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Awdaghost, la Pompei berbero-mauritana

Circa 250 chilometri a sud-est di Tidjkdja una brutta pista conduce nel cuore sabbioso dell'Auker dove sono tornati alla luce i resti di Awdaghost, capitale degli Almoravidi, grande città carovaniera, alla quale gli storici associano di solito i nomi più celebri della conquista berbera e dell'unificazione del paese, tra cui quello di Aboubacar Ben Omar (secoli X?XI). È in questa metropoli del Sahara che si sarebbero incontrate le civiltà venute dall'Oriente, dal Nord Africa e le popolazioni nere che dovevano ampiamente subire, più tardi, l'influenza dell'Islam.

Una città commerciale cerniera

Sette storici arabi la citarono, nove secoli fa, in diari di viaggio e in descrizioni geografiche. In particolare, i testi di Yaqubi, di Ibn Hawqal e di El-Bekri (XI secolo) parlano di Awdaghost, vicino al "paese dei Neri", come di una città commerciale cerniera tra il mondo musulmano occidentale e l'impero di Ghana, centro di traffici e di scambi tra le merci provenienti dal Nord (manufatti, sale e prodotti naturali) e l'oro estratto nel Sud, dalle miniere di Bambouk e Bouré, e luogo di sosta per le carovane che, dopo la tappa di Sigilmassa, nel Sud marocchino, attraversavano il Sahara seguendo la pista occidentale.
Era una città musulmana, poiché El.Bekri ne vide la grande moschea e altre due più piccole dove i maestri insegnavano il Corano, sorta vicino ad un'oasi in cui abbondavano palme dattilifere, grano, coltivato a mano ed innaffiato con secchi, e pozzi d'acqua.

Un enigma archeologico

Dal 950 al 1050, gli storici cantano i fasti di Awdaghost, poi, più nulla. La città sembra scomparire, misteriosamente inghiottita dalle sabbie che la circondano da ogni parte.
Non ne sapevano di più i tre archeologi occidentali, due uomini e la moglie di uno di loro che si appassionarono all'enigma. Le prime ricerche iniziarono nel 1960 quando la ricognizione aerea dei massicci del Rkiz, e in particolare della zona dei pozzi di Nouadache e della località di Tegdaoust, segnalò la presenza di rovine; ma già fin dal 1927 il luogotenente Boery aveva visto questi resti tra il Rkiz e l'Affolé e aveva avanzato l'ipotesi che fossero le rovine della mitica città medioevale di Awdaghost, trovandosi, infatti "a 40 giorni di marcia da Sidjilmassa" e "tra due montagne", così come riportavano gli storici arabi.

Le rovine della città e la sua storia

Gli archeologi si misero al lavoro per confermare questa ipotesi, coadiuvati da un'équipe di paleontologi, botanici, paletnologi, e fecero à poco a poco emergere, insieme alle rovine della città, anche la sua storia.
La vita di Awdaghost sarebbe stata più lunga di quanto si fosse creduto fino allora. I primi scavi nella stazione archeologica principale rivelarono le rovine della fine del XVI e del XVII secolo. Vennero alla luce, su un'estensione di circa 12 ettari, i resti di una piccola moschea, di un vasto edificio quadrato e di abitazioni costruite tutt'intorno. Frammenti di vasellame e ceramica smaltata, insieme a ruderi di mura affioranti qua e là, indicavano inoltre l'esistenza di rovine medioevali più profonde.
Sull'altopiano settentrionale fu scoperta una vasta necropoli, dove per circa 700 metri si susseguono delle piccole costruzioni rettangolari, in parte diroccate, edificate a due o tre riprese.
Le prime tombe sono ricavate in un conglomerato ferruginoso molto compatto; più profonde sono le tombe costruite con muretti di pietra e mattoni a secco, coperte di pietre piatte. Infine, a una profondità di 2,5/3 metri sotto l'attuale livello del suolo, altre tombe sono scavate nella roccia. Né gioielli, né armi, né vasi accompagnano gli scheletri.
Più a nord, un recinto rettangolare ne racchiude un altro più piccolo, di origine musulmana, come testimonia un mirhab nel muro orientale; alcune tombe, segnalate da una fila di piccole pietre poste all'antico livello del suolo, sono oblunghe e tappezzate di terra pressata e sabbia fine.

