In un tentativo di generale classificazione, basato essenzialmente
sulla dimensione, gli edifici costruiti dagli Europei sulle coste
africane o nei pressi di fiumi navigabili sono riconducibili a
tre categorie: castelli, forti ed empori.
Possono essere definiti "castelli" le costruzioni pi-
grandi ed importanti, normalmente sedi dei quartieri generali
degli Stati europei presenti sul territorio. Tra essi certamente
meritano di essere ricordati gli insediamenti di Elmina, Cape
Coast, Christiansborg, Cape Town, Ilha de Mozambique.
La denominazione di "forte" è usata in senso
lato ma soprattutto si riferisce ad edifici di media grandezza
con funzioni commerciali e militari.
Infine, vengono detti "empori" piccole postazioni commerciali
spesso neppure fortificate.
In generale l'impianto dei forti è costituito da una cortina
di forma pressoché quadrata, con solidi bastioni trapezoidali
o qualche volta rotondi, di altezza uguale alla cinta muraria.
Quando i bastioni non sono riempiti internamente di terra o sabbia,
contengono stanze con copertura a volta, utilizzate come magazzini
per le polveri o, se è stata predisposta una presa d'aria,
come magazzini per le merci e soprattutto come prigioni per gli
schiavi in attesa di essere imbarcati.
Il parapetto del cammino di ronda, sulla sommità della
cinta muraria verso l'esterno, presenta ampie aperture merlate
per i cannoni (svasate verso l'interno per migliorare il raggio
di tiro) e aperture più piccole per l'uso di armi leggere.
La concentrazione delle difese, per lo più verso il mare,
porta spesso all'edificazione di una torre di guardia per le vedette.
Secondo lo schema più antico, all'interno di questo primo
recinto viene eretto un edificio isolato che ospita le funzioni
principali oltre che all'alloggio del Comandante. Nei casi più
frequenti le stanze vengono invece costruite a ridosso della cinta
muraria e la loro copertura piana contribuisce a creare slarghi
lungo il cammino di ronda.
Lo schema della cinta fortificata con stanze addossate alla cortina
è tipicamente completato dal cosiddetto "sperone":
una fortificazione esterna per lo più a forma triangolare,
con un lato costituito dalla cinta principale e gli altri formati
da muri che nascono dai bastioni. Nello sperone è contenuto
un primo ingresso, a protezione di quello vero e proprio del forte.
Le stanze che si affacciano sulla corte interna sono adibite ad
alloggi per i residenti (le migliori, per problemi di riscontro
d'aria, sono quelle ai piani superiori), a cucina con annessa
dispensa e a depositi per le merci.
La corte interna è utilizzata come piazza d'armi ma è
soprattutto lo spazio dove gli artigiani praticano le loro attività.
Quando risulta troppo piccola, le attività si svolgono
nello sperone che spesso funge da area di mercato, pur essendo
originariamente concepito come spazio protetto in cui accogliere
la popolazione locale in caso di guerra.
Elemento di fondamentale importanza nella vita del forte è
la cisterna, la cui costruzione implica problemi e costi notevoli;
essa è costituita da muri, pavimenti e volte in mattoni.
Il problema della scorta d'acqua aumenta sensibilmente in rapporto
all'incremento della tratta degli schiavi, poiché la loro
presenza, in attesa dell'imbarco, può variare da settimane
a mesi.
Una piccola torre o una sorta di nicchia contiene infine la campana,
presenza sempre importante nella vita del forte.
Trasformazione e sviluppo
Quando, nel 1482, i Portoghesi iniziano la costruzione del forte
di Elmina, i principi teorici della progettazione di strutture
difensive hanno già subito una lunga e profonda evoluzione.
Il castello, nato dal "castrum" militare romano è
passato attraverso l'esperienza dell'alto Medio Evo e soprattutto
quella dell'epoca delle Crociate. E' stato in particolare quest'ultimo
periodo ad aver introdotto modifiche sostanziali quali l'inserimento
di torri sporgenti dal perimetro, la doppia cerchia di mura, i
fossati con ponte levatoio, le merlature, le feritoie, le caditoie,
ecc.
E' presumibilmente questo il modello che i Portoghesi hanno in
mente quando si accingono alle prime costruzioni oltremare: questo
tipo di fortificazione sembra infatti adeguato alla necessità
di proteggere l'insediamento da indigeni che dispongono solo di
armi bianche o da lancio.
In realtà non esistono immagini attendibili dei forti prima
del 1600, essendo verosimilmente di fantasia quelle riportate
sui portolani del XV e XVI secolo. Che questo fosse il criterio
costruttivo è però confermato da testimonianze scritte
che si riferiscono anche ai primi insediamenti francesi (Saint
Louis du Senegal).
E' quindi probabile che il primo forte di Elmina fosse un edificio
di forma rettangolare con mura alte e sottili torri poligonali
o rotonde agli angoli.
