Sacra et Regalia

La dimora del capo ha due cortili. Uno grande, aperto a tutti e uno più piccolo, dietro a questo, e che accede direttamente agli appartamenti del sovrano.
In un angolo di questo cortile la portantina regale, un'amaca intessuta con rami di palma, ricoperta con un tappeto moderno, blu e giallo.

Divinità protettrici e seggio degli antenati

Al centro, grandi zucche a forma di pera, il cui collo è protetto da una spessa cintura di corda, posate su un piatto di rame. Tutto è avvolto in un tessuto annodato alla sommità delle zucche. E' il feticcio del capo chiamato semina, il feticcio che il re Adingra avrebbe donato al suo antenato, le divinità tutelari del gruppo.
A fianco dei semina, un oggetto rettangolare, con la forma di un piccolo tamburo, avvolto in un prezioso tessuto nero e bianco. E' il seggio ancestrale, la bia bile, l'oggetto sacro per eccellenza del gruppo akan, il supporto materiale che unisce il capo a tutti i suoi antenati. E', in qualche modo, il "tabernacolo" della presenza degli antenati. Questo seggio è deposto su una piccola tavoletta di legno. Come tutti i sacra non deve toccare la terra, poiché nasconde una potenza dannosa.
Un grande parasole di velluto, con piccoli quadretti rossi e blu, attende il capo. In cima al parasole, la luna e le stelle. Un notabile del capo ne spiega il significato:

I simboli della luna e delle stelle

Durante la guerra di conquista, i capi abron hanno affidato la direzione delle operazioni militari al luogotenente del re Fiéni. Arrivati nei pressi di Guiendé, c'è stata una battaglia decisiva tra gli Abron e i Kulango (1). La lotta prosegue fino a notte inoltrata. Ala fine gli Abron sono vincitori. Guardano il cielo: la luna brillava tra le stelle.
A partire da quel giorno, la luna e le stella sono diventate il simbolo perpetuo di questa famosa battaglia, che, secondo la tradizione, avrebbe permesso agli Abron di stabilirsi nella regione.
Il tutto è rappresentato e concretizzato da due simboli della luna e delle stelle descritte in un proverbio:
Kongoè me wo bré / euya me wo bré : “Di notte sono presente, di giorno sono presente". Il capo di Guiendé è colui che è pronto a combattere sia di giorno sia di notte (2).

Il potere regale del Sovrano e dei suoi subordinati

Questo racconto, lascia intravedere qualche cosa di interessante. I semplici capi di villaggio, abitualmente non portano, tra le diverse insegne del potere, gioielli che evocano il sole. Come regola generale il simbolo del sole è riservato al re. Gli anelli dei capi villaggio e dei famian bona, rappresentano quasi sempre delle stelle.
Ciò ha una ragione. Infatti solo il potere del re è risplendente come il sole. Gli altri sono solo poteri subordinati. Sussistono grazie al potere regale e, in qualche modo, ne dipendono. Il loro splendore non è comparabile né può essere comparato allo splendore del sole, cioè al potere regale che è al di sopra di tutto e di tutti.
Nana Bonzou il de l'indenié riassume così il suo potere: “ Dopo di me c'è solo Dio sulla terra” (3)

L'entourage del sovrano

In attesa dell'arrivo del sovrano poco a poco tutti si riuniscono nel cortile esterno. A fianco del parasole regale, La lettiga reale attende il suo signore. Attorno sei bambini, tre con code di elefanti, tre con code di cavallo. Sventagliano regolarmente l'amaca cacciando eventuali presenze funeste che potrebbero turbare lo svolgimento delle cerimonie.

Le vergini

Verso la fine del mattino, una ragazza (4) esce dal cortile interno portando sulla testa il seggio ancestrale. Si pone al centro del cortile, sotto un parasole. Poco dopo, altre due ragazze si aggiungono alla prima: portano i feticci.
I feticci sono collocati in piccoli bacili. All'interno si può notare del caolino, gusci d'uovo e arachidi: rimanenze di vecchi sacrifici
Per quanto riguarda l'interno delle zucche si possono fare solo supposizioni. Gli informatori si limitano a dire: “all'interno c'è della polvere d'oro”. E' possibile che ciò sia vero, conoscendo il posto che occupava l'oro presso gli Akan (5).
Le tre ragazze sono allineate sotto un parasole. Le due ragazze con i feticci sono vestite unicamente con un kodio: un collare di perle attorno alle reni al quale è annodato un perizoma rosso che, partendo dall'addome passa tra le gambe per annodarsi dietro la schiena. Il tutto è ricoperto con due pezzi di tessuto rosso che scendono davanti e dietro (6).
Questo abbigliamento rivela il loro stato. Sono delle vergini e devono essere vergini (7). Soltanto ragazze vergini hanno il diritto e il privilegio di portare i feticci del capo, carichi di potenza e di forza magica. Il loro abbigliamento indica che “non hanno ancora perso il pudore”, secondo l'espressione tradizionale, che sono dunque in uno stato di purezza rituale, e conseguentemente possono compiere questa mansione. Una volta si diceva che, se le ragazze non erano vergini sarebbero state folgorate dalla potenza rinchiusa in queste temibili sacra, quando avrebbero toccato i feticci (8).

