Le prime immagini dell'Africa nera e dei suoi abitanti che gli
europei hanno avuto sotto gli occhi erano contenute nelle prime
carte nautiche manoscritte, abbellite, in qualche caso, da illustrazioni
di elementi di paesaggio e di architettura, di animali e di personaggi
africani. Materiali figurativi fantastici, per lo più,
che riflettevano le scarse informazioni sul continente ma più
spesso le leggende che si erano radicate e arricchite con il passare
dei secoli e tenevano il posto delle conoscenze che ancora non
si avevano.
L'atlante catalano
Si pensi, per citare una delle carte più antiche e famose,
all'Atlas Catalan disegnato nel 1375 dal cartografo maiorchino
Abraham Cresques per il re di Francia Carlo V.
Tale pratica continuò nei secoli successivi anche sulle
carte a stampa, sulle quali erano raffigurate spesso nei cartigli
o nei margini delle scene allegoriche e anche di vita africana.
D'altra parte, la stessa forma del continente si presentava sulle
carte nautiche medievali in modo approssimato (né poteva
essere altrimenti ad eccezione che per la parte settentrionale),
come un blocco compatto, senza vie di penetrazione, vuoto all'interno
di indicazioni geografiche, abitato, secondo la mitologia correntemente
accreditata, da mostri e leoni.
"Terra incognita", quindi, per gli europei che dovevano
accontentarsi, per soddisfare la loro curiosità, delle
notizie derivate dal sapere antico: Erodoto e Plinio, Strabone
e Pomponio Mela.
Enrico il Navigatore
Solo a partire dalla metà del Quattrocento i portoghesi,
sotto l'impulso del principe Enrico detto il Navigatore, intrapresero
quella serie di viaggi di esplorazione che nel breve arco di un
cinquantennio culminarono nel 1488 con la circumnavigazione dell'Africa
e consentirono, finalmente, l'acquisizione di notizie di prima
mano.
Negli anni immediatamente successivi alle scoperte geografiche
la presenza degli europei fu limitata a pochi insediamenti sulla
costa nel punti strategicamente favorevoli al commercio; in seguito
gli occupanti, sempre più numerosi (militari, mercanti,
coloni e missionari), si spinsero verso l'interno: gli uni alla
ricerca delle ricchezze che assieme al bisogno di conoscenza avevano
motivato le esplorazioni, gli altri a convertire alla "vera
fede" le masse dei neri che vivevano immerse, secondo la
visione europea-cristiana, nel peccato più abominevole.
La presenza massiccia di europei (ai portoghesi si erano aggiunti
inglesi, francesi, brandeburghesi, danesi e, soprattutto, olandesi)
in gara per il monopolio dei traffici, favorì l'afflusso
in Europa di testimonianze diverse che cominciarono a diradare
le ombre addensate sul continente "tenebroso" per definizione.
Le prime rappresentazioni
Molto di questo patrimonio di notizie sempre più imponente
rimase confinato in manoscritti, nelle cancellerie dei vari stati,
nelle sedi delle grandi compagnie mercantili, nei conventi, in
Vaticano; una parte trovò invece la via della diffusione
in volumi a stampa per accontentare il crescente interesse per
l'Africa della società colta europea.
Si stamparono così sia opere scritte direttamente dai testimoni,
come le relazioni dei missionari e dei viaggiatori (talvolta raccolte
in volumi che accoglievano più testimonianze), sia opere
derivate dalle informazioni dei testimoni, sia anche opere
di carattere generale compilate sulla scorta di testimonianze
diverse, manoscritte e a stampa, come il famoso compendio di Olfert
Dapper dal titolo onnicomprensivo di Description de l'Afrique.
La mancanza di scrittura che caratterizzò la cultura africana
del passato ha impedito che i protagonisti, gli africani appunto,
facessero giungere la loro voce in Europa, anche se alcuni dei
volumi scritti da viaggiatori, cronisti e missionari europei inglobavano
momenti della storia africana, fatti e genealogie delle classi
dominanti e storie di eroi mitici tramandati all'interno della
società africana per mezzo della tradizione orale che è
rimasta, fino a qualche decennio fa, lo strumento privilegiato
della trasmissione del sapere nel continente nero. La letteratura
manoscritta in lingua araba sull'Africa subsahariana è
rimasta invece sconosciuta all'Europa fino al secolo scorso.