Peraltro in Europa, già nel XV secolo, l'ingegneria militare
aveva subito una serie di rilevanti modificazioni a causa del
diffondersi di potenti armi da fuoco. Contro l'artiglieria pesante
il modello di castello ereditato dal Medio Evo non è più
idoneo né a reggere i colpi dei proiettili né il
rinculo dei cannoni posti sugli spalti.
I progettisti europei, all'inizio soprattutto italiani (F. di
Giorgio Martini, G. da Sangallo, Michelangelo) e più tardi
francesi (Le Preste-Vauban), hanno già studiato e collaudato
le opportune contromisure. Le innovazioni consistono principalmente
nell'aumento dello spessore murario, nel livellamento delle torri
all'altezza delle mura costruite a scarpata e, soprattutto, nell'introduzione
dei bastioni.
Nei forti africani la necessità di adottare questi nuovi
accorgimenti si pone nel momento in cui (tra la fine del XVI e
l'inizio del XVII secolo) si manifesta la minaccia dei concorrenti
europei.
In verità in Africa non si assisterà mai all'adozione
di soluzioni complesse ed i criteri costruttivi resteranno normalmente
improntati ad una sostanziale semplicità, pur adattandosi
alle mutate esigenze.
Un fatto che invece caratterizza buona parte degli insediamenti
costieri la notevole incidenza degli ampliamenti e delle
trasformazioni funzionali.
Le motivazioni sono diverse e tra esse giocano sicuramente un
ruolo importante il frequente passaggio di mano dei forti (e di
conseguenza le diverse abitudini e mentalità degli occupanti),
ma soprattutto la diversa fortuna commerciale che distingue una
localizzazione dall'altra.
Alcuni casi, come quello di Christiansborg ad Accra, sono emblematici:
da un modesto emporio portoghese all'inizio del XVII secolo, si
passa al primo forte costruito dagli Svedesi nel 1652 che, nel
1660, diventa un possedimento danese. Temporaneamente ripreso
dai Portoghesi nel 1670, dal 1683 torna ad essere dei Danesi che
lo tengono per circa due secoli prima di cederlo agli Inglesi
nel XIX secolo. Oggi Christiansborg è la sede ufficiale
del Governo del Ghana.
Materiali ed elementi decorativi
I principali problemi che gli Europei si trovano ad affrontare
in terra africana per la costruzione dei loro insediamenti sono
sostanzialmente due: difficoltà a reperire materiali idonei
per costruzioni permanenti e mancanza di manodopera adeguata.
Nel corso dei secoli, per cercare di adattarsi alla realtà
vengono fatti non pochi tentativi di costruzioni con materiali
e tecniche locali, consistenti nell'impiego di fango per le murature
e nella realizzazione di coperture in paglia. I risultati si dimostrano
altamente deteriorabili sia per le tecnologie sia per le condizioni
climatiche; questo comporta che tali tecniche vengano adottate
solo per edifici di minore importanza.
Relativamente ai materiali, la pietra della costa, mentre offre
condizioni favorevoli nella scelta dei siti e per le fondamenta
delle costruzioni, non invece, in molti casi, adatta ad
essere ridotta in blocchi regolari. Sembra comunque che unicamente
i Portoghesi abbiano importato in Africa pietre gi
tagliate,
sia pure in piccole quantità, mentre in grande quantità
vengono importati dall'Europa i mattoni, utilizzati anche come
zavorra per le navi.
Esistono testimonianze del grande uso di mattoni fatto dagli Olandesi
ed anche dai Brandenburghesi, che li impiegano soprattutto per
le parti con spigoli e volte. I mattoni vengono anche usati per
la costruzione di cordoli, parapetti ed elementi decorativi.
Oltre ai chiodi, anche la calce costituisce una voce significativa
nell'elenco delle importazioni. Essa viene infatti impiegata per
la malta, per una sorta di cemento impermeabile e per la tinteggiatura:
la mano di calce bianca, ridata ogni anno, ha non solo lo scopo
di fermare le crepe e la pioggia, ma dona altresì all'edificio
una parvenza di eleganza oltre a fungere da richiamo per i naviganti.
Per quanto riguarda le pavimentazioni, l'uso comune è di
utilizzare mattoni e lastre di pietra, successivamente intonacate
per livellarne le irregolarità.
Le strutture orizzontali vengono realizzate in legno che, pur
essendo di buona qualità, risulta spesso di difficile lavorazione
oltre ad essere soggetto agli attacchi delle termiti e degli incendi.
Tavole di legno servono anche alla costruzione dei solai.
I tetti sono spesso realizzati con tronchi e pietre piatte, in
qualche caso coperti di paglia. Quasi sempre si tratta di tetti
piani con una leggera inclinazione per convogliare l'acqua piovana
nei condotti predisposti. L'imputridimento del legno usato come
elemento strutturale provoca peraltro ripetuti crolli ed un continuo
lavoro di manutenzione.
Gli standards delle costruzioni differiscono fra le varie Nazioni,
soprattutto in base allo scopo ed allo status dei singoli edifici.
