IL TALISMANO

Ardo Kordje, come molti cacciatori tradizionali, possiede un talismano che lo rende invisibile.
Giudicherete voi a partire dalla gran frenata del leone,
descritta nel suo racconto, se il talismano é veramente efficace.
La mia esperienza personale mi ha convinto che il leone
é sempre impressionato da un uomo che non fugge
e non si agita. Potrei dare una moltitudine di esempi.



Mi chiamo Ardo Kordje, di professione cacciatore con frecce avvelenate, nella zona di Durbali. Cacciavo solo antilopi,
giraffe, bufali, facoceri ecc. Non mi interessavo agli animali
feroci come il leone, la pantera o l’elefante. Ma i miei guadagni
erano veramente miserabili; a quei tempi una preda
mi rapportava 25 franchi: una miseria. Così decisi di scendere
più a Sud e venni ad abitare nel villaggio di Laokass nella zona
di Moundou. A quel tempo il villaggio era in preda alla paura,
a causa di un leone che attaccava gli abitanti, nei campi
o sui sentieri, e veniva perfino a strappare le sue vittime
dentro le case. Molte erano state le perdite in vite umane.
Così tutta la popolazione mi supplicò di liberarli.
Io non avevo mai ucciso il leone, ma grazie al talismano
che mi rendeva invisibile potevo benissimo attaccarlo.
Così non mi feci pregare e l’indomani del mio arrivo
partii in caccia.

Come é mia abitudine partii solo, prima dell’alba
e muovendomi silenzioso e sempre sottovento
mi allontanai dal villaggio scrutando ogni ombra
ogni cespuglio; nulla poteva sfuggire al mio occhio acuto.
Gli abitanti non m’avevano dato alcun indizio preciso.
Solo dopo una lunga marcia mi appare infine una macchia insolita;
benché sia molto lontano, l’occhio non mi inganna:
si tratta di una coppia di leoni sdraiati all’ombra.
Mi avvicino per osservarli, poi mi metto in ginocchio,
immobile come una statua, ma con l’arco in posizione.
Il leone maschio si alza e si precipita su di me,
poi arrivato a qualche passo, attonito, frena bruscamente
e solleva una nuvola di polvere che ci copre entrambi.
Evidentemente il talismano m’ha sottratto alla sua vista:
all’ultimo istante sono sparito, per questo ha frenato.
Io l’osservo tranquillamente poi scocco la mia freccia;
lo colpisco nella coscia e la freccia vi sparisce quasi.
Un ruggito immenso di rabbia e di dolore: poi fugge veloce.
Io ritorno a casa sicuro che il veleno farà il suo effetto.
Ma la gente non mi crede, perché non ho portata la coda;
alcuni mi scherniscono citandomi il proverbio:
«Chi ferisce un animale e non ritorna con la coda
é un contator di frottole potente, ma non é un uomo!»
Anche il capo locale mi ripete queste parole.
L’indomani mi faccio accompagnare da alcuni giovani,
deciso di ricuperare la mia freccia e la carcassa del leone.
Sul posto dello scontro scopriamo delle tracce di sangue;
le seguiamo a lungo e dopo mezz’ora di marcia, eccolo:
il leone morto con la freccia ancora piantata sulla coscia.
I miei accompagnatori provano una grande paura ad ammirare
colui che ha divorato molti dei loro cari, per lungo tempo;
poi é l’allegria che trionfa e mi fanno mille complimenti.
Arrivati a casa sono accolto da canti e grida acutissime;
la gioia sale alle stelle, col Capo fra i primi.
I famigliari delle vittime mi baciano le mani, increduli:
i loro morti infine vendicati potranno riposare in pace.

Ricordo ancora oggi questa caccia
perché qualche giorno dopo iniziò il mal di testa
che mi tormenta ancora oggi. Che sia la vendetta
dello spirito di quel leone?
Ricordo ancora che uccisi il leone l’anno in cui successe
la grande battaglia tra Arabi e Bororo a causa di un pozzo.