Oltre alla grande ricchezza di contenuti,
quello che colpisce in Kaydara, è la bellezza
formale del testo"che passa come un filo
d'oro lungo tutta la trama del racconto e lo fa
scintillare col fuoco delle sue immagini e dei
suoi ritmi." E proprio queste immagini
poetiche, frutto di ispirazione antica,
costituiscono un linguaggio simbolico che trova
echi e riscontri nel nostro inconscio e sono il
punto di partenza per una riflessione, molto
semplice ma speriamo altrettanto interessante,
che vuole andare, oltre il gusto di un passatempo
piacevole, a scoprire fonti di rivelazione
insospettate. L'idea è di aprire ad altre
esperienze, allargare gli spazi della ricerca
interiore, mettere in comunicazione tempi e
atmosfere diverse, costruire possibili ponti. Si
sa infatti che la creazione artistica è una
filiazione diretta di quello che in ogni epoca
l'uomo fa scaturire direttamente dal cuore e che
esiste una relazione fra i processi che
provengono dall'inconscio e le immagini che ne
risultano.
Il romanzo di Kaydara, di cui presentIAMO un'ampia selezione, appartiene a quel
genere di opere che hanno le radici nelle
rappresentazioni collettive della popolazione che
le ha tramandate. Il fine principale del viaggio
iniziatico che Hammadi, il protagonista di
Kaydara, porta a felice compimento, è la piena
realizzazione del suo essere uomo. Ciò avviene
mediante un itinerario universalmente
percorribile, perché nell'anima umana, in
generale, esiste l'impulso alla ricerca di una
meta che si traduce in un confronto dialettico,
spesso drammatico, tra la coscienza e
l'inconscio, cioè fra quello che conosciamo e
quello che dorme dentro la nostra anima.
Per ampliarne la comprensione, noi vogliamo
avventurarci in un percorso che vada oltre la
comprensione di un significato simbolico già
sufficientemente svelato dal testo.
Lintento è quello di mettere a confronto
immagini archetipe che sono patrimonio comune di
tanta parte dell'umanità fin dall'epoca
primordiale "che vide indurirsi le
montagne", con la grande impresa alchemica
considerata a sua volta come una peregrinazione,
un'odissea, molto simile alla spedizione degli
Argonauti alla conquista del vello d'oro.
Di primo acchito può sembrare azzardato dare
una lettura di tipo psicologico avvicinando la
simbologia peul, così originale e così legata a
una cultura molto differente dalla nostra, a
quella degli alchimisti medievali, apparentemente
preoccupati a studiare solo le reazioni chimiche
dei metalli. Ma è indubbio che il fattore
principale che lega queste due concezioni è la
congiunzione oro-conoscenza. Così come Kaydara
è il dio dell'oro e della conoscenza anche per
gli alchimisti l'oro è il simbolo della massima
saggezza.
