Il mercante genovese
Antonio Malfante

Honein: invano cerchereste sulle carte geografiche questa località. E' segnato soltanto un capo Hone, non lontano dalla foce della Tafna, ultima evocazione della graziosa cittadina dai patii fioriti dove era sceso il Malfante e dove approdavano ogni anno i vascelli veneziani. Circondata da alte mura, Honein, nonostante l'esiguità del suo porto 'fortificato con due piccole torri", aveva un traffico commerciale abbastanza importante: una sola nave genovese, pur pagando circa il 10% ad valorem, versava per i diritti doganali quindicimila ducati d'oro.
La città non esiste più. E' stata rasa al suolo nel 1534 per ordine di Carlo V che se ne era impadronito. Rimangono le rovine di una casbah di un minareto in fondo all'ansa che ripara il capo Hone. Honein era il porto di Tlemcen, dove il mercante genovese Antonio Malfante (1410-1450) entrò in relazione con alcune potenti case arabe d'import-export.

Ibn Battuta e Malfante

Lo storico Ibn Battutah, nel corso dei suoi viaggi nel 1352, incontrò uno degli Abd-elMaid Al-Makkari alla corte del re dei Mandinghi. Gli Al-Makkari non si limitavano a rifornire di prodotti esotici i numerosi mercati a nord del Sahara, ma procuravano anche le guide e le scorte per le traversate del deserto.
Il Malfante narra, nella celebre relazione ritrovata dal De la Roncière nei fondi della biblioteca nazionale di Parigi, che partendo da Sigilmassa la sua carovana cavalcò verso il Sud, in pieno deserto, senza alcun punto di riferimento che non fossero il sole e le stelle, senza incontrare luoghi abitati se non una misera borgata (probabilmente Taberbert), dove la gente viveva solo di datteri.
Il tredicesimo giorno raggiunse una città in cui divenne oggetto della curiosità generale. Non avevano mai visto un cristiano e la popolazione indigena, stupita che non avesse un volto strano, esclamava: Ma il suo viso è identico al nostro! La curiosità in seguito si affievolì e Malfante poté circolare liberamente. Il luogo dove era giunto nel 1447 e che in una sua lettera a Genova aveva chiamato "a Tueto" era l'attuale Touat.

Tamentit descritta da Malfante

Questa regione, scrive Malfante, è una tappa commerciale del paese moro. Comprende circa 150 a 200 villaggi. Qui vi sono diciotto quartieri racchiusi in un'unica muraglia e governati da un potere oligarchico. Ogni capo-quartiere protegge, contro tutti, propri dipendenti. I quartieri sono attigui e molto gelosi delle loro prerogative. I viaggiatori di passaggio diventano subito clienti dell'uno o dell'altro, di questi capi-quartiere, che li difendono anche a costo della vita. Così i mercanti si trovano in gran sicurezza, voglio dire in una maggior sicurezza che negli stati monarchici di Tlemcen e di Tunisi.
Così era e così è ancora oggi la città di Tamentit: ha conservato la sua cinta turrita che racchiude quartieri nettamente differenziati da strade strette. All'inizio del secolo era ancora una repubblica amministrata da una djemaa di maggiorenti con a capo uno sceicco.
Ci sono parecchi ebrei, precisa Malfante, che trascorrono tranquillamente la loro vita governati da capi che li proteggono e permettono loro di vivere e lavorare indisturbati nella società locale. Essi servono da intermediari per il commercio estero e molti di questi ebrei sono degni di assoluta fiducia.
Pochi anni dopo, nel 1492, questa pacifica coesistenza islamico-israelita, finiva tragicamente. Un adepto del sufismo, Moliammed Ben Abd el-Kerim El-Maghili, esasperato dalle sconfitte dei musulmani in Spagna, si mise a predicare la guerra santa contro gli ebrei sahariani.
Invano il cadi Abdallah El-Asnuni tentò di opporsi al fanatismo delle bande armate formatesi intorno a El-Maghili per salvare gli ebrei. Sia a Tamentit che a Sigilmassa quelli che non abbracciarono immediatamente la religione maomettana furono massacrati senza pietà.

La Palestina del Sahara

Così Malfante fu il testimone di un'epoca scomparsa, in cui gli ebrei e gli arabi difendevano e facevano prosperare insieme una "Palestina del Sahara". Ma già allora la regione era continuamente minacciata e devastata dalle scorrerle cammellate dei Tuareg. Una decina d'anni prima gli ebrei di Tamentit avevano chiesto l'intervento dell'emiro di Tlemcen. Erano rimasti assediati quattro mesi ed erano stati liberati grazie agli abitanti delle oasi di Timmi e di Buda.
I Tuareg erano chiamati 'Filistei" e Malfante ne ha tracciato un ritratto vivissimo: I filistei abitano sotto le tende come gli arabi. Dai confini dell'Egitto fino a Messa e Safi in Marocco, dall'Oceano fino ai territori dove vivono i neri, regnano incontestati come padroni del Sahara. Di razza superba e di aspetto altero, questi bianchi sono incomparabili cavalieri e montano senza staffe, servendosi solo degli speroni.
Alcuni loro cammelli, di color bianco, sotto così rapidi da poter coprire in un sol giorno la distanza che un cavaliere normale impiegherebbe quattro giorni a percorrere.
Possiedono innumerevoli greggi, soprattutto di pecore e cammelli, che danno loro latte e carne. Hanno anche del riso. Sono governati da un re, ma la legislazione offre questa particolarità: che l'eredità passa ai figli delle sorelle.

Rame, sale, bestiame e polvere d'oro

Malgrado i Tuareg, Tamentit manteneva le sue attività commerciali. Era un grande emporio dell'Africa Nord-occidentale, situata a 20-25 giorni di carovana dal principali regni musulmani: Fez, Tunisi, Tripoli, Timbuctù, Tlemcen (Malfante ebbe cura di indicarne l'esatta situazione geografica).
Le carovane arabe provenienti dalla costa mediterranea con grano e orzo, e dall'Egitto con interminabili file di dromedari e di bestiame, s'incontravano nel Tuat con quelle provenienti da Timbuctù cariche di oro in polvere e con quelle di Teghazza cariche di sale. Un altro articolo molto richiesto dai Neri, e Malfante era molto incuriosito dall'uso cui lo destinavano, era il rame.
Importato dall'impero greco, passando da Alessandria, Tripoli, Tunisi e Ceuta (l'araba Sebta) in lingotti, in sbarre, in lame o in fili, era fin dal XII secolo uno dei carichi principali delle navi genovesi e, nel Cinquecento, dei galeoni veneziani.
In cambio del rame, i Neri davano polvere d'oro e il karité, burro vegetale pregiato quanto il burro di pecora. Il rame aveva un valore monetario. Con le lamelle di rame i mercanti comperavano carne e legna e con i pani di rame schiavi e grano.
Durante la sosta delle carovane nel Tuat si potevano contare anche mezzo milione di animali. Gli abitanti di Tamentit erano degli affaristi nati e molto duri nel trattare. Malfante annota che gli "abitanti di questi luoghi non vogliono effettuare alcuna transazione, vendita o acquisto, senza riscuotere il cento per cento di commissione. Quindi la mia perdita quest'anno ammonta a due mila doppie sulle mercanzie da me portate."
Ma con incredibile fiuto Malfante si rese conto che se non poteva guadagnare nulla nel Tuat, ben diversa sarebbe stata la situazione lungo il gran fiume che si sapeva bagnava molti territori a sud del deserto popolati da negri.