La società: ieri e oggi

Quando entriamo nel cortile di Alberto, di ritorno dal villaggio vicino, troviamo un motorino quasi nuovo davanti alla cucina di Giulietta. Il figlio maggiore di Alberto è ritornato a casa dopo aver passato qualche giorno nella cittadina vicina a cinquanta chilometri dal villaggio. E' in cucina e sta mangiando.


Gaetano e Alberto


Alberto lo chiama, ci salutiamo. Le ciabatte e il bubù (grande camicione che scende fino ai piedi) di Alberto fanno contrasto con i mocassini, i bleu-geans e la camicia sportiva del figlio. Tempi nuovi, vita nuova, mi dico. Con un largo sorriso, Gaetano, è questo il nome del figlio di Alberto, si rivolge al padre e gli da le notizie della città. Gaetano è arrivato fino alla 3° liceo ma non ce l'ha fatta a superare gli esami di maturità. Allora, ha lavorato un po’ i campi col padre ma ora vuole un lavoro tutto per sé, cerca la sua indipendenza. Alberto è di larghe vedute e capisce che suo figlio ha bisogno di spazio visti anche gli studi che ha fatto. Alberto racconta la morte del giovane del villaggio vicino. Gaetano lo conosceva bene ma non gli è mai piaciuto il suo comportamento: partire all'avventura e poi rientrare con le pive nel sacco. Per questo dice al padre: "Ho trovato un lavoro nella città vicina come garzone in un negozio. Comincio domani. Sono venuto a darvi la bella notizia. Anche la mamma è contenta. Ritornerò ogni settimana al villaggio per darvi mie notizie e se ci sono problemi vi dirò pure quelli perché, insieme, troviamo una soluzione".


Giovani e anziani


Mi dico che non è l'abito che fa il monaco, ma è raro trovare dei giovani così. Alberto mi guarda per vedere la mia reazione. Sorrido e faccio un gesto con le spalle come per dire:. Essere anziani non sta tanto nell'avere delle rughe... né nel morale, né nel fisico, ma è sapere che ne abbiamo. Sembra che Alberto abbia letto il mio pensiero perché fa una constatazione che mi piace, ne amaro né sconsolato: "quando si ha vent’anni non ci si rende conto, e quando non si hanno più è già troppo tardi! Vieni Gaetano, voglio spiegare qualcosa anche a te. Sapete che l’uomo per noi africani è un valore in sé che si esprime nell’uguaglianza. Ciò non toglie che nella nostra etnia si ammetta una gerarchia sociale ben strutturata che va dal papà di una famiglia nucleare al Capo villaggio fino al Capo di 5/6 villaggi facenti parte di un Cantone, passando per il Capo famiglia fino al Capo del Clan. Queste personalità sono le persone-chiave della società, una specie di perno attorno al quale gravita tutta l'attività e sono i canali di trasmissione di ordini di ogni genere.


La famiglia africana


L'Africano è un essere sociale e lui stesso non si vede al di fuori di una famiglia. Per noi la famiglia ha un senso molto largo. Comprende la famiglia dei bisnonni con i loro fratelli e sorelle e tutta la loro discendenza fino alla famiglia nucleare come la nostra. Però la parentela non ha lo stesso peso perché da noi c'è la predominanza del concetto matriarcale su quello patriarcale. Ti spiego e vedrai che è facile da capire - mi dice Alberto. Si dirà ad un bimbo, parlando di tutte le persone della famiglia di sua mamma: i tuoi. Ma quando si tratterà delle persone della famiglia di suo papà, si dirà: i tuoi padri. Così, i figli delle mie sorelle mi chiameranno fratello maggiore, anche se sono loro zio, invece i figli di mio fratello mi diranno papà. Ed io, da parte mia, devo dire ad una parte dei miei nipoti: fratelli e sorelle minori. E all'altra parte di nipoti, figli di mio fratello, devo dire: figlio mio e figlia mia. I figli non appartengono alla linea paterna ma a quella materna. E' per questo che qui, nella nostra etnia, si è abbastanza reticenti, ma anni fa c'era una opposizione sistematica, che un ragazzo sposi una giovane di un'altra etnia. Se il contrario si avverasse, si è meno intransigenti, visto che i figli restano all'interno del gruppo.
L'essere sociale del Guen e dell'africano in genere, hai visto, non si concepisce nè fuori della famiglia, né fuori del Clan o della Etnia.


Chi dice "essere sociale" dice anche "essere in evoluzione", lenta forse, ma certa. Gaetano è qui con noi e ne è un esempio...


L'uomo legato alla famiglia così come è, ha uno scopo che è quello di partecipare al pieno sviluppo del gruppo, comunità e famiglia, con tutti i suoi mezzi. Deve mettere al servizio della comunità tutti suoi talenti, le sue capacità. Comprendi facilmente le numerose conseguenze derivanti da questo principio.

Alcuni esempi per farti capire l'ieri e l'oggi della nostra vita.