Questi proclamano con convinzione, come
scrive il Rosarium philosophorum, che
"Aurum nostrum non est aurum vulgi",
il nostro oro non è l'oro del volgo, ma è l'oro
filosofale, l'acqua divina, la pietra, per citare
solo alcuni degli appellativi che ne indicavano
la natura sublime e inafferrabile. Dal canto suo
la saggezza peul puntualizza che l'oro materiale
donato dal misterioso Kaydara, "è solo il
basamento del sapere" ma che l'essenza del
dio, è "quella di colui che si cela nella
polvere, che sta sulla pietra, che folleggia
sulla sabbia bianca, ecc... " è quella
cioè di essere presente in ogni anfratto della
materia. Il che non è una ripetizione inutile
dell'inventario dei simboli nel momento in cui
Kaydara svela la sua natura ad Hammadi, ma la
successione degli elementi che bisogna
attraversare per raggiungere l'oro: polvere,
pietra, sabbia bianca, laterite, ghiaia, argilla,
quarzo, sabbia nera, e il "nara"
l'ultimo strato. Come è noto il famoso opus
degli alchimisti consisteva proprio in una
successione di prove, per lo più segrete, fatte
in laboratorio, che dovevano produrre l'oro
perché la loro intenzione era quella di trarre
dalla prima materia lo spirito divino. Bisogna
oltretutto tener presente che Kaydara, essendo il
dio dell'oro, è anche il dio della terra in cui
quest'oro è custodito e infatti il suo regno è
quello del paese sotterraneo dei nani, ma che la
vera saggezza risiede in qualcosa di
inesprimibile simbolizzato nella magnifica
visione di Kaydara stesso che, alla fine del
racconto, entità luminosa dalle ali d'oro, si
alza maestosamente nello spazio. In questa
immagine Kaydara realizza l'unione dei contrari,
è la personificazione di materia e spirito. Allo
stesso modo gli alchimisti medioevali nell'
eseguire in laboratorio processi tanto complicati
quanto vaghi che costituivano per loro la base
pratica, tendevano alla realizzazione dell'uomo
spirituale, mediante l'unione dello spirito con
la realtà materiale, attraverso la reciproca e
misteriosa trasmutazione.
Ne consegue che le avventure vissute dai tre
personaggi di Kaydara, irte di difficoltà e di
prove misteriose esprimono, come le concrete
operazioni alchemiche, un medesimo travaglio
interiore e sono al pari di queste un linguaggio
simbolico mediante il quale si manifesta
l'universale aspirazione alla presa di coscienza
ossia a un processo di individuazione.
Il concetto è identico, la diversità sta
solo nelle rappresentazioni immaginifiche dovute
alla diversa cultura, ma un punto è certo: la
meta è l'unione dell'essenza e della sostanza.
ll paese dei nani è il regno
"nascosto" che evidentemente allude
all'inconscio. Il viaggio dei tre protagonisti,
Hammadi, Hamtoudou e Dembourou, presenta già
dall'inizio le caratteristiche del viaggio
iniziatico, tipiche della tradizione africana,
frammiste ad aspetti più marcatamente
psicologici.
L'esperienza che Hammadi e gli altri stanno
per compiere è di quelle primordiali, comune
agli uomini di tutti i tempi e di tutte le razze,
avviene perciò in un tempo mitico: "quando
i geni finivano di tracciare il letto dei fiumi e
le montagne si stavano indurendo" Secondo il
mito della genesi, le montagne erano in origine
tenere come il burro e Gueno, il dio supremo dei
peul, donò al sole, che era inizialmente
l'occhio stesso di dio, l'energia necessaria a
indurire le montagne con l'intensità del suo
sguardo. Non si può non rilevare la similarità
dell'analogia sole-occhio con quella del pensiero
greco antico che era spiegata con la presenza in
entrambi del fuoco che passa dall'uno all'altro
come un fluido e che alludeva alla correlazione
fra intelletto e Bene supremo intelligibile e
alla parentela fra l'anima umana e le Idee
platoniche.
Hammadi, il protagonista, entra per così dire
in scena, abbagliato appunto da quello stesso
sguardo del re monocolo, fatto che prelude al
"rischiaramento" della sua anima che
gli apre la visione del mondo interiore. Dopo di
che, nulla di quel che accade appartiene più al
mondo visibile e razionale. Quel che avviene in
lui è un fatto mistico ed emotivo;
immediatamente ha delle allucinazioni sonore,
sente una voce che lo chiama a cui la sua
volontà non può sottrarsi.
Molto opportunamente Werewere fa riferimento
alla tecnica iniziatica consistente nel fissare
il sole (fosfonismo solare) che stimola la
liberazione di facoltà extranormali, utilizzata
da diverse popolazioni del pianeta, fra le quali
cita i Mossi del Burkina, i Senufo della Costa
d'Avorio, i Pigmei del Camerun e i popoli pastori
e nomadi e quindi i Peul. Pare che questa tecnica
favorisca la chiaroveggenza, le facoltà uditive,
un'immaginazione e una capacità di
memorizzazione straordinarie.
