni principali oltre che all'alloggio del Comandante. Nei casi più frequenti le stanze vengono invece costruite a ridosso della cinta muraria e la loro copertura piana contribuisce a creare slarghi lungo il cammino di ronda.
Lo schema della cinta fortificata con stanze addossate alla cortina è tipicamente completato dal cosiddetto "sperone": una fortificazione esterna per lo più a forma triangolare, con un lato costituito dalla cinta principale e gli altri formati da muri che nascono dai bastioni. Nello sperone è contenuto un primo ingresso, a protezione di quello vero e proprio del forte.
Le stanze che si affacciano sulla corte interna sono adibite ad alloggi per i residenti (le migliori, per problemi di riscontro d'aria, sono quelle ai piani superiori), a cucina con annessa dispensa e a depositi per le merci.
La corte interna è utilizzata come piazza d'armi ma è soprattutto lo spazio dove gli artigiani praticano le loro attività. Quando risulta troppo piccola, le attività si svolgono nello sperone che spesso funge da area di mercato, pur essendo originariamente concepito come spazio protetto in cui accogliere la popolazione locale in caso di guerra.
Elemento di fondamentale importanza nella vita del forte è la cisterna, la cui costruzione implica problemi e costi notevoli; essa è costituita da muri, pavimenti e volte in mattoni. Il problema della scorta d'acqua aumenta sensibilmente in rapporto all'incremento della tratta degli schiavi, poiché la loro presenza, in attesa dell'imbarco, può variare da settimane a mesi.
Una piccola torre o una sorta di nicchia contiene infine la campana, presenza sempre importante nella vita del forte.

Trasformazione e sviluppo

Quando, nel 1482, i Portoghesi iniziano la costruzione del forte di Elmina, i principi teorici della progettazione di strutture difensive hanno già subito una lunga e profonda evoluzione. Il castello, nato dal "castrum" militare romano è passato attraverso l'esperienza dell'alto Medio Evo e soprattutto quella dell'epoca delle Crociate. E' stato in particolare quest'ultimo periodo ad aver introdotto modifiche sostanziali quali l'inserimento di torri sporgenti dal perimetro, la doppia cerchia di mura, i fossati con ponte levatoio, le merlature, le feritoie, le caditoie, ecc.
E' presumibilmente questo il modello che i Portoghesi hanno in mente quando si accingono alle prime costruzioni oltremare: questo tipo di fortificazione sembra infatti adeguato alla necessità di proteggere l'insediamento da indigeni che dispongono solo di armi bianche o da lancio.
In realtà non esistono immagini attendibili dei forti prima del 1600, essendo verosimilmente di fantasia quelle riportate sui portolani del XV e XVI secolo. Che questo fosse il criterio costruttivo è però confermato da testimonianze scritte che si riferiscono anche ai primi insediamenti francesi (Saint Louis du Senegal).
E' quindi probabile che il primo forte di Elmina fosse un edificio di forma rettangolare con mura alte e sottili torri poligonali o rotonde agli angoli.
Peraltro in Europa, già nel XV secolo, l'ingegneria militare aveva subito una serie di rilevanti modificazioni a causa del diffondersi di potenti armi da fuoco. Contro l'artiglieria pesante il modello di castello ereditato dal Medio Evo non è più idoneo né a reggere i colpi dei proiettili né il rinculo dei cannoni posti sugli spalti.
I progettisti europei, all'inizio soprattutto italiani (F. di Giorgio Martini, G. da Sangallo, Michelangelo) e più tardi francesi (Le Preste-Vauban), hanno già studiato e collaudato le opportune contromisure. Le innovazioni consistono principalmente nell'aumento dello spessore murario, nel livellamento delle torri all'altezza delle mura costruite a scarpata e, soprattutto, nell'introduzione dei bastioni.
Nei forti africani la necessità di adottare questi nuovi accorgimenti si pone nel momento in cui (tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo) si manifesta la minaccia dei concorrenti europei.
In verità in Africa non si assisterà mai all'adozione di soluzioni complesse ed i criteri costruttivi resteranno normalmente improntati ad una sostanziale semplicità, pur adattandosi alle mutate esigenze.
Un fatto che invece caratterizza buona parte degli insediamenti costieri Š la notevole incidenza degli ampliamenti e delle trasformazioni funzionali.
Le motivazioni sono diverse e tra esse giocano sicuramente un ruolo importante il frequente passaggio di mano dei forti (e di conseguenza le diverse abitudini e mentalità degli occupanti), ma soprattutto la diversa fortuna commerciale che distingue una localizzazione dall'altra.
Alcuni casi, come quello di Christiansborg ad Accra, sono emblematici: da un modesto emporio portoghese all'inizio del XVII secolo, si passa al primo forte costruito dagli Svedesi nel 1652 che, nel 1660, diventa un possedimento danese. Temporaneamente ripreso dai Portoghesi nel 1670, dal 1683 torna ad essere dei Danesi che lo tengono per circa due secoli prima di cederlo agli Inglesi nel XIX secolo. Oggi Christiansborg è la sede ufficiale del Governo del Ghana.

