CACCIA COLLETTIVA ALL'IPPOPOTAMO

Bakorosi, il vecchio capo dei cacciatori di ippopotami rimpiange il passato; ormai dal 1963 la caccia tradizionale é proibita e con essa sono finite le avventure e le grandi scorpacciate di quella carne saporita. E poi tale caccia permetteva di conoscere i cattivi soggetti, come é spiegato nel seguente racconto.

Nel villaggio Mafling in riva al fiume eravamo tutti fratelli. La caccia collettiva agli ippopotami era l’eredità che ci avevano trasmesso gli antenati di generazione in generazione. La nostra generazione la praticava con un’osservanza rigorosa dei riti tramandati dagli antenati. Voglio raccontare una delle tante cacce della mia gioventù. Il giorno convenuto ci raduniamo tutti nel cortile del capo-caccia. Ognuno porta il suo arpione munito del galleggiante e disponiamo le nostre armi attorno al capo-caccia che tiene in mano un pollo e fa questa preghiera:

O Dio, noi ti presentiamo questa caccia.
Essa non é qualcosa che noi abbiamo inventato
ma é un’usanza praticata dai nostri antenati
e giunta a noi di generazione in generazione.
Concedi che questa caccia avvenga senza incidenti,
che il male si rivolti contro se stesso;
e se qualcuno progetta di nuocere a l’uno di noi,
che lo stesso male faccia ritorno contro di lui.

Dopo questa preghiera il capo-caccia sgozza il pollo e versa il sangue su ogni arpione a mo’ di benedizione. Compiuto questo gesto egli raccoglie per primo il suo arpione, seguito da tutti gli altri. Scendiamo insieme al fiume e prendiamo posto due a due sulle piroghe leggere e veloci, mentre una quarantina si installano in quella grossa, «Goumti», che dovrà tirare a terra gli ippopotami feriti e poi caricarne le carcasse. Partiamo in caccia, le piccole piroghe in testa e la Goumti dietro. Lontano dal villaggio e navigando nel bel mezzo del fiume incontriamo il primo branco. Le piccole piroghe fanno allora un ampio giro, poi scendono all’attacco a tutta velocità.

Ecco come avviene la nostra caccia: il cacciatore lancia il suo arpione sull’ippopotamo più vicino poi scende a terra e fa l’incantesimo perché l’arpione resti infisso, poi aspetta tranquillamente che la Goumti rintracci l’animale e lo tiri fuori d’acqua per finirlo. Se l’arpione é bene infisso, l’animale non ha scampo; infatti, il galleggiante fissato all’arpione con una corda indicherà il luogo del nascondiglio.

Dalla riva le donne accompagnano l’impresa con acute grida. Ma c’era quel giorno un ippopotamo vendicativo, che nessuno aveva visto avvicinarsi silenzioso alla poppa di una piccola piroga, s’era appoggiato con le zampe posteriori sul fondo dell’acqua e poi lanciandosi verso l’alto aveva percosso con la testa la piroga e l’aveva spezzata in due. Aveva quindi attaccato l’uomo e per un soffio non l’aveva spezzato in due; fu uno scivolone che deviò l’attacco e il malcapitato cacciatore ebbe la coscia profondamente intagliata. Noi non potevamo nulla per soccorrere il poveretto; infatti, se gli era successo questo, senz’altro doveva aver fatto qualcosa di male. E se l’avessimo soccorso il suo peccato ci avrebbe imbrattati pure noi e rovinata la nostra caccia. Continuammo dunque la nostra opera e uccidemmo quel giorno parecchi ippopotami. Anche il ferito fu fortunato e dopo qualche tempo guarì. La sua colpa non doveva essere molto grave.