Le donne dei bacili

Nel frattempo, nel cortile sono arrivate altre persone. Una ragazza porta un bacile con degli ignami che saranno lavati alla sorgente. Una parte servirà per i riti sacrificali che seguiranno, il rimanente sarà mangiato dal capo e dal suo entourage.

Portare altrove il male

Un'anziana donna ha un grande catino pieno di spazzatura di casa. Il contenuto sarà disperso nella foresta quando si sarà arrivati alla sorgente. Con questo gesto, si vuole significare e realizzare nello stesso tempo la purificazione del villaggio ottenuto grazie alla eliminazione simbolica di tutto il sudiciume, di tutte le sporcizie, di tutto il male, che si sono accumulati durante l'anno trascorso.

Prepare l'acqua lustrale

Un'altra donna ha in un catino una tunica bianca e un pagne bianco. Altre due donne portano un bacile pieno di foglie, di erbe speciali, raccolte appositamente nella foresta, da persone esperte, per preparare l'acqua lustrale che servirà durante tutta la cerimonia. Con le erbe ci sono anche dei piccoli rami di agnan, che saranno utilizzati per aspergere la folla.
Non si è potuto identificare le erbe. Solo di una si possiede il nome scientifico: l'agnan, il costus albus. Con un termine generico, queste erbe sono chiamate “erbe vigorose” (kekeleke).

La proprietà delle erbe

La "forza" delle erbe farebbe allusione alle loro proprietà medicinali. Sono piante utilizzate regolarmente dal komian, il prete veggente guaritore e servono sia per curare sia per avvelenare.
Oltre a queste proprietà, i rami d'agnan sembra abbiano virtù particolari e propie. Questo arbusto viene sovente utilizzato nelle cerimonie in onore delle divinità locali. Per esempio, durante la festa dell'igname in onore di Tano. Sembra possedere un potere catalizzatore. Durante le danze mbgala – danze eseguite dalle donne per cacciare la sfortuna, le malattie, la morte – si trascinano i rami di questo arbusto nelle strade del villaggio per “scopare” la malattia e buttarla fuori del villaggio.
Anche durante i funerali, nella cerimonia bè ko fua fie, si utilizzano questi ramoscelli allo stesso modo per fermare il womin, lo spirito del morto e allontanarlo definitivamente dalla sua piantagione.
Alcuni informatori assicurano che, il numero di queste erbe forti che servono per preparare l'acqua lustrale è “più di 200” (9). Altri sono più modesti. Le erbe sarebbero solo 49 (10).
Queste erbe forti si trovano anche presso i Baoulé. Servono per preparare medicinali o acqua lustrale (11).
L'ultimo personaggio che esce dal cortile è il balafo , il carnefice della corte. Si vedrà in seguito il suo ruolo di sacrificatore.

Gli abuluwaa

Le donne con i bacili così come il carnefice, appartengono alla categoria degli abuluwaa. Queste persone, si trovano in tutti i villaggi sia abron, sia bona. Durante la festa dell'igname hanno le stesse funzioni quasi dappertutto.
Il termine abuluwaa designa la classe dei figli degli schiavi. Lo schiavo stesso, cioè la persona che è acquistata con moneta di scambio (generalmente polvere d'oro), è chiamata kanga. Se il kanga sposa una donna della sua stessa condizione, i suoi figli non sono più dei kanga, ma degli abuluwaa. Mentre se un uomo libero sposa una delle sue schiave, il bambino nato da questa unione è chiamato dasua baa, figlio della stanza da letto.

Le varie funzioni degli abuluwaa

Alla corte del loro padrone gli abuluwaa potevano assumere funzioni varie e importanti. Come fa notare C.H.Perrot:
Il padrone teneva al suo fianco il suo schiavo preferito. Al quale affidava lavori domestici e poteva diventare il suo uomo di fiducia. Altre funzioni erano meglio definite. Il somanfwè era il messaggero. Accompagnava i cacciatori di elefanti e portava il cofanetto contenente la polvere da sparo. Portava al villaggio la proboscide dell'elefante abbattuto affinché il capo, così avvertito, mandasse degli uomini di rinforzo per uccidere l'elefante e seccare sul posto i pezzi di carne. Il ninghesoafwè portava i bagagli del suo padrone che seguiva dovunque. Il botilasanve era il guardiano delle chiavi e il kokoabofwè il banditore pubblico (12). Ma una delle funzioni più importanti, sebbene effimera, era l'accesso al potere alla morte del sovrano. Sin dall'annuncio delle morte del re, gli abuluwaa entravano in possesso della corte regale. Il loro capo, l'abuluwaahene, diventa re e si impossessa di tutte le insegne del potere. Questa inversione di potere tra liberi e schiavi, dura tutto il periodo dell'interregno. Si è potuto costatare ancora ciò alla morte del famian Kwadio Nghettia nel 1977 a Koun Banoua(13).