Le antiche testimonianze
Non è questa la sede per discutere la natura delle antiche
testimonianze scritte. Certo esse avevano un grado di attendibilità
variabile, mescolavano brandelli di verità e vecchi pregiudizi
codificati come verità, riferivano racconti riportati da
persona diversa dal relatore ultimo senza segnalare alcun elemento
di dubbio, erano tutt'altro che imparziali, spesso erano fantasiose,
superficiali e, soprattutto, razziste.
D'altra parte la diversità degli africani, che tanto attirava
e tanto attira ancora gli occidentali, era destinata inevitabilmente
a restare inaccessibile poiché i pregiudizi, la lingua
e la stessa cultura dei nuovi arrivati si frapponevano come una
barriera insormontabile tra l'africano e l'europeo impedendo la
comprensione.
In questa situazione era inevitabile che i viaggiatori tornassero
con informazioni frammentarie e malcomprese che, sommandosi ad
errori tenaci, non potevano che generare le relazioni mistificanti
che conosciamo e che rispecchiavano spesso più i pregiudizi
del redattore che la realtà osservata.
Ma pur con questi limiti, le antiche relazioni sull'Africa hanno
un valore indiscutibile per noi e per gli stessi africani (anche
se non saranno queste relazioni ad aiutarli a ritrovare la loro
identità storica), per le informazioni che comunque trasmettono
una volta che esse siano esaminate. messe a confronto tra di loro
e con quelle derivanti da altre discipline (archeologia, tradizione
orale, linguistica, ecc.) e correttamente interpretate.
Tavole, incisioni, immagini
Alcuni di questi volumi erano illustrati con incisioni inframmezzate
al testo e con tavole fuori testo che materializzavano l'immagine
dell'Africa e degli africani. Sennonché il grado di fedeltà
delle illustrazioni alla realtà africana era ancora più
basso di quello degli scritti; e le immagini, più delle
descrizioni, e certo in modo per noi più evidente, riflettevano
e nello stesso tempo alimentavano la visione distorta e, tutto
sommato, dissociata, che l'Europa aveva dell'Africa e degli africani.
Infatti, se le illustrazioni sulle carte geografiche manoscritte
erano viste da un gruppo ristretto di privilegiati: capi di stato,
grandi mercanti, navigatori, quelle contenute nei libri, destinati
a un pubblico più vasto (anche se lontano dalle masse raggiunte
attualmente dai media), avevano la possibilità di agire
con ben altra efficacia sull'immagine collettiva nella creazione
e nel radicamento di stereotipi culturali oltre che figurativi
accolti passivamente e destinati a durare nei secoli, come vedremo
più avanti, non si sa se per pigrizia intellettuale o per
ignoranza.
A differenza delle relazioni scritte da testimoni o comunque ricavate
da testimonianze dirette, sia pure con i limiti che abbiamo denunciato,
le illustrazioni venivano eseguite un Europa da artisti o più
spesso da artigiani che dovevano trasferire da un mezzo all'altro,
dalla parola scritta all'immagine, avvenimenti, situazioni, personaggi
e animali a loro del tutto sconosciuti senza aver alcun riferimento
figurativo cui appoggiarsi, a differenza si chi doveva illustrare,
ad esempio, storie del passato per i quali esistevano modelli
coevi degli avvenimenti, forniti dai reperti archeologici. Si
pensi alle illustrazioni di storie sacre o mitologiche.
Agli illustratori di volumi sull'Africa non restava quindi che
riferirsi ai modelli forniti dalla pittura e dalla grafica del
loro tempo, ma di tutt'altro argomento, o sopperire con la fantasia;
con un procedimento, nel secondo caso, non molto diverso da quello
degli illustratori moderni di storie di fantascienza che devono
rendere mondi sconosciuti e alieni con elementi figurativi riconoscibili
e quindi appartenenti al patrimonio delle immagini del nostro
tempo e della nostra cultura.