Matrimonio e integrazione sociale

Dentro tale società, ogni membro si sente al sicuro. Malato o infermo, sa che ci si occuperà di lui. Sa pure che una vedova e i suoi figli saranno presi in carica dal gruppo e in particolare da tale fratello di suo marito. Non esistono persone sole. Il gruppo si occupa di tutti.
Il matrimonio non era tanto un sancire l'amore di due giovani quanto un affare di due famiglie. Nella stragrande maggioranza dei casi gli interessati erano appena informati del loro futuro matrimonio perché non stava ai giovani dire sì, quanto piuttosto alla famiglia. Infatti, la famiglia prima di dare la giovane doveva passare in rassegna parenti e antenati del futuro sposo per vedere se non c'erano dei pigri sul lavoro, dei ladri e se qualcuno non fosse stato colpito dal malocchio o maledetto.
Si analizza l'entrata di una ragazza nel nostro clan chiedendoci: "Ci onorerà? Porterà la gioia o la divisione con il suo carattere"?
Se invece una ragazza doveva uscire dal clan per sposare un giovane di un'altra etnia, si cercava di vedere se nella sua nuova famiglia sarebbe stata contenta e se avesse avuto da nutrirsi e nutrire i suoi figli.
Si indovina facilmente, in tale società, come fossero trattati i "duri", i recalcitranti. C'erano sanzioni severe! Gli incorreggibili passavano davanti al consiglio di famiglia che decideva della loro sorte. Il verdetto oscillava tra correzioni fisiche e disciplinari fino all'esclusione dalla famiglia. Si poteva vendere il giovane recalcitrante come schiavo o essere messo in situazioni tali che gli sarebbe stato impossibile ritornare a casa vivo. C'erano poi dei veleni che potevano rendere il giovane pazzo. Al tempo della colonizzazione il giovane incorreggibile era uno dei primi candidati ai lavori forzati.

Solidarietà comunitaria

Circa il lavoro dei campi, c'erano le così dette "prestazioni gratuite". Io lavoro per te, tu lavorerai per me. Queste prestazioni permettevano di praticare due valori importanti: la solidarietà e l'onore. Erano lunghi cortei di contadini che ritornavano gioiosi dai campi dopo aver lavorato presso uno del gruppo che li aveva pagati fornendo cibo e "ciapalò" (birra di miglio fermentato). A turno si andava da tutti e il senso profondo del gruppo era molto forte.
Per quanto riguarda l'onore, queste prestazioni gratuite erano buone occasioni per provare le proprie qualità e la resistenza nel lavoro, in vista anche di un futuro matrimonio che gli anziani non avrebbero tardato a concludere con la famiglia di una giovane.
Nella società tradizionale tutto era in comune. I membri di una stessa famiglia lavoravano la stessa terra. I raccolti erano per tutti anche se il tutto era gestito dal capo famiglia. Le donne per la loro cucina andavano nei granai comuni della famiglia a cercare riso, miglio, mais, arachidi... C'era un incaricato per servirle del necessario.
Agli uomini erano riservati il lavoro dei campi e la caccia. Le donne invece, oltre a seminare e zappare nei campi della famiglia, coltivavano un orticello attorno casa per i prodotti delle varie salse. Un altro lavoro riservato a loro era la filatura del cotone. Quando c'era bisogno di una stoffa, la donna portava al tessitore il doppio del filo necessario come paga per il lavoro. Ogni famiglia possedeva piccoli allevamenti di galline, faraone, montoni e capre. Il grande allevamento di buoi era riservato al capo famiglia. Il frutto dei lavori artigianali venduti era del produttore. Questo succedeva quando io ero piccolo e in parte esiste ancora qui da noi.

E adesso?

Il contato con l'Occidente ha fatto sì che la società tradizionale è stata scossa fin dalle fondamenta. Sono stati i nuovi bisogni che ci hanno portato all'evoluzione del nostro livello economico. Il passato non sa più come affrontare il nuovo. E' un nuovo stile di vita che si instaura e che bisogna saper gestire. Anche qui vi darò alcuni esempi:
L'introduzione nel nostro sistema della moneta per l'acquisto dei prodotti, là dove esisteva solo lo scambio.
Le attività individuali, considerate finora secondarie, guadagnano terreno. Il contadino, partendo ai campi, ha due idee in testa: far vivere la sua famiglia e procurarsi, con i prodotti della terra, dei soldi per gli acquisti.
Tante persone fanno parte della Funzione Pubblica. Hanno un reddito garantito ogni mese. Stanno benino e vivono bene. Allora, il contadino che vuole arrivare al loro livello di vita, coltiva superfici di terreno sempre più grandi per i prodotti commerciali.
Le relazioni interpersonali hanno subito delle forti modifiche. Nasce l'individualismo assieme alla nozione di profitto. L'idea del bene comune è in ribasso. I lavori fatti comunitariamente ne soffrono. I giovani vogliono scuotere il giogo dei capi famiglia che considerano troppo accentratori. La trasposizione di questo fenomeno giovani-anziani a quello politico, è facile. E' quello che vive l’intera società nazionale che fa sentire che c'è bisogno di un'aria nuova.