1) Il racconto allude a una delle innumerevoli guerre degli Abron. E' difficile ammettere che fu una guerra contro i Kulango di questa regione. Arrivando sui luoghi gli Abron si sono imposti ai Kulango senza troppa fatica. Gli Abron furono invece spesso in guerra con i Kulango di bouna, ma molto meno con quelli di Bondoukou. Si tratta allora di rappresaglie contro minoranze in rivolta? Non si può sapere con esattezza.
2) Sembra che tutti i capi abron e bona dicano la stessa cosa.
3) C.H..PERROT, Gli Anyi-Ndèniè e le pouvoir aux 18ème 19ème siècles, Ceda 1982, 106.
4) Il seggio ancestrale può essere portato indifferentemente da ragazzi o ragazze. Nel 1972 era una ragazza, nel 1973 un ragazzo.
5) L'oro era il simbolo, per eccellenza, della ricchezza e del successo sociale di tutte le corti akan, anche se molto piccole. Ancora ora gli anziani dei villaggi di Tankessé, Koun Abronso, Ngorato, mostrano i pozzi dispersi nella foresta, dove i loro padri andavano a cercare l'oro. Questi pozzi possono essere profondi 40 metri e non sono protetti. Con un po' di fortuna si può trovare in questi pozzi della selvaggina. Viene citato il caso di Kwadio Badou che avrebbe trovato 12 cinghiali nei pozzi dispersi nelle sue piantagioni. Ogni capo di corte possiede il suo adja familiare. Se il capo è di un livello superiore, capo d'abusuan, capo di villaggio, re, il suo adja è costituito da un sacchetto di polvere d'oro e da una serie di pesi “destinati a pesare l'oro delle imposte, dei tributi, delle multe per crimini di ogni genere, e dell'oro destinato ad acquisti importanti”. I pesi e i diversi oggetti sono avvolti in un pezzo di tessuto spesso, il tutto avvolto in una pelle proveniente da un orecchio d'elefante. Cf. G. NIANGORAN BOUAH, Symboles institutionnels chez les Akan, l'Homme, gennaio-giugno 1973, 211. L'adja è ancora chiamato sana, e il suo guardiano sanahene.
6) Le ragazze con questo abbigliamento si trovano in tutti i villaggi la sera della festa dell'igname. A partire dal pomeriggio, verso le ore 16, le ragazze che “non hanno ancora perso il pudore”, cioè, che non hanno ancora conosciuto il ragazzo, passeggiano per le vie del villaggio con lo stesso abbigliamento e danzando munufie maa. Passano di casa in casa sollecitando la generosità di coloro che incontrano.
7) Nel 1974 le due ragazzine che portavano i feticci erano molto piccole. Potevano avere tra i sei e gli otto anni.
8) Questa credenza è confermata dalle cerimonie che seguiranno. Fra breve il feticcio manifesterà la sua potenza di fronte a tutta la folla riunita.
9) Informazione di Badou Noel di Ngorato.
10) Informazione di Yao Kossonnou Joseph di Pambariba.
11) Cf. F. LAFARGUE, L'amwi Goli, Cahiers des religions africaines, n. 9 (VI), janvier 1971, 118,122,133. Dello stesso autore: Le komyen chez les baoulè, ib. N. 10, juillet 1971, 246
12) C.H. PERROT, Hommes libres et captifs, cit. 491.
13) Per questi argomenti vedere: C. H. PERROT, Be di murua, cit. 434 e ss. Vedere anche dello stesso autore: Hommes libres et captifs, cit. 489-490, e 492-494.
Sul rituale di inversione sociale presso gli Abron e i Bona cf. J. P. ESCHLIMAN, Funerali e intronizzazione del capo di Transua nella Costa d'Avorio, in “SMA”, XII (1972), n. 48, 11-14. Si può anche consultare utilmente G. BALANDIER, Anthropologie politique, PUF 1969, 139 e ss. L'autore ricolloca questi rituali d'inversione nella concezione più vasta del potere, analizzando i ritorni agli inizi e le ribellioni rituali.