Il messaggio delle illustrazioni
Un esame delle illustrazioni fa immediatamente risaltare che le
immagini venivano riprese da un'edizione alla successiva e da
un'opera all'altra senza variazioni apprezzabili, almeno per quanto
riguarda il contenuto, nel corso dei due secoli successivi alle
scoperte e, in qualche caso, ancora nell'Ottocento.
E' un fenomeno sorprendente perché la conoscenza dell'Africa
migliorava evidentemente con il passare degli anni e con la presenza
di un numero sempre maggiore di europei in grado di raccogliere
e inviare informazioni. Non a caso le carte geografiche risultano
aggiornate in continuazione e sono sempre più precise.
I volumi dedicati all'Africa contenenti illustrazioni pubblicati
in Europa tra il Cinquecento e la fine del Settecento sono poche
decine, spesso traduzioni o compendi di opere precedenti.
La Relatione del Reame di Congo et delle circonvicine contrade
scritta dall'umanista vicentino Filippo Pigafetta, "tratta
dalli scritti et ragionamenti di Odoardo Lopez portoghese"
(ambasciatore del re del Congo presso la Santa Sede) e data alle
stampe a Roma nel 1591, è una delle più antiche
tra le opere a nostra conoscenza che contengono illustrazioni:
due carte geografiche e otto tavole incise fuori testo, delle
quali non è indicato l'autore, che esemplificano in modo
paradigmatico la mescolanza della realtà descritta da un
testimone con la fantasia di un sedentario, illustrate secondo
i moduli dell'arte del tardo Rinascimento.
Si vedano, ad esempio, le tre tavole (6,7,8) che illustrano il
trasporto di persone in uso nel regno del Congo; almeno una di
questi metodi (tavola 7), in cui il trasportato è seduto
su una correggia appesa ad un palo sollevato orizzontalmente sulle
spalle di due portatori, non solo trova riscontro in testimonianze
coeve ma è riprodotto in manufatti congolesi del secolo
scorso a riprova della fedeltà dell'informazione.
La scena è però ambientata in un paesaggio montagnoso
tipicamente europeo e, soprattutto, i personaggi hanno tratti
tutt'altro che africani e troverebbero posto senza stonatura in
un'immagine di Roma antica dipinta nel Rinascimento, sia per la
posa monumentale dei trasportatori e del trasportato, nobilmente
atteggiato, sia per la resa della muscolatura e del panneggio.
Questa statuarietà classicheggiante è ancora più
evidente nelle tavole 3 e 4 in cui sono illustrati degli abiti
maschili e degli abiti femminili: gli uomini sono dei signori
rinascimentali e le donne sono delle nobili matrone romane su
uno sfondo di città turrite dell'Europa settentrionale.
Habiti antichi e moderni
La stessa aura classica pervade le figure di africani disegnate
nella monumentale raccolta di Habiti antichi et moderni di tutto
il mondo di Cesare Vecellio stampata a Venezia nel 1598. Si osservi
al riguardo l'immagine del moro di Zanzibar che ricorda immediatamente
le raffigurazioni di Ercole di tanta pittura classica e della
scultura antica.
Il volume del Pigafetta ebbe due edizioni in tedesco e in latino
a Francoforte nel 1597 e 1598, rispettivamente con 10 e 14 illustrazioni
firmate, un questo caso, da Jean Theodor e Jean Israel de Bry,
noti incisori della seconda met
del Cinquecento, originari
di Liegi ma attivi soprattutto in Inghilterra e in Germania. I
celebri fratelli furono anche gli editori di una raccolta di viaggi
(Indiae Orientalis) ed autori di altre serie di incisioni di soggetto
africano, note non solo per la loro bellezza (anche se di scarsa
aderenza alla realtà
) ma per essere state copiate
più volte da altri incisori per illustrare dei libri nei
secoli successivi.
Purtroppo non è possibile presentare la relazione di Pieter
de Marees sulla Costa d'Avorio e la Guinea stampata nel 1602,
illustrata dai fratelli de Bry. Si presenta invece una copia delle
Icones di soggetto prevalentemente orientale, incise dagli stessi
artisti, tra le quali vi sono però delle rare immagini
del Madagascar.
