La celebrazione della morte


Questo dovere verso i morti pone spesso i cristiani in una posizione difficile. Da un lato si è imparato al catechismo che i morti salgono in cielo, presso Dio, se essi hanno vissuto onestamente quaggiù, e che basta pregare per loro od offrire delle messe secondo le loro intenzioni, affinché essi accedano alla casa di Dio.
Effettivamente, il sottofondo della mentalità africana dei cristiani li spinge a moltiplicare le richieste di messe di requiem per il “riposo dell'anima” dei loro defunti. Non potendo partecipare ai riti funebri e sacrificali celebrati al villaggio per i morti, essi si contentano di questa tradizione cattolica che permette loro d'offrire dei suffragi ed il sacrificio della messa (si “ordinano delle messe” come si offre del denaro per i sacrifici al villaggio).
D'altro lato, non si esita a celebrare dei funerali tradizionali per i cristiani defunti. In Burkina Faso, dopo la grandiosa celebrazione nel 1963 dei funerali di... papa Giovanni XXIII alla maniera dei defunti re mosi, i cristiani di Ouagadougou organizzarono, successivamente alle esequie cristiane, dei funerali di tipo tradizionale per i loro defunti.
Ricordo ancora una vecchia cristiana che diceva a uno dei suoi figli: “alla mia morte, soprattutto non dimenticate di far dire delle messe e di celebrare i miei funerali, affinché io possa raggiungere gli Antenati”. Si vede bene che secondo la visione africana del mondo e la sua concezione di Dio e dell'aldilà, il cielo come “luogo” di un faccia a faccia beatifico con Dio (“entra nella gioia del tuo Signore”) non stimola l'emozione e il desiderio, quanto invece fa l'immagine di un ritrovarsi definitivo e festoso con i propri Antenati. Non è evidentemente questione per l'africano dell'ipotetica felicità parziale e dualista dell'anima privata del corpo: è tutto l'essere, nelle sue componenti fisiche e spirituali che partecipa alla felicità della società degli Antenati. La dimensione comunitaria del “cielo” africano (spesso localizzato in basso, nelle viscere della terra), sottolinea questa costante del comportamento africano, che vuole non si possa mai essere felici da soli!