IL BIMBO GIRAFFA

Sono un reduce della seconda guerra mondiale; ho fatto
la campagna di Libia contro Tedeschi e Italiani, ho combattuto
a Monte Cassino, ne ho viste un po’ di tutte.
Ma la storia che vi racconto, a volte mi
sembra un sogno e se non fossero vivi ancora
tanti testimoni mi domanderei davvero se sono di mente
sana oppure pazzo.

Ero tornato da un anno dai fronti dell’Europa
e lentamente m’abituavo alla vita del villaggio.
Avvenne che un grande branco di giraffe apparve nella zona
e così un giorno partii a cavallo con i cugini a caccia
«E’ semplice! - mi dicevano- lascia il cavallo galoppare,
e alla fine la giraffa crollerà sfinita!»

Lasciamo di gran mattino il villaggio ai piedi del Guera
e ci inoltriamo nella grande pianura delle acacie rosse;
é una pianura sterminata, a quel tempo piena di selvaggina.
I cugini conoscevano il posto delle giraffe e,
evitando i boschetti spinosi impenetrabili,
ci allontanavamo sempre più dalla catena montuosa.

In confronto alle sofferenze e ai pericoli del fronte,
per me è una passeggiata divertente e nulla più.
E l’aria fresca di Gennaio che i cugini considerano gelata
é per me come una brezza vivificante di Primavera.
Ma i cavalli, le lance, le giraffe...che mondo strano;
mi sembra di risalire il tempo di mille anni.

Fu il primo del gruppo a scoprire infine le tracce;
tracce così numerose da farci sognare almeno venti bestie.
Allora avanzammo guardinghi contro vento, in silenzio.
Circa un’ora dopo, uno dei cugini salì su un albero gigante
e con la mano fece un segno di vittoria; prede in vista!
Col dito ci indicò la direzione, poi scese e ci guidò.

Lo seguimmo palpitanti nel labirinto delle acacie
finché giungemmo ai limiti d’una radura, e ci arrestò.
Scese da cavallo, avanzò carponi per fissare la posizione .
Ma quasi subito s’immobilizzò perplesso: il luogo era vuoto.

Le giraffe s’erano d’incanto volatilizzate come fantasmi.
Mille domande sorsero nei nostri cervelli confusi:
«Com’è possibile? erano tutte qui! Eravamo contro vento.»
Era come se un essere invisibile avesse avvertito le bestie
che s’erano sparpagliate in tutti i sensi tra le folte acacie.
Impossibile inseguirle: la caccia era finita .

I cugini sconcertati discussero a lungo sulla via del ritorno
ed eravamo decisi a ritentare l’impresa l’indomani.
Fummo in sella prima dell’alba e successe la stessa cosa.
Le infinite precauzioni non servirono strettamente a nulla;
le giraffe ci fiutarono da lontano e disparvero nel nulla.

Una faccenda del genere non era mai successa prima
e la sera tutti gli anziani ebbero a dir la loro.
Per alcuni si trattava senza dubbio di giraffe magiche
e sarebbe stato fatale ucciderle. Ma altri si opponevano
ed io spinsi i cugini a ritentare e sciogliere il mistero.

Così fummo in caccia per la terza volta, e per precauzione
cospargemmo il corpo dei cavalli di escrementi di giraffa;
dormimmo nella savana senza accendere fuochi,
divorati dalle zanzare e minacciati dai grandi felini.
Fu una notte lunga e il più vecchio della banda raccontava,
raccontava mille storie di folletti, orchi e animali.

A sentirlo non c’era più frontiera tra gli esseri creati;
un uomo poteva trasformarsi in leone, iena, giraffa o altro
un orco poteva trasformarsi in uomo, in pioggia, in sabbia e vento.
Tutto questo mi toglieva ogni certezza delle cose;
visione poetica certo, ma anche angosciante e lontana,
lontanissima dal mondo spietato della mia guerra mondiale.

Ci raccontò perfino del padrone degli animali,
un essere minuscolo, un nano, che comanda alle fiere
e dotato di una forza eccezionale, un essere temibile
che aveva nel passato malmenato certi cacciatori ingordi.
Ci assopimmo all’apparire della stella del mattino.

Poi infine fu l’alba, un alba velata dalla foschia sabbiosa
e immaginavo esseri strani lì dietro la coltre di bruma;
tutto mi sembrava possibile, dopo i racconti della notte.
Masticammo un po’ di tabacco amaro, bevemmo, ci sgranchimmo,
poi ,lasciando i cavalli nascosti, iniziammo le ricerche.
Infine potemmo accostare il branco senza essere scoperti.

La radura era ampia e venti giraffe brucavano spensierate.
Ritornammo ai cavalli e, nel massimo silenzio, fummo pronti.
Un cugino con un gesto diede il segno dell’attacco
e i quattro cavalli si scatenarono nel terreno aperto.
Di scatto le giraffe si diressero verso la foresta
e subito ci apparve qualcosa di meravigliosamente assurdo.

In testa la branco correva veloce come un felino una figura;
era una forma umana, dai capelli lunghi e arruffati.
Il suo corpo brillava ai primi raggi, un corpo giovinetto.
Le giraffe lo seguivano come fosse il loro capo :
in un baleno le fece entrare nel folto delle acacie,
dove l’impeto dei cavalli si smorzò. Erano svanite.

La visione ci parve soprannaturale e ci soggiogò.
Delle giraffe normali si sarebbero spaventate,
sarebbero finite a portata delle nostre armi, alla rinfusa.
Invece erano rimaste unite impavide dietro al fanciullo
che velocissimo sembrava conoscere perfettamente i luoghi,
e le guidava con la freddezza dell’esperto condottiero.

Da quel giorno la caccia alle giraffe era divenuta impossibile
e così tutti i villaggi si coalizzarono
allo scopo di prendere vivo il conduttore delle giraffe.
E successe che dopo molti tentativi infruttuosi
il branco fu circondato da tutte le parti e infine
fu preso il giovinetto che galoppava in testa.
Era veramente di razza umana, ma solo suoni gutturali
uscivano dalla sua bocca spalancata dal terrore.

Legato come selvaggina, fu trasportato nel villaggio,
ma rifiutò ogni cibo e bevanda per ben tre giorni.
Ma quando infine gli passò accanto una capra,
l’afferrò con uno scatto e le succhiò il latte.
Così fece in seguito tutti i giorni e si ammansì;
allora lo lasciammo circolare liberamente tra di noi.

Ma con Marzo arrivò una bufera di vento eccezionale:
la polvere accecante spinse tutti gli abitanti nelle case;
ed ecco, nella penombra le giraffe entrarono nel villaggio,
lo traversarono come un tornado e sparirono nella nebbia.
Dopo la tempesta, ci preoccupammo solo del ragazzo;
era sparito con le giraffe e non si rivide mai più.

E mi domando ancora, al ricordo, se sogno o sono desto.