Le immagini camminano
Il cammino di una famosa immagine della citata relazione del de
Marees che illustra il funerale del re di Guinea, in cui si vede
probabilmente un altare per il culto degli antenati reali (del
Benin?) circondato da teste umane infilate su dei bastoni (qualche
studioso dubita che possa trattarsi di teste commemorative in
bronzo) è emblematico. Ripresa quasi senza variazioni nel
1733 da Bernard Picart in una delle tavole che accompagnavano
A dissertation on the ceremonies and religious customs of the
Africans, ricompare nel settimo volume di una curiosa opera
stampata a Milano nel 1862 (Usi e costumi di tutti i popoli dell'universo,
"compilata da una società di letterati italiani")
profondamente modificata ma riconoscibile.
Spogliata del suo impianto classico, eliminati il guerriero con
lo scudo e quello con l'arco e le frecce e le sorprendenti costruzioni
che richiamano prepotentemente l'architettura industriale, l'immagine
più naturalistica è arricchita con un particolare
significato inteso a rendere più credibile la crudeltà
degli africani: le scene di uccisione (sacrificio?) poste sullo
sfondo nell'incisione originale, sono sostituite in primo piano
da due africani che infilzano su una picca una testa che appare
appena tagliata mentre alcuni corpi decapitati giacciono nelle
vicinanze.
L'Africa di Dapper
Una data importante nella diffusione di informazioni sull'Africa
è il 1668, anno di pubblicazione della monumentale descrizione
dell'Africa di Olfert Dapper in olandese (ripubblicata in inglese
e tedesco nel 1670 e in francese nel 1686) nella quale lo studioso
olandese, con un'opera di diligente compilazione, forniva il punto
delle conoscenze, spesso convenzionali e talvolta approssimate,
su tutto il continente africano e i suoi abitanti. Nella prefazione
è detto infatti che l'autore "ha avuto la pazienza
di leggere un numero prodigioso di geografi e viaggiatori antichi
e moderni, latini, francesi, spagnoli, italiani, inglesi e fiamminghi
i cui nomi, 68 per la precisione, sono elencati dopo la prefazione.
Il corredo iconografico del volume è piuttosto imponente:
14 carte geografiche, 30 tavole fuori testo, quasi metà
delle quali sono dedicate all'Africa nera.
L'ignoto autore delle incisioni si rifa in qualche caso ad immagini
contenute in volumi precedenti (ad esempio i mezzi di trasporto
congolesi in Pigafetta, il pagamento delle imposte in de Marees)
ma in generale cerca di illustrare il testo nel mondo più
fedele possibile.
Nel fare questo, l'autore non può sfuggire ai modelli europei,
e quindi la città di Loango è rappresentata come
le città europee con una veduta a volo d'uccello, i forti
della Costa d'Oro e il porto di Luanda come tradizionali vedute
marine, la città di San Salvador come un paesaggio fluviale
europeo (il Reno?) al quale sono state aggiunte una vegetazione
lussureggiante e delle figure di africani. L'incisione nel volume
rivela molte analogie con un quadro di autore ignoto olandese
presumibilmente della fine del Seicento, qui esposto.
In altre immagini è pure evidente il ricorso a modelli
pittorici; così, per fare pochi esempi che balzano agli
occhi e che meriterebbero di essere approfonditi, i funerali nel
regno di Quoja ricordando l'apparizione di Mosè sul Sinai;
l'armata del re del Benin, con il cavallo al centro, ricorda Alessandro
Magno con il suo esercito; l'attacco degli Jaga antropofagi richiama
alla mente uno dei tanti martirii di San Sebastiano.
Le citazioni classicheggianti sono evidenti, sia nella costruzione
delle scene che nella impostazione delle figure, anche nelle incisioni
di Bernard Picard del quale abbiamo già segnalato il prestito
da de Bry. Si osservino, tra quelle esposte, le tavole che illustrano
i Supplizi dei popoli della Guinea, o il Modo di giurare delle
donne della Guinea o, ancora, la Donna che lava il neonato nel
fiume. Le ultime due immagini ricordano prepotentemente la lavanda
dei piedi del Cristo da parte della Maddalena e il salvataggio
di Mosè dalle acque.