Emerge una città ricca e prospera

Gli scavi, eseguiti nella zona orientale a partire dal 1962, riportarono alla luce strade, piazze, incroci, gruppi di case, che testimoniano della presenza di un agglomerato urbano, occupato dall'VIII/IX secolo fino al XIII/XIV secolo. È possibile distinguervi uno strato preurbano (numerosi focolari, resti di granai d'argilla a parecchi scompartimenti), una città medioevale antica (case d'influenza mediterranea, vasellame e oggetti di ferro di fabbricazione locale, ceramiche e vetrerie importate), una città medioevale intermedia (costruita con mattoni sulle rovine di pietra del vecchio centro e con i muri ricoperti da un intonaco bianco o rosso) e finalmente una città medioevale recente, ricostruita in pietra.
Di quest'ultima il tracciato delle strade era stato ridisegnato in maniera diversa da quelle dei periodi precedenti e le abitazioni, composte in genere da tre lunghe stanze intercomunicanti, si aprivano direttamente sulla strada, senza ingresso.
Vi sono stati rinvenuti numerosi monili orientaleggianti, una cupola di vetro che serviva da contrappeso ad un fonditore d'oro per fabbricare monete di peso legale, case patrizie dalle sontuose colonne e dai muri affrescati, un quartiere riservato agli affari e al lavoro: tutte testimonianze di una città ricca e prospera, che traeva vita dai suoi commerci.
Vi si guadagnava molto denaro e i pagamenti erano effettuati con polvere d'oro; vi si barattava il sale di Tagarza con l'oro di Ghana, che ripartiva poi verso il Nord Africa o verso Cordova.

Una Cartagine mauritana

Un cantiere aperto nel 1969 rivelò la presenza di una zona industriale: una delle scoperte di maggior rilievo per la ricostruzione dell'eccezionale vita economica di questa Cartagine mauritana. Due forni in argilla e frammenti di stampi per lingotti dimostrarono che ad Awdaghost si praticava la metallurgia; questi forni servivano anche a smaltare le terrecotte locali. Nello stesso 1969, fu liberata dalla sabbia la grande e sontuosa moschea medioevale.
Nei quartieri occidentali sono invece venuti alla luce costruzioni in mattoni e misteriose nicchie in mattoni crudi, il cui uso rimane sconosciuto. Il reperto più antico rinvenuto finora è un pozzo, la cui bocca è a più di 7 metri di profondità. Ovunque ci sono tracce di un vastissimo incendio.
Lo studio delle abitazioni, gli oggetti rinvenuti, i risultati delle analisi effettuate in laboratori specializzati (in particolare la datazione col C14) permettono quindi di riportare molto indietro nel tempo l'origine dell'agglomerato di Tegdaoust/Awdaghost e hanno dimostrato la sua esistenza ben oltre la distruzione degli Alrnoravidi,; della quale parlano i testi arabi collegandola alla definitiva scomparsa della città.

Montagne abitate dalla presitoria

Queste desolate montagne erano abitate fin dalla preistoria; alcune grotte nascondono infatti graffiti di 2500 anni fa. Verso il 600 d.C., Awdaghost e i suoi pozzi costituivano una tappa importante per le carovane dei nomadi Sanhaja (tribù berbera del Sahara occidentale), che si fermavano a volte per qualche mese, se le piogge permettevano di coltivarvi un po' di cereali. Quando a Sud fiori il regno di Ghana, che dette vita al commercio del sale proveniente dagli enormi giacimenti di Aulil e Ghana, ebbe inizio un'epoca di prosperità anche per Awdaghost e fu aperta una pista tra Aulil e Ghana, a qualche giorno di marcia da Awdaghost.
La grandezza della città è legata, però, soprattutto all'espansione islamica. Verso l'anno Mille, i Fatimidi partirono alla conquista dell'intero Maghreb; avevano quindi bisogno di molto oro per le loro guerre e l'oro si poteva trovare ad Awdaghost, in cambio del sale che abbondava a Tegaza.
La città trovava così un'altra ragione di vita, si espandeva e si arricchiva ulteriormente. Gli abitanti vivevano nel lusso, anche se minati dal clima difficile e dalle febbri. Era però anche una città ingiusta, dove solo i principi e i ricchi mangiavano il grano, mentre il popolo era costretto a cibarsi di miglio.

