La passione per il deserto

Come spiegare il legame profondo tra Attilio Gaudio e il deserto?
Metafora della vita, il deserto. Infinito rincorrersi di sabbia, polvere, ciottoli e pietre, oceano di barcane, arcipelago di nude colline, è il regno del vento.
"Ma come può muovere all'entusiasmo una distesa senza fine di nulla?", si chiede il giornalista Paolo Granzotto nella sua prefazione a un libro di Attilio Gaudio (1). Il fatto è che l'autore "sa far convivere magia e scienza, descrivere il silenzio o le venature di una duna, lo splendore della Croce del Sud che brilla solo nel cielo sahariano, e la meticolosa sellatura di un cammello…"

L'aspetto attuale del deserto

Il vento non fa altro che rimaneggiare la sabbia, sollevandola, modellando i dettagli dei rilievi che erode, creando forme nuove e mobili, cordoni o campi di dune allungate o a mezzaluna, sommergendo o spianando vaste superfici sotto spesse coltri. Spinge tutto ciò che si oppone al suo libero movimento, sposta, trascina, solleva, trasporta in tutte le direzioni, deposita, secondo il caso o le necessità delle leggi della fisica. L'aspetto attuale del deserto è dovuto anche all'azione delle acque correnti, sia del passato, nel periodo umido, che attuali, benché scarse. La quasi inesistenza della vegetazione potenzia l'azione di dilavamento delle acque piovane, che erodono il suolo, scorrono nel letto fossile delle uadi, sprofondano in falde sotterranee più o meno superficiali o si perdono nelle sebkha, le depressioni saline. Il deserto di una volta e quello di oggi

Però la presenza di rivestimenti vegetali naturali o coltivati, talvolta con l'aiuto di muri o palizzate, di reti o materiali che cementino o appesantiscano la sabbia, può arginare il fenomeno. La presenza dell'uomo è di fondamentale importanza, ieri come oggi. In spazi estremamente ridotti, le oasi, dove affiora la falda acquifera, si concentrano le popolazioni, mentre immense distese sono vuote, attraversate soltanto dalle carovane o dai nomadi, gruppi di pastori che per molto tempo si sono differenziati dai sedentari e li hanno dominati.
Gli itinerari delle carovane hanno fatto sorgere empori, città, moschee, cultura. Oggi il nomadismo pastorale è in via di estinzione, poiché l'economia moderna ha portato enormi cambiamenti: estensione delle oasi, sviluppo delle zone minerarie, urbanizzazione, sedentarizzazione forzata. La siccità ha fatto il resto. Ma se il clima arido mette in pericolo la sopravvivenza di uomini e animali, salva dalla decomposizione e conserva invece i resti del passato. Poiché la sabbia è sterile.

Le metafore e i messaggi del deserto

Metafora della morte, il deserto: il deserto è silenzio. Sembra uno spazio vuoto e morto, invece è una proiezione di vita. La sua superficie, sotto la sabbia o sulle pareti rocciose, contiene ovunque tracce di civiltà scomparse, dalle incisioni rupestri e pitture preistoriche alle rovine di città medievali. In effetti, nel quaternario, fin dal paleolitico inferiore, parecchi periodi umidi hanno reso verdeggiante il Sahara e consentito ad una numerosa popolazione di vivere di caccia, pesca e raccolta. Dopo alcuni periodi di siccità, nel neolitico prosperano, soprattutto intorno ai massicci montagnosi e sulle coste atlantiche, allevatori e agricoltori: lo testimoniano asce, frecce, resti di alimenti, e soprattutto graffiti rupestri.

Le civiltà del deserto

Attraverso questi messaggi di pietra possiamo leggere la storia del Sahara e distinguere varie forme di civiltà che si sono succedute, scandite dall'uso e dalla domesticazione di animali diversi: la caccia alla fauna selvatica, il periodo del bubalo (la grande antilope africana) e la pastorizia: bovini, poi cavalli. Siamo ormai nel primo millennio a.C. L'impero dei Garamanti, dal golfo della Sirte al Niger, precede il periodo del cammello, che si estende fino all'epoca coloniale.
Infatti nel sito di Tadmekka (l'attuale Es-Souk), la città tuareg dell'Adrar degli Iforas studiata da Henri Lhote, Théodor Monod e Raymond Mauny, trecento chilometri a nord-est di Timbuctù, alcune incisioni rupestri testimoniano che l'Adrar venne attraversato quattromila anni orsono dalle bighe garamantiche che i focosi destrieri lanciati al "galoppo volante" tiravano lungo le più antiche piste transahariane dal Mediterraneo al Niger. E sui blocchi di grès degli speroni rocciosi sono state individuate numerose incisioni e iscrizioni tifinagh, la scrittura paleo-libica ancora usata dai Tuareg.