Ma per tornare alle illustrazioni del volume del Dapper, perfino
la celeberrima veduta della città di Benin con il corteo
reale, citata per la sua aderenza alla realtà, confermata
tra l'altro dall'arrivo in Europa alla fine del secolo scorso
di alcune opere d'arte in bronzo provenienti dalla città-stato
nigeriana (due placche e una scatola raffiguranti palazzi ornati
da statue di uccelli e serpenti, e figure di nani e leopardi),
non è che la trascrizione in termini visivi del testo che
si riproduce a titolo di confronto:
ogni angolo delle
case reali è abbellito da piccole torri in forma di piramide
in cima alle quali è appollaiato un uccello di bronzo ad
ali spiegate. E più avanti: Questo principe esce
una volta all'anno in pubblico; a cavallo; coperto dai suoi ornamenti
reali, con un seguito di tre o quattrocento gentiluomini composti
di fanteria e di cavalleria preceduti da una truppa di suonatori
di strumenti musicali... Vi sono anche dei leopardi incatenati
e un buon numero di nani e sordi che servono a divertire il re.
Che è poi tutto quanto si vede sull'immagine.
Se si osserva bene l'incisione si ha però l'impressione
che si tratti della veduta di una città europea con le
sue chiese e i suoi edifici importanti cui siano stati sovrapposti
le torrette e gli uccelli per adeguarla alla descrizione; così
come la cavalcata trionfale dell'Oba ripete evidentemente un corteo
reale di qualche quadro del tardo Rinascimento cui siano stati
aggiunti i neri in primo piano, i leopardi e i nani secondo quanto
recita il testo del Dapper. Se si cercasse però di identificare
nell'illustrazione degli elementi più precisi sulla cultura
del Benin si resterebbe delusi perché i dettagli sono imprecisi
o errati.
L'opera del Cavazzi
Una situazione indifferente avrebbe potuto verificarsi per l'illustrazione
del volume del missionario cappuccino P.Giovanni Antonio Cavazzi
da Montecuccolo, la Istorica descrizione de' tre regni Congo,
Matamba et Angola, pubblicata Bologna nel 1687. L'autore dell'opera,
che fu missionario in Congo e Angola per 17 anni, non solo scrisse
una monumentale relazione sui tre paesi (oltre che sull'attività
missionaria) ma quasi certamente realizzò in loco, in vista
della pubblicazione del libro, 33 disegni ad inchiostri colorati.
Essi costituiscono la prima testimonianza figurativa (1665) eseguita
in Africa da un europeo, con i personaggi, i costumi e i manufatti
locali sotto gli occhi, anche se molte delle situazioni illustrate
e descritte nel testo, spesso crudeli e sanguinarie (non esclusi
l'infanticidio e la antropofagia) sembrano essere state costruite,
sia pure con le migliori intenzioni, a sostegno della tesi razzista
che sancisce l'inferiorità degli africani e della loro
cultura e il diritto-dovere degli europei di portare tra loro
la civiltà e la "vera fede".
La fedeltà ad una realtà oggettuale è comunque
comprovabile come ci auguriamo risulti evidente dai confronti
proposti in uno studio nel quale è stato pubblicato integralmente
per la prima volta il gruppo dei 33 disegni.
Sennonché il testo del Cavazzi venne ridotto "nel
presente stile" dal suo confratello P. Fortunato Alamandini,
che non fu mai in Africa, e le illustrazioni del volume non solo
vennero realizzate in Europa, né poteva essere altrimenti,
ma fu tenuta in scarsa considerazione la volontà, e quindi
i disegni del missionario. Ciò è confermato dalla
prefazione in cui il curatore, e censore di fatto, dichiarava
esplicitamente di aver pregato di non essere violentato a collocare
le parecchie figure in rame
fatte intagliare tempo fa dal
P. Gio. Antonio quando egli meditava la pubblicazione del libro.
Solo sette tra le tavole e illustrazioni della Istorica descrizione
sono tratte dai disegni originali e altre tre ne hanno ripreso
il tema o qualche elemento, ma anche in questi casi ogni violenza
documentaria è stata annullata dalla indeterminatezza con
cui sono resi i dettagli. Le immagini, pur lontane dai modelli
classici ( ad eccezione delle tre che illustrano i mezzi di trasporto
mutuate dal Pigafetta) risultano pertanto astratte e riferibili
a qualsiasi paese genericamente "selvaggio" e arretrato.
