ATTACCO NOTTURNO

Toccò pure a me vivere tutto solo in un piccolo accampamento
nella foresta di Kola, ove giorno e notte venivano a visitarmi
i grossi serpenti. Il faccia a faccia dell’uomo col serpente
é carico di simbolismo in tutti i paesi del mondo e a
tutte le epoche; ma viverlo di persona é meno poetico.

Quando l’ombra della montagna coprì il piccolo accampamento
e la brezza vespertina soffiò dalla lunga valle,
il bimbo del guardiacaccia fu scosso da un brivido di paura.
Su per quella valle il padre era salito all’alba senza ritornare.

Allora s’affrettò ad attingere acqua alla sorgente,
nutrì il cucciolo dell’antilope uccisa dai bracconieri;
poi le fiamme del tramonto incendiarono il cielo d’occidente;
 attizzò in fretta il fuoco par la cena e fu già buio.

Nel cortiletto le fiamme facevan danzare le ombre:
la palizzata robusta in «séko», l’hangar e le due capanne.
Ingoiò in fretta il pasto, poi scrutando la valle scura,
lanciò un richiamo a suo padre, ma gli risposero le iene.

Uscivano ogni sera dalle tane, al calar delle tenebre
e invadevano la pianura lanciandosi lugubri richiami.
Allora il fanciullo pensò al cucciolo dell’antilope
e per non farselo ghermire lo pose alto sull’hangar.

L’urlo delle iene finì per perdersi ed apparve la luna:
enorme s’affacciò dalla montagna e sembrò ingoiare il paesaggio,
anche il vivo ondeggiare delle fiamme si dissolse in quel chiarore
e allora dalla profondità del silenzio, i passi della morte.

Venivan dall’esterno della palizzata, sul lato destro;
come se un branco di pecore galoppasse sulle foglie secche.
Il bimbo si riscosse sulla stuoia con tutti i sensi in convulsione,
e scrutò muto la palizzata, sicuro di un’orribile visione.

Qualcosa apparve a raso suolo, ombra confusa evanescente;
ma quando l’ombra si mosse fu la testa di un mostro.
Paralizzato sulla stuoia il bimbo fissava incantato
mentre la testa seguita da mille spire avanzava lenta,
le spire enormi, interminabili di un naja gigantesco.

Inchiodato come statua, gli occhi sbarrati, lo vide snodarsi
dritto sull’hangar in un orribile sfilata. «Il cucciolo!»
Il bimbo si riscosse come percosso da una frustata;
afferrò la potente pila del padre e impugnò la lancia.

Sparò il fascio di luce sul nemico e alzò l’arma, poi
con tutte le sue forze la scagliò sulla mostruosa testa.
Con un guizzo il naja evitò il colpo e ritto sputò il suo veleno.
Il bimbo con un balzo  schivò lo schizzo micidiale,
poi implacabile incollò la lama luminosa sugli occhi del selvaggio.

Alto sulle spire, il collo gonfio di infinita collera,
il naja soffiava come un mantice pronto a scattare
ma la luce lo incatenava come le sbarre di una prigione.
Il duello strano durò a lungo poi fu il mostro a cedere.

L’orribile collo si sgonfiò e la testa scese lentamente al suolo
poi tranquillo riprese la direzione dell’hangar.
Allora il bimbo nonostante la paura ricuperò la lancia;
e si precipitò furente a difendere il cerbiatto.

Il naja già stava arrampicandosi sui sostegni dell’hangar
quando il secondo colpo lo percosse in mezzo al corpo
e la lancia lo inchiodò profondamente al legno.
E allora si scatenò la rabbia  dell’inferno.

Il naja con la coda pazza flagellava l’hangar,
tentando di strappare la lancia per attaccare il bimbo
e il manico della lancia vibrava in modo pazzo
mentre il collo della bestia era gonfio fino a scoppiare.

Il cerbiatto si svegliò e cominciò a gemere disperato
mentre in lontananza era ripreso l’ululato delle iene
e l’implacabile luna schiacciava la scena dell’orrore.
Sotto i colpi violenti del mostro l’hangar vacillava.

Il bimbo, come paralizzato, non osava né avanzare né fuggire
e vedeva che lentamente il serpente strappava la lancia
e immaginava già l’orribile bava e i denti contro il viso
quando dalla  valle echeggiò un richiamo famigliare,
un richiamo che riportò il sangue a scorrere nelle vene
e allora il bimbo afferrò un bastone ridendo pazzamente
poi si scagliò sul mostro con un furore di leone.
L’enorme bestia agonizzava quando rientrò il padre.