I giovani scappano

C'è un esodo rurale dei giovani, molto forte, dalle campagne verso la città. I giovani della nostra savana corrono verso le terre della foresta dove possono coltivare meglio e avere più soldi. C'è una reale corsa verso un tenore di vita migliore, ed è una buona cosa. Ma quello che mi fa paura è la ricerca affannosa e a qualsiasi prezzo di una vita migliore tanto che alla fine l'onestà della vita stessa non esiste più. Scippi, assalti a mano armata in strada o nella case, "Coupeurs de route", uccisioni selvagge davanti alle banche di persone che depositano o ritirano i loro soldi... Sono fenomeni nuovi legati anche al traffico della droga.


La parola... al giovane


Gaetano è stupito di come parla suo padre. Ma sento che anche lui vuol dire la sua. Mi parla della scuola che prepara dei futuri disoccupata, del numero chiuso dei promossi all'esame di maturità e nelle università, del programma di inserimento dei giovani dopo le elementari d'obbligo in un progetto di ritorno alla terra. Mi parla anche delle vendite dei prodotti commerciali come caffè, cotone, cacao, all'ammasso che sono state dimezzate, del caro vita che cresce ogni giorno. Quando poi un giovane guadagna un pò di soldi con un mestiere che è riuscito a mettere in piedi, la grande famiglia gli confida l'onere di allevare, nutrire, mandare a scuola nipoti, fratelli e cugini. I giovani, che siano celibi o sposati, sono incapaci di difendersi contro questa dittatura della solidarietà. E' come se tutta la famiglia avesse paura che uno dei suoi figli riuscisse nella vita. Ma finalmente è tutto il gruppo che perde.
Gaetano guarda suo padre e sento che Alberto ha capito. Mi rallegro e mi dico che buon sangue non mente. Gaetano poi si infiamma quando parla di politica.
C'è un vento di democrazia, timido fin che si vuole, ma deciso. Sono nati da due anni a questa parte, i partiti di opposizione ad un partito unico che è nato nel 1946 e che dall'indipendenza, nel 1960, regna. Bisogna dire però che già prima del 1980, il partito unico aveva iniziato, partendo dalla base, una selezione di candidati possibili alle elezioni legislative. Nel 1980 non si parla più di lista nazionale ma di elezioni di deputati per circoscrizioni e di sindaci per comune. I candidati che rispondevano alle condizioni definite dalla legge, entravano in campagna elettorale e eletti direttamente dalla popolazione senza essere proposti dal partito. Anche allora si è visto che le elezioni erano considerate un po’ troppo come un affare di persone, di candidati, di Clan, alla ricerca del potere all'interno del medesimo sistema. Arrivò il 1990 dove ci furono per la prima volta due candidati alle elezioni presidenziali a suffragio diretto: il Vecchio Presidente che è in carica dal 1960 e un nuovo candidato di un partito di opposizione. Le legislative che sono seguite alle presidenziali hanno portato una diecina di candidati dell'opposizione nell'emiciclo dell'Assemblea Nazionale.
Da due anni a questa parte, forti scossoni stanno ridisegnando il paesaggio politico nazionale. Le rivendicazioni degli universitari sembrano il perno attorno al quale tutte le formazioni politiche si accaniscono al fine di trovare nuovi adepti per una classe politica di domani, sempre più diversificata.


Commiato


Guardo con rammarico il mio orologio. Non ho visto il tempo passare. Ho vissuto una giornata meravigliosa presso persone simpatiche che mi hanno fatto una panoramica vera del passato e del presente.
Saluto Alberto e la sua famiglia e lo assicuro che ritornerò sovente a scuola da lui. Ride e sento che è contento del mio interessamento. Mi accompagna là dove avevamo lasciato Suor Myriam il mattino alle prese con una prevenzione sanitaria che stenta ad entrare, per il momento, ma che con il tempo, porterà i suoi frutti.
Quello che state facendo rivoluziona la nostra vita, mi dice Alberto. Io sento che dobbiamo fare un salto di qualità, pur restando Africani fino in fondo. Da voi, non è stata inventata la corrente elettrica, perfezionando la luce o la qualità delle candele! Ci è voluto ben altro.
Perbacco! Quest'ultima frase mi mozza il fiato. La presa di coscienza c'è, gli aiuti non mancherebbero, sarà per quando il decollo? Se la fase agricola attuale fosse dominata bene e rimunerata ad un prezzo giusto, se il Nord sostenesse la messa in opera di un aiuto Sud-Sud ci sarebbe una autosufficienza alimentare su Continente Africano e quindi ci sarebbe un freno ad un esodo, tante volte giustificato, verso un Nord da favola. E' sognare troppo?


Gino SANAVIO
OUANGOLODOUGOU, Dicembre 1992.