Il declino: la città diventa una borgata di pastori

Verso il 990, i Sanhaja, autoctoni, furono quasi tutti eliminati dagli Zeneti, che diventarono i padroni della città. Quando, nel 1054, i primi ritornarono, vi trovarono gli Almoravidi che, scacciati gli Zeneti eretici, stavano per distruggere la città, venduta a Satana. Per di più, una nuova pista era stata aperta, ad oriente, per trasportare il sale verso Ghana. Awdaghost non aveva più ragione di esistere ed in pochi anni tornò ad essere una semplice borgata di pastori, poi tappa per l'acqua per i grandi nomadi del Sahara. Tre secoli dopo cercò di risollevarsi, ma una rivolta di schiavi finì col distruggerla per sempre.
Le rovine della città si estendono per parecchi chilometri e gli scavi si spingono fino a 4?8 metri di profondità nel terreno sabbioso del campo archeologico vasto oltre 11 ettari, la metà circa della superficie totale dell'agglomerato medievale al momento della sua massima espansione.
Una parte dei reperti sono trasferiti al museo nazionale di Nouakchott, principalmente i pezzi di chiara origine mediterranea quali recipienti in ceramica smaltata, lampade ad olio col becco, bruciaprofumi, brocche e vasi di terracotta rossa. E' interessante notare che alcune di questi oggetti medievali sono serviti da modello agli artigiani del Tagant fino ai giorni nostri.

Un passato prestigioso

Ad Awdaghost gli archeologi hanno rivenuto anche abbondante materiale di ferro e rame. Oltre arnesi per le acconciature femminili e per la cura del corpo, sono stati identificati: crogiuoli, mantici e fucine, nonché stampi in vetro (i dénéraux) per la coniazione di monete d'oro incise. La loro origine industriale potrebbe risalire all'Ifriquya (Tunisia) del decimo secolo o all'Egitto dell'XI° secolo.
Anche l'arte degli orafi era fiorente: nella città berbera mauritana sono state riportate alla luce numerose mole di gioiellieri che recavano ancora cesellate le impronte di diversi amuleti. Questo tipo particolare di mola é stato ritrovato soltanto nel nord del Marocco (a Volubilis e Hur) e datato dell'inizio dell'epoca musulmana. Tuttavia le iscrizioni rimangono indecifrabili e si é pensato all'uso di un linguaggio esoterico con fini di magia.
Va segnalata anche l'esistenza di siti rupestri non lontano dagli scavi, tra cui quello del riparo sotto roccia Aguentour-el-Abiod, dove sono rappresentati oltre ai soliti animali della fauna quaternaria anche due carri.
Il materiale estratto nel corso di una campagna di scavi è poi affidato a vari laboratori. Ogni anno vengono alla luce circa 4 tonnellate di ceramiche che bisogna restaurare, studiare, fotografare e classificare, 2000 oggetti di metallo che devono essere trattati in laboratorio, numerosi pezzi importati (lampade ad olio, vetri, ceramiche smaltate) che devono essere identificati per ricostruire le correnti commerciali che interessarono la città, vari scheletri di animali e ossa che bisogna studiare e riconoscere per tracciare l'evoluzione della fauna.

Quattro tipi di insediamenti

La città di Tegdaoust, che quasi sicuramente coincide con la storica Awdaghost, ha conosciuto quattro tipi di insediamenti. Dopo il periodo neolitico, del quale non si sa niente di preciso, un popolo, che fabbricava ceramiche di tradizione sudanese e che probabilmente aveva già contatti commerciali con il Nord, vi costruì capanne e focolari, probabilmente a 202?203 metri sotto il livello del mare.
Una vera rivoluzione urbana, come afferma il professor Devisse, trasformò il villaggio in città tra la fine del IX e la fine del X secolo d.C. con la costruzione di strade, piazze, grandi case e forse una moschea.
Gli abitanti erano in parte aborigeni e in parte commercianti originari dell'odierna Tunisia. C'erano quartieri specializzati per la lavorazione del rame e del vetro, zone residenziali lussuose e quartieri poveri.
Sulle rovine di questo agglomerato sorse un nuovo insediamento verso 1'XI secolo. Gli abitanti erano ancora importatori di prodotti di lusso fabbricati nel Nord, ma i segni di ricchezza andavano scomparendo. Distrutta quasi completamente, la città fu ricostruita riutilizzando alcuni vecchi muri, ma cancellandole antiche piazze e strade.
In questi ultimi due insediamenti sorgeva certamente una grande moschea.
Nel XIV secolo, su una collina appiattita, che è stata pure fatta oggetto di scavi, furono costruite grandi case rurali. Il piccolo gruppo che le abitava dovette affrontare il problema dell'acqua (i vecchi pozzi erano insabbiati) e della carenza di legname occorrente alla lavorazione dei prodotti ceramici, in particolare di vasi. La mancanza di sicurezza e la difficoltà di procurare il cibo portarono in seguito all'uso delle armi da fuoco.
La popolazione aveva certamente rapporti con la località di Koumbi Saleh. Infine, nel XVI e nel XVII secolo, un'ultima piccola città fiorì in corrispondenza della zona occidentale dell'attuale campo archeologico, intorno ad un grande edificio e ad una piccola moschea.