Mentre i Portoghesi concentrano i loro sforzi sulle fortificazioni,
trascurando invece le residenze ed i depositi, i Francesi costruiscono
quasi sempre a basso livello e non in modo duraturo. Sono degli
Olandesi e dei Danesi gli standards più elevati, mentre
gli Inglesi curano soprattutto le postazioni più grandi
e più tarde.
Se si escludono gli insediamenti più importanti, nei forti
costieri non sono riscontrabili tracce di particolari decorazioni,
al contrario gli edifici sono improntati, per ovvie ragioni, alla
massima semplicità. Elemento di spicco, anche nelle testimonianze
giunte sino a noi attraverso le incisioni, sembrano essere unicamente
i portali d'ingresso che, quasi a bilanciare il difetto di essere
il punto più debole del complesso, sono spesso arricchiti
o segnalati da elementi di decorazione muraria.
Per quanto riguarda infine la manodopera, solo i Portoghesi inizialmente
portano il personale dalla madrepatria, in seguito viene generalmente
organizzata una forza-lavoro di schiavi, a cui vengono insegnati
i metodi di costruzione europei. Quasi sempre un africano libero
ha il ruolo di supervisore sugli schiavi fissi e preposti ai lavori.
Immagini e realtà
Le opere europee dedicate all'Africa, tra gli ultimi anni del
XVI e la fine del XVIII secolo, sono diverse centinaia e molte
contengono illustrazioni. Così come buona parte dei testi
sono traduzioni o compendi di scritti precedenti, anche l'iconografia
che li accompagna presenta spesso le medesime caratteristiche,
di essere cioè il frutto di ricopiature successive di un
limitato numero di prototipi.
In termini assolutamente generali si può affermare che
l' "immagine antica" dell'Africa che l'Europa produce,
e quindi impone, è un'immagine fondamentalmente utilitaristica:
è cioè l'immagine che "serve", sia dal
punto di vista politico e commerciale, sia dal punto di vista
della trasposizione visiva delle leggende, dei sogni, per non
dire dei miti collettivi ereditati dal Medio Evo.
Alla luce di queste premesse si può comprendere l'apparente
dicotomia tra la rappresentazione degli Africani quasi sempre
infedele" e la rappresentazione dei forti e dei castelli
spesso "fedele", pur con le limitazioni gi
anticipate.
Nel primo caso l'interesse dell'illustratore è volto a
rappresentare l'Africano "che ci si aspetta" e non la
sua realtà oggettiva, della quale normalmente non è
disponibile nessuna informazione diretta. In una tale situazione
l'autore è necessariamente obbligato a ricorrere a modelli
pittorici europei che gli sono noti adattandoli, a fantasia, alla
presunta realtà africana.
Diverso è il caso delle rappresentazioni dei forti, dei
quali serve dare un'informazione il più possibile attendibile.
Questo spiega perché, sia pure limitatamente ad Elmina,
essi già appaiono nei portolani della fine del XV secolo.
A partire da queste prime citazioni, l'immagine degli insediamenti
europei sulle coste africane è pressoché una costante,
con una presenza crescente dalle opere più antiche a quelle
della seconda metà del XVIII secolo.
Quanto al tema della fedeltà delle immagini, occorre premettere
che questo argomento si presta, sia pure con qualche accorgimento,
ad essere verificato con realtà fisiche in molti casi tuttora
esistenti.
Un primo aspetto da esaminare è quello del disegno originale
sovente eseguito non da uno specialista ma da un viaggiatore,
da un commerciante o da un militare. La ricerca delle fonti autentiche
è un filone da approfondire per comprendere le modifiche
e le integrazioni introdotte nelle rappresentazioni dai successivi
disegnatori e dagli incisori.
Tra l'altro non va dimenticato che gli insediamenti subiscono
continue trasformazioni, alle quali non sempre corrispondono le
informazioni che giungono in Europa.
Così, per tutto il corso del XVII secolo le immagini ricorrenti
sono riconducibili a poche e ben identificabili fonti. La situazione
muta profondamente tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo
soprattutto perché lo impongono nuove esigenze commerciali
e militari.
Gli autori sono sovente testimoni oculari: rappresentanti di Compagnie
Commerciali come nel caso dell'olandese Bosman, viaggiatori come
nel caso del francese Barbot o militari come nel caso dell'inglese
Smith.
Nelle rappresentazioni di questo periodo si possono addirittura
cogliere e paragonare angoli di visuale diversa di chi disegna
stando imbarcato su una nave e chi disegna da terra) ed anche
gli errori e le deformazioni indotte dalla posizione dell'osservatore.
Con la metà del XVIII secolo si assiste infine al trionfo
dell'iconografia intesa come "scienza della rappresentazione"
rispetto alla "visione artistica".
Non solo viene ridimensionato ogni filtro deviante e soggettivo,
ma le immagini sono una profusione di dettagli, sezioni, prospetti,
piani sovrapposti e didascalie al punto quasi da richiedere per
la loro interpretazione, una competenza specifica da ingegneri
o architetti.