Gli europei e la corsa

Se nelle sue grandi linee il meccanismo è questo, la realtà presenta poi sfumature, varianti, infinite e non basterebbero interi volumi per mettere insieme le varie storie che la corsa genera e di cui troviamo tracce nei documenti: si può dire che ogni viaggio ha la sua storia, ogni vicenda presenta aspetti diversi.
Intanto la corsa viene fatta anche da europei, non solo contro i barbareschi potremmo dire per legittima difesa, ma tra loro stessi: maiorchini, francesi, corsi, napoletani, catalani vengono spesso denunciati a Genova come corsari, e spesso anche capitani genovesi si accaniscono contro i conterranei: in questi casi la discriminante con la pirateria à molto incerta, perché è ovvio che in molti casi la preda rimane agli stessi capitani.

Capitani depredati: magre prede

Tutto questo mette in circolo merci che tengono vivo il commercio in ogni porto del Mediterraneo: ma spesso le prese sono veramente povere e leggere a volte la lista delle cose catturate ci mostra quale fosse il livello di povertà di quei tempi. La nota presentata da un capitano genovese depredato da un corsaro catalano e che chiede con lamentosa insistenza un rimborso alle autorità elenca:

tre sacchi di biscotto, un barile di tonnina, una sporta di pasta, quattro grosse pezze di formaggio, un fucile, due sciabole, un sacchetto di palle da schioppo, uno scandaglio, quattro cappotti nuovi, otto camicie nuove, quattro paia di scarpe nuove, sei cappelli, quattro camiciole, cinque paia di calze, un vestito bianco nuovo, un paio di calzoni turchini, contanti: 12 pezzi.

Solidarietà fra gente di mare

Questa situazione, in cui peraltro migliaia di persone rischiano la vita e perdono la libertà e che non manca di una sua violenza e drammaticità, di cui fanno le spese in genere individui poveri e deboli, presenta tuttavia estreme varianti, da cui traspare anche una certa solidarietà tra la gente semplice, a qualsiasi bandiera appartenga, o comunque una certa rassegnazione alla violenza dei tempi, una certa complicità, che mira a vivere e a lasciar vivere, per quanto possibile: non sono infrequenti le dichiarazioni di capitani di navi che forniscono acqua a navi barbaresche, incontrate durante il viaggio: paura forse, ma sembra di leggere anche la solidarietà tra uomini di mare, uomini che parlano spesso la stessa lingua.
Perché d'altra parte marinai che vivevano sul mare non avrebbero dovuto avere rapporti tra loro, quando sappiamo che molti governi non si privavano di guadagni, rifornendo di materiali per la navigazione ed anche di armi questi Stati, contro cui magari contemporaneamente ordinavano la corsa? Anche Genova lo fece ricevendo spesso proteste per questo.

Le apostasie

Uno degli aspetti più interessanti della corsa è quello delle apostasie. Da una parte e dall'altra sono decine i cosiddetti rinnegati, individui che hanno accettato di convertirsi alla religione del nemico. Spesso questa abiura era forzata: si pensi a coloro, bambini o adulti, che erano stati catturati nelle razzie a terra, e che spesso entravano a far parte dei giannizzeri, e che spesso non avevano altro modo per salvare la vita. Ma spesso questa abiura permetteva loro di fare rapide carriere all'interno del mondo musulmano, dove la loro competenza, la loro esperienza e preparazione tecnologica era molto utile e veniva ben ricompensata. Si pensi al fiammingo Simone Danser che divenne ricchissimo insegnando agli Algerini ad usare le “navi rotonde”, cioè le grandi navi a vela che navigavano nell'Oceano Atlantico.

La carriera dei rinnegati

Anche Genova ha i suoi rinnegati: ad Algeri c'era una moschea che era stata voluta da un rais soprannominato Mizumurtu (Mezzomorto) dopo essere stato ferito in combattimento, probabilmente genovese. Genovese, o meglio ligure di Levanto figlio di Francesco Rio, era Osta Moratto, rinnegato dal 1601, giannizzero dal 1605, che nel 1637 divenne principe di Tunisi.
Questa è sicuramente la carriera più illustre, ma i rinnegati genovesi sono molti: un Murad genovese rais viene ad un certo punto nominato rappresentante legale del “Redentore dei cattivi di Sicilia”, una delle tante organizzazioni che agivano in funzione del riscatto degli schiavi. Talvolta mantengono rapporti con loro conterranei e spesso offrono consulenze per il riscatto, spesso sono temuti come gli altri rais e mostrano maggior durezza.

