Il bambino il vecchio e il leone

L'avventura successe a Dominique di Kouba Adougoul
quando aveva otto anni, verso il 1956. Sparì nel corso
di una pesca collettiva e secondo il racconto popolare
fu raccolto e nutrito da un vecchio,
un vecchio veramente strano che abitava una caverna in
compagnia d'un leone. Sarebbe stato ricuperato
una settimana dopo in perfetta salute da un gruppo
di uomini che partivano per una cerimonia mortuaria.
Sono riuscito ad incontrare Dominique ieri sera,
27 Maggio 98, e fargli raccontare la sua avventura,
un po' diversa dalla leggenda, ma sempre interessante.

 

Quel lontano mese di Settembre fui in piedi prima del sole;
a otto anni andavo per la prima volta alla pesca coi grandi,
la grande pesca che dura tutto il giorno e piena d'emozioni.

Era l'epoca delle piogge abbondanti e delle erbe altissime
e arrancavo dietro al gruppo, io il più giovane dei ragazzi,
con due panieri per raccogliere i pesci catturati dai grandi.

I grandi erano muniti di reti, nasse e arpioni
e setacciavano uno a uno gli stagni ricchi di carpe e pesci-gatto;
noi ragazzi correvamo di qua e di là a raccogliere il pesce.

Era tutto un parlare gioioso, un ridere e uno scherzare
che a volte si trasformava in un vociare indiavolato,
se qualche caimano o pitone faceva capolino in superficie.

Così passava il tempo e non ci accorgemmo delle nuvole;
era già pomeriggio e i panieri erano quasi pieni, quando
neri nuvoloni avanzavano fino ad invadere tutto il cielo.

Era tempo di rientrare e il capo aveva già impartito l'ordine,
quando qualcuno scoprì uno stagno ricchissimo di prede.
Ci fu ingiunto di raggiungere in fretta i pescatori.

I miei amici partirono al galoppo, ma i miei panieri pesavano,
pesavano veramente troppo per le mie piccole braccia
e finii per rimanere indietro e perderli di vista.

Fu in quel momento che scoppiò violento il temporale,
un temporale terribile pieno di lampi lunghi e tuoni
e poi fu un diluvio d'acqua da togliermi ogni visuale.

Temevo d'annegare e allora abbandonai i miei panieri e
di corsa, su per la montagna, sempre più in alto tra i massi;
corsi molto tempo finché trovai una grotta e vi entrai.

Era una bella e profonda grotta dal suolo soffice.
Mi accovacciai al caldo mentre fuori l'acqua rimbalzava sui sassi;
a lungo. Poi cessò e apparve infine il sole rosso.

Era già il sole rosso del tramonto li dietro i monti.
Girai lo sguardo da ogni parte senza riconoscere il luogo;
salii più alto sulle rocce per allargare l'orizzonte. Nulla!

Non capivo proprio, da ogni parte montagne ignote
e dappertutto l'erba altissima che impediva la vista;
neppure il fiume era visibile, non era più il mio mondo.

Esplorai ancora attorno senza perdere di vista la caverna,
poi quando il sole scomparve all'orizzonte, persi la speranza:
non mi restò che ritornare alla caverna, entrare, stendermi

Non mi ricordo di avere avuto paura; ero stremato
e subito m'addormentai nel tepore di quella terra soffice
e dormii senz'altro tutta la notte, di filato.

Fu il canto degli uccelli a risvegliarmi all'alba
e credevo di sognare guardando le rocce e la caverna;
infatti, ero certo d'essere sulla stuoia a casa mia.

Poi lentamente il ricordo emerse dalla bruma ed uscii:
Ricominciai le mie ricerche con accanimento, ma prudente
tenevo sempre d'occhio la roccia indicante il mio rifugio.

Dopo molti tentativi inutili e forti grida ebbi fame
e subito fui attirato dai piccoli frutti gialli di stagione:
ce n'erano in abbondanza di qua e di là sugli alberi amidéké

Avevo per compagni di banchetto le scimmiette grigie,
che a volte incuriosite s'avvicinavano un po' troppo
e allora alzavo minaccioso il mio bastone e arretravano.

Non avevo paura delle scimmie e mangiai spensierato
finché i morsi della fame cessarono e sedetti su un sasso,
ad ammirare le scimmie che giocavano e litigavano attorno.

Poi ripresi ancora ad esplorare la regione, sempre invano
e venne ancora sera, col sole che spariva dietro al monte.
Lo guardai a lungo tristemente, ma venne presto buio.

Non avevo molto sonno e osservai a lungo il cielo,
poi solo quando la frescura mi punse entrai nella caverna
seduto ad osservare la luna uscire dalle montagne scure.

Mi ero appena assopito che un urlo mi svegliò improvviso;
mi misi a sedere stringendo il bastone e pieno di paura.
Non ero riuscito a distinguere di che bestia si trattasse.

A quei tempi giravano per le nostre montagne molte fiere:
iene, leoni, pantere, certo, ma anche giganteschi serpenti,
e poi si parlava di spiriti e di tanti diavoli.

Ma qualche istante dopo, l'urlo riprese, distinto: era la iena.
Si trattava di una grossa iena perché l'urlo era cavernoso,
un "mmmmm" lamentoso e sempre più vicino al mio riparo.

La iena é molto aggressiva e s'attacca alle capre e buoi,
ma il suo gusto va particolarmente alla carne d'asino;
per questo molti asini portano le morsicature della iena

e noi ragazzi diciamo che hanno il suo numero di matricola.
Purtroppo le iene delle montagne attaccano anche l'uomo,
l'uomo che s'avventura solo nei sentieri, di notte.