La lingua berbera e Charles de Foucauld

Soprattutto le donne Tuareg hanno da secoli conservato la tradizione della scrittura berbera. Anche se l'arabizzazione si è realizzata tra l'XI e il XII secolo, tramandando usi e costumi mediante l'arabo dialettale, la lingua berbera e la sua scrittura dal curioso alfabeto geometrico continua a essere il reale veicolo di leggende, tradizioni, riti religiosi.
E' con lo studio del berbero negli anni 50, presso il professor André Basset , alle Scuola Nazionale di Lingue Orientali di Parigi, che Gaudio si è avvicinato come ricercatore al Sahara. E' stato uno dei primi studiosi europei a visitare l'oasi berbera di Siwa, nel deserto libico-egiziano, e a raccontare i suoi tradizionali matrimoni tra uomini. Ha lavorato con Basset, autore della prima grammatica berbera completa, ideatore di un grande atlante linguistico-dialettologico berbero, e compilatore del dizionario tuareg-francese manoscritto dal Père de Foucauld.
Ha anche affrontato i due problemi connessi alla linguistica berbera: l'epigrafia libica e le sue relazioni con il tifinagh e la lingua morta degli antichi abitanti delle Canarie.

La passione dell'esploratore

Nel 1952, racconta André Basset nella sua prefazione al primo libro di Gaudio (2) sull'Africa "ricevetti la visita di un giovane… è un grande viaggiatore, erede degli esploratori di cui possiede le qualità magistraki, l'audacia e la tenacità. Ne ha anche conservato le totale curiosità. Qui, sono le civiltà morte che evoca con i loro grandissimi monumenti; là, sono le scene più attuali di una vita esotica arcaica…" Attilio è rimasto lo stesso. Il passare degli anni e i cambiamenti profondi della società e dei suoi mezzi di comunicazione non hanno scalfito il suo entusiasmo, la sua voglia di imparare, vedere, viaggiare, esplorare.
"Gaudio mi ha preso per mano. Mi ha aperto le porte. Mi ha aiutato a scoprire nuove realtà culturali; fragili ecosistemi in presa al deserto, capolavori architettonici nati nella terra e nel fango che, come castellini sabbia, rischiano di svanire nel nulla e nell'informe". Così scrive, nella prefazione a un altro libro di Gaudio(3), Maurizio Moreno, che fu ambasciatore d'Italia a Dakar.

Lotta per il sapere e la cultura da continuare

Dopo le città storiche del Sahara da salvare, Gaudio ha ripreso la sua lotta mai interrotta in favore degli antichi manoscritti. Dice Diadié Haidara nel suo appello al Colloquio di Timbuctù (novembre 2000): "E' meglio accendere una piccola candela piuttosto che maledire l'oscurità. Salviamo ciascuno un manoscritto, e noi finiremo per salvarli tutti".
Quest'importante lavoro è stato iniziato e bruscamente interrotto. Ma tanti studiosi appassionati di cultura e amanti del deserto ne raccoglieranno l'eredità. "Viaggiatore per sempre", abbiamo scritto sulla sua tomba. Un viaggio ci ha uniti, in treno da Roma a Milano, parlando di viaggi e di paesi lontani. E quando mi disse "Vuoi aiutarmi ad attraversare il deserto della vita, così come il cammello accompagna il nomade nel Sahara?", pensai a una metafora. Ma non era solo poesia, è stata realtà. Fino a che un ultimo viaggio non ci ha tragicamente divisi.

Mila Gaudio

1) Sahara: seimila anni, Mozzi, Milano, 1988
2) A travers l'Afrique Blanche, Julliard, Parigi, 1955
3) Sahara, città storiche da salvare, Istituto Geografico Militare, Firenze, 1992