Immagini riprese nelle opere del 700
Le illustrazioni del volume del Cavazzi costituiscono, assieme
a quelle dei fratelli de Bry, a quelle dell'opera del Dapper e
a quelle della relazione del viaggio di Francois Froger alle coste
dell'Africa del 1698 una delle grandi famiglie di immagini che,
talvolta combinate fra di loro, sono emigrate nelle opere stampate
nel Settecento. Ricordiamo tra le più note la Nouvelle
Relation de l'Afrique Occidentale del 1728 di Jean-Baptiste
Labat e la Relation Historique de l'Ethiopie Occidentale del
1732 dello stesso autore, entrambe in 5 volumi, la relazione di
John Barbot della costa della Guinea e dell'Angola scritta nel
1680 ma pubblicata per la prima volta nel 1732 nella collana i
viaggi curata da Awnsham Churchill e ristampata più volte,
e i due volumi dedicati all'Africa nella smisurata serie di Lo
stato presente di tutti i paesi e popoli del mondo di Thomas Salmon
stampata anche in edizione italiana a Venezia nel 1765-1766. Si
osservi la curiosa illustrazione della coppia di Ottentotti con
l'albero al centro, ricalcata su qualche immagine antica di Adamo
ed Eva.
Nell'opera del Salmon è illustrata, per l'unica volta a
nostra conoscenza, una delle pratiche più atroci e odiose
attribuita dagli Europei a una popolazione africana, gli "Anzichi",
che già secondo il Pigafetta avrebbero avuto delle beccherie
di carne humana come qui di vaccina e delle altre besti: beccherie
che l'incisore ha rappresentato contaminando l'immagine di una
macelleria con quella di un santuario europeo (si notino le rovine
antiche) in cui sono esposti degli ex-voto che riproducono gli
arti dei miracolati; l'immagine provoca allo stesso tempo sdegno
per l'improntitudine razzista e commiserazione per la stupida
credulità del suo autore.
Dall'esame purtroppo affrettato e certamente non sistematico delle
illustrazioni contenute nei libri antichi sull'Africa, si ricava
la pressoché totale ignoranza della cultura africana in
Europa.
L'atteggiamento della cultura europea
La genericità con cui venivano accomunate popolazioni diverse
in immagini stereotipate, che nel migliore dei casi cercavano
di illustrare il testo, tradiscono l'atteggiamento razzista della
cultura europea che non ha compiuto alcuno sforzo per fornire,
se non in poche occasioni, immagini realistiche e differenziate
del continente nero e dei suoi abitanti, aggiornate perlomeno
secondo le informazioni che si andavano accumulando, lasciando
sedimentare al contrario nell'immaginazione collettiva una visione
distorta e riduttiva degli africani e dall'Africa, continente
privo di identità e di storia.
Gli europei, nel rappresentare gli africani come se stessi, in
una identificazione esteriore che escludeva la parità,
o nel ridurli a simboli convenzionali, negavano, in ultima analisi,
la loro esistenza di veri uomini dotati di una loro insopprimibile
identità.
L'esame mette però in luce anche un altro elemento, e cioè
il peggioramento dei rapporti tra l'Europa e l'Africa con l'intensificarsi
della tratta degli schiavi e con la crescita del divario tra i
due continenti a causa della rivoluzione industriale, realizzata
in Europa e neppure avviata in Africa.
L'uomo rappresentato nelle prime immagini sia pure come un'astrazione
iconografica, aveva una sua nobiltà che avrebbe perduto
nel corso dei secoli per trasformarsi soltanto in un selvaggio
nudo o vestito di stracci e di pelli è, uomo in quello
stato di barbarie e di selvaticità, in cui esso non costituisce
ancora un principio integrante per la genesi della civiltà,
come scriveva lapidariamente Hegel nel 1830.
Uomo, cioè, di cui le potenze coloniali europee avrebbero
potuto trascurare la fastidiosa esistenza, senza troppe lacerazioni
delle coscienze, una volta giunto il momento della spartizione
del continente.
EZIO BASSANI