Materiali ed elementi decorativi

I principali problemi che gli Europei si trovano ad affrontare in terra africana per la costruzione dei loro insediamenti sono sostanzialmente due: difficoltà a reperire materiali idonei per costruzioni permanenti e mancanza di manodopera adeguata.
Nel corso dei secoli, per cercare di adattarsi alla realtà vengono fatti non pochi tentativi di costruzioni con materiali e tecniche locali, consistenti nell'impiego di fango per le murature e nella realizzazione di coperture in paglia. I risultati si dimostrano altamente deteriorabili sia per le tecnologie sia per le condizioni climatiche; questo comporta che tali tecniche vengano adottate solo per edifici di minore importanza.
Relativamente ai materiali, la pietra della costa, mentre offre condizioni favorevoli nella scelta dei siti e per le fondamenta delle costruzioni, non Š invece, in molti casi, adatta ad essere ridotta in blocchi regolari. Sembra comunque che unicamente i Portoghesi abbiano importato in Africa pietre gi… tagliate, sia pure in piccole quantità, mentre in grande quantità vengono importati dall'Europa i mattoni, utilizzati anche come zavorra per le navi.
Esistono testimonianze del grande uso di mattoni fatto dagli Olandesi ed anche dai Brandenburghesi, che li impiegano soprattutto per le parti con spigoli e volte. I mattoni vengono anche usati per la costruzione di cordoli, parapetti ed elementi decorativi.
Oltre ai chiodi, anche la calce costituisce una voce significativa nell'elenco delle importazioni. Essa viene infatti impiegata per la malta, per una sorta di cemento impermeabile e per la tinteggiatura: la mano di calce bianca, ridata ogni anno, ha non solo lo scopo di fermare le crepe e la pioggia, ma dona altresì all'edificio una parvenza di eleganza oltre a fungere da richiamo per i naviganti.
Per quanto riguarda le pavimentazioni, l'uso comune è di utilizzare mattoni e lastre di pietra, successivamente intonacate per livellarne le irregolarità.
Le strutture orizzontali vengono realizzate in legno che, pur essendo di buona qualità, risulta spesso di difficile lavorazione oltre ad essere soggetto agli attacchi delle termiti e degli incendi. Tavole di legno servono anche alla costruzione dei solai.
I tetti sono spesso realizzati con tronchi e pietre piatte, in qualche caso coperti di paglia. Quasi sempre si tratta di tetti piani con una leggera inclinazione per convogliare l'acqua piovana nei condotti predisposti. L'imputridimento del legno usato come elemento strutturale provoca peraltro ripetuti crolli ed un continuo lavoro di manutenzione.
Gli standards delle costruzioni differiscono fra le varie Nazioni, soprattutto in base allo scopo ed allo status dei singoli edifici. Mentre i Portoghesi concentrano i loro sforzi sulle fortificazioni, trascurando invece le residenze ed i depositi, i Francesi costruiscono quasi sempre a basso livello e non in modo duraturo. Sono degli Olandesi e dei Danesi gli standards più elevati, mentre gli Inglesi curano soprattutto le postazioni più grandi e più tarde.
Se si escludono gli insediamenti più importanti, nei forti costieri non sono riscontrabili tracce di particolari decorazioni, al contrario gli edifici sono improntati, per ovvie ragioni, alla massima semplicità. Elemento di spicco, anche nelle testimonianze giunte sino a noi attraverso le incisioni, sembrano essere unicamente i portali d'ingresso che, quasi a bilanciare il difetto di essere il punto più debole del complesso, sono spesso arricchiti o segnalati da elementi di decorazione muraria.
Per quanto riguarda infine la manodopera, solo i Portoghesi inizialmente portano il personale dalla madrepatria, in seguito viene generalmente organizzata una forza-lavoro di schiavi, a cui vengono insegnati i metodi di costruzione europei. Quasi sempre un africano libero ha il ruolo di supervisore sugli schiavi fissi e preposti ai lavori.