I rinnegati musulmani

Esistevano rinnegati anche da parte musulmana, ma sicuramente in quantità molto minore, per vari motivi ed anche perché minore era il numero di prigionieri e perché meno possibilità e occasioni avevano di farsi notare. Probabilmente alcuni dei forzati delle galere si fermarono a vivere a Genova, probabilmente convertendosi, perché diversamente non sarebbe stato possibile.
Voglio citare un esempio: verso la metà del Settecento le autorità di Genova mandano un documento scritto in caratteri arabi al Magistrato delle Galee, chiedendogli se era in grado di farlo tradurre. Il magistrato invia la traduzione, piuttosto stentata, che afferma essere stata fatta da un “moro” che vive in quel di Casella, che però ha avuto problemi perché il documento era in “turchesco”, cioè non era arabo, era turco scritto con caratteri arabi.
Come questo, sicuramente, ci saranno molti casi, di persone disperse sul territorio che lentamente si integravano.

Ordini religiosi per il riscatto

Quantificare quante persone, da una parte e dell'altra, sono state vittime della corsa non è impresa fattibile, sicuramente molte decine di migliaia, forse qualche centinaio di migliaia. Certo dovettero essere molte, soprattutto in alcuni periodi, in cui c'è una recrudescenza del fenomeno o in cui certe reggenze hanno più mezzi da impegnare in essa.
Fatto sta che tutti gli Stati si organizzano solitamente attraverso Ordini religiosi o Opere pie, o, come accade a Livorno, attraverso la mediazione di grandi famiglie ebree, in parte residenti in Barberia, in parte a Livorno.
A Genova , caso unico, a questo scopo si crea addirittura una magistratura, Il Magistrato del Riscatto degli schiavi (1597). Il procedimento è complesso: il primo passo necessario è che si abbia informazione della cattura.
Questo avviene, di solito molto tempo dopo, in vari modi, sovente è lo stesso prigioniero che riesce a contattare qualche capitano genovese e a far pervenire alla famiglia o al Magistrato l'informazione e la richiesta di aiuto.
A questo punto la famiglia raccoglie quanto possibile, ma il più delle volte, trattandosi di solito di famiglie non ricche, la cifra non è sufficiente: allora interviene il Magistrato che tramite offerte e raccolte varie, mette insieme la cifra, in tempi che sono piuttosto lunghi.
Poi si deve trovare il mediatore, che può essere Tabarca, un capitano di nave, un console straniero, le possibilità sono molte: e si deve procedere con delicatezza, senza urtare le autorità musulmane, che potrebbero bloccare la pratica e addirittura non più concedere il riscatto(1). Storie sempre drammatiche, dolorose .

I casi della vita

Eppure anche in queste vicende ogni tanto avvengono fatti incredibili, che sembrerebbero contraddire quella atmosfera cupa e violenta che la corsa e il suo incombere ci suggeriscono.
In una lettere il console Bogo informa Genova che si sono presentate da lui a Tunisi quattro donne genovesi, una delle quali incinta, che sono riuscite a convincere il capitano di una nave a imbarcarle a Genova e a portarle a Tunisi, dove avevano intenzione di cercare i loro mariti, fatti prigionieri e di cui non hanno notizie. Sono passati parecchi giorni, le donne non hanno trovato nessuno e sono rimaste nella casa del console che chiede a Genova un rimborso spese e…come possa liberarsi delle ospiti, evidentemente per lui divenute ingombranti.
Un'altra lettera, arrivata ai Serenissimi Collegi, prega di abbandonare l'idea di riscattare… il fratello dello scrivente. Il succo della lettera è : “Io glielo avevo detto di non andare a pescare con la barca, lui non mi ha dato retta, peggio per lui”.
Nel frattempo lo scrivente ha sposato la moglie del prigioniero e gli ha portato via l'eredità paterna.

1) Si veda a questo proposito il volume di Enrica LUCCHINI , La merce umana. Schiavitù e riscatto dei liguri nel Seicento, Roma, Bonacci, 1990.