L'urlo della iena era cessato e rimuginavo i miei pensieri,
quando una grande ombra si stagliò all'entrata della caverna
visibilissima al chiarore della luna: era un'enorme iena.

Trattenevo il respiro e mi sforzavo di non urlare
aspettando da un momento all'altro d'essere attaccato,
ma le avrei dato prima una grande bastonata sul muso.

La iena avanzò la grande testa circospetta, annusò,
si ritrasse, annusò una seconda volta e mi trovò.
Rimase a lungo incerta, agitando testa e gambe, dubbiosa.

Finalmente, forse impaurita, se ne andò e respirai.
Però il sonno se n'era andato e mi assopii solo all'alba,
sognando d'essere già nella bocca della grande iena.

Allora urlai per davvero e mi risvegliai, col sole alto in cielo.
Mi stropicciai gli occhi e fui contento d'essere vivo e
la fame mi spinse presto a contendere i frutti alle scimmie.

La seconda giornata fu esattamente come la prima,
ma sentivo una grande stanchezza invadermi, e sonnolenza.
Mi accontentai di mangiare i frutti e guardare le scimmie.

Avevo trovato sotto una roccia un rivolo d'acqua chiara: scavai,
ne feci una pozzanghera e venivo spesso a bere.
Anche le scimmiette la scoprirono e vennero a dissetarsi.

S'erano abituate alla mia presenza, come fossi uno di loro
e spesso mi venivano accanto e cercavano di toccarmi,
ma all'ultimo momento alzavo il mio bastone e arretravano.

Così venne ancora sera e vidi tristemente morire il sole.
Ero debole, mi coricai nella caverna senza aspettare la luna
e senza pensare a nulla: stavo ad occhi semichiusi.

Non so più se ero già addormentato quando scoppio l'urlo,
un urlo talmente terribile da far tremare tutta la montagna.
Questa volta non c'era dubbio alcuno, si trattava del leone.

Quest'urlo m'aveva già fatto tremare nel villaggio,
ma allora il leone era lontano e avevo tanta gente attorno.
Ma adesso l'urlo era risuonato vicino ed ero solo.

Difendermi col bastone contro il re degli animali?
Avevo visto una volta al pascolo un leone da vicino:
una macchina infernale di zanne, denti e muscoli!

No! con il leone, l'uomo non può far altro che sparire.
Mi rannicchiai per farmi ancora più piccolo, invisibile.
Ma l'urlo riprese ancora più vicino, non osavo guardare.

Poi dopo un lungo silenzio, ecco dei passi sui ciottoli,
e poi un respiro poderoso mi obbligò ad aprire gli occhi.
Il re della foresta era all'entrata della mia caverna.

In pratica la otturava tutta con la sua grossa testa
e la lunghissima criniera che toccava il suolo; annusò
e senz'altro mi trovò perché s'immobilizzò bruscamente.

Più morto che vivo aspettavo solo d'essere divorato,
ma non vedevo la sua bocca né gli occhi a causa della luna;
quanto durò quell'agonia, che non posso più dimenticare?

Alla fine il leone si girò e se ne andò lentamente,
ma io rimasi ancora a lungo rannicchiato e battendo i denti.
Poi la stanchezza fu più forte e caddi in un lungo sonno.

Mi risvegliai ancora più tardi il giorno dopo
e furono le scimmiette giocherellone a farmi sobbalzare,
tutte radunate a saltellare all'entrata della caverna.

Uscii e passai in mezzo a loro agitando il mio bastone
poi andai a bere e lavarmi il viso nella pozza d'acqua;
un po' alla volta svanì la paura e sentii la fame.

Scelsi un grosso albero pieno dei succulenti frutti gialli
e salii stancamente sui rami più alti e rimasi a cavalcioni
per mangiare a lungo senza dovermi spostare continuamente.

Dopo un certo tempo sentii un fruscio e mi girai
il gran leone era sotto l'albero e mi guardava.
Mi guardava coi suoi immensi occhi gialli indifferenti.

Abbracciai fortemente il tronco amico, unica mia difesa
e guardai la fiera con attenzione: era veramente gigantesco
e portava la criniera lunga come quello della notte: era lui!

Per qual ragione era tornato ad incontrarmi, curioso?
Mi guardò a lungo, senza nessun gesto, senza aggressività
poi se ne andò tranquillo e sparì dietro una roccia.

Quando fui sazio scesi lentamente guardandomi attorno
poi mi dissetai ancora e andai sul mio solito sasso;
guardavo l'orizzonte e il sole salire in centro al cielo.

Mi ero lentamente assopito; una scimmietta s'avvicinò
talmente che finì per grattarmi un piede.
Balzai terrificato e urlante; la scimmia fuggì a rompicollo.

E questa fu la mia fortuna, perché mi raggiunsero voci umane.
Frugai con gli occhi tutto il paesaggio, ritto sul mio sasso
poi lanciai a pieni polmoni acutissime grida di richiamo.

Un grido poderoso mi rispose, un grido d'uomo veramente.
Ripresi a gridare e l'uomo mi rispose un po' più vicino.
Lo sentivo arrancare ormai sui massi, ero salvo.

Ed ecco infine apparire un vecchio, con la testa bianca,
Quando lo vidi rimasi muto con la bocca aperta di stupore
ma l'uomo mi sorrise e disse: "Chi sei e cosa fai qui?"

e senza aspettare aggiunse: "Sei il bambino di Kuba Adugul,
quello che tutti cercano da tre giorni, senz'altro."
Mi trovò così debole che mi prese in spalla e m'assopii.

Mi risvegliai in un villaggio e circondato da una folla
e tutti mi domandavano dove ero stato e cosa avevo visto
finché arrivò una mia sorella, sposata a Barlo: ero a casa.