Immagini e realtà

Le opere europee dedicate all'Africa, tra gli ultimi anni del XVI e la fine del XVIII secolo, sono diverse centinaia e molte contengono illustrazioni. Così come buona parte dei testi sono traduzioni o compendi di scritti precedenti, anche l'iconografia che li accompagna presenta spesso le medesime caratteristiche, di essere cioè il frutto di ricopiature successive di un limitato numero di prototipi.
In termini assolutamente generali si può affermare che l' "immagine antica" dell'Africa che l'Europa produce, e quindi impone, è un'immagine fondamentalmente utilitaristica: è cioè l'immagine che "serve", sia dal punto di vista politico e commerciale, sia dal punto di vista della trasposizione visiva delle leggende, dei sogni, per non dire dei miti collettivi ereditati dal Medio Evo.
Alla luce di queste premesse si può comprendere l'apparente dicotomia tra la rappresentazione degli Africani quasi sempre infedele" e la rappresentazione dei forti e dei castelli spesso "fedele", pur con le limitazioni gi… anticipate.
Nel primo caso l'interesse dell'illustratore è volto a rappresentare l'Africano "che ci si aspetta" e non la sua realtà oggettiva, della quale normalmente non è disponibile nessuna informazione diretta. In una tale situazione l'autore è necessariamente obbligato a ricorrere a modelli pittorici europei che gli sono noti adattandoli, a fantasia, alla presunta realtà africana.
Diverso è il caso delle rappresentazioni dei forti, dei quali serve dare un'informazione il più possibile attendibile. Questo spiega perché, sia pure limitatamente ad Elmina, essi già appaiono nei portolani della fine del XV secolo. A partire da queste prime citazioni, l'immagine degli insediamenti europei sulle coste africane è pressoché una costante, con una presenza crescente dalle opere più antiche a quelle della seconda metà del XVIII secolo.
Quanto al tema della fedeltà delle immagini, occorre premettere che questo argomento si presta, sia pure con qualche accorgimento, ad essere verificato con realtà fisiche in molti casi tuttora esistenti.
Un primo aspetto da esaminare è quello del disegno originale sovente eseguito non da uno specialista ma da un viaggiatore, da un commerciante o da un militare. La ricerca delle fonti autentiche è un filone da approfondire per comprendere le modifiche e le integrazioni introdotte nelle rappresentazioni dai successivi disegnatori e dagli incisori.
Tra l'altro non va dimenticato che gli insediamenti subiscono continue trasformazioni, alle quali non sempre corrispondono le informazioni che giungono in Europa.
Così, per tutto il corso del XVII secolo le immagini ricorrenti sono riconducibili a poche e ben identificabili fonti. La situazione muta profondamente tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo soprattutto perché lo impongono nuove esigenze commerciali e militari.
Gli autori sono sovente testimoni oculari: rappresentanti di Compagnie Commerciali come nel caso dell'olandese Bosman, viaggiatori come nel caso del francese Barbot o militari come nel caso dell'inglese Smith.
Nelle rappresentazioni di questo periodo si possono addirittura cogliere e paragonare angoli di visuale diversa di chi disegna stando imbarcato su una nave e chi disegna da terra) ed anche gli errori e le deformazioni indotte dalla posizione dell'osservatore.
Con la metà del XVIII secolo si assiste infine al trionfo dell'iconografia intesa come "scienza della rappresentazione" rispetto alla "visione artistica".
Non solo viene ridimensionato ogni filtro deviante e soggettivo, ma le immagini sono una profusione di dettagli, sezioni, prospetti, piani sovrapposti e didascalie al punto quasi da richiedere per la loro interpretazione, una competenza specifica da ingegneri o architetti.