Come spesso nelle fiabe, all'inizio i
protagonisti del racconto sono tre, non tre
fratelli, ma tre amici che possiedono ognuno una
diversa natura come risulta dai loro nomi. E si
sa che il nome in Africa ha un'estrema
importanza: ci spiega Hampate Ba che presso i
Peuls i bambini hanno due nomi, uno normale e
l'altro religioso utilizzato nei riti e nelle
iniziazioni. Hammadi è nome iniziatico del
prototipo dell'eroe, lo stallone; è conosciuto
in tutto il villaggio e si fa conoscere
immediatamente nei villaggi che visita. Hamtoudou
e Dembourou sono invece nomi di servi, ne
consegue che dal principio del viaggio esiste una
differenza fra i personaggi che si ripercuoterà
sul loro comportamento futuro, secondo la
mentalità tipica delle società basate sulla
diseguaglianza, per cui solo Hammadi si
comporterà con animo nobile e gli altri
manifesteranno sentimenti vili.
Anche la reiterazione del numero tre, o dei
suoi multipli, presenta aspetti simbolici molto
interessanti . Tre strade, tre amici, uniti in un
triangolo, come le tre pietre del focolare
domestico e poi ancora una pietra triangolare di
nove cubiti di perimetro e tre di lato, una scala
di nove gradini ed infine tre buoi carichi di
vivande. Il tre è una cifra esoterica molto
importante nell'iniziazione peul: "Il tre è
il prodotto dell'incesto di "lui e la sua
carne" perché l'unità è ermafrodita e
copula con se stessa per riprodursi "; ne
consegue che il focolare domestico formato da tre
pietre messe a triangolo è un luogo sacro e
viene chiamato la matrice della madre: "il
focolare dove cuoce il bambino";
analogamente quello di cui si parla, quando i tre
amici si incontrano, diventa il luogo dove si
cucina il sapere. I simboli ternari sono quelli
in cui il terzo termine è l'indicatore degli
altri due, come il bambino indica le sue due
estremità, il padre e la madre, perché
rappresenta il loro angolo comune o come l'acqua
tiepida che indica le sue due estremità, l'acqua
calda e quella fredda.
Anche l'assioma centrale dell'alchimia, quello
di Maria Prophetissa recita. "L'Uno diventa
Due, i Due diventano Tre, e per mezzo del Terzo,
il Quarto compie l'Unità".
Hammadi e i suoi due amici sono, per così
dire, talmente avvolti in questa triade di
elementi proprio nel momento in cui si ritrovano
al crocevia e si apprestano a discendere nel
regno dell'invisibile, che saremmo tentati di
dire che in questo primo stadio dell'avventura
Hammadi sia confrontato con altre due diverse
possibilità che sono in lui e che rappresentano
i lati più oscuri del suo carattere da cui, come
abbiamo visto, sarà liberato nel corso del
viaggio. Superando gli opposti Hammadi ritroverà
l'unità, il tre ridiventerà uno. Nella
tradizione peul l'essere umano è infatti il
crocevia delle forze vitali, una sintesi
dell'universo, chiamato a diventare il punto
d'equilibrio delle varie dimensioni che sono in
lui.
Quando si intraprende un viaggio tanto
impegnativo ci si stacca da tutto, si abbandona
la tranquillità di ciò che fino a quel momento
si conosceva, si lasciano gli affetti, la
famiglia, gli amici. Ci si deve in un certo senso
sbarazzare del superfluo e purificarsi. La prova
da superare e l'olocausto del formichiere
rappresentano un aspetto della tradizione sia
rituale che psicologico. La strada verso la vetta
è tutta in salita e richiede impegno continuo.
La pronta adesione all'ordine della
"voce" di catturare un animale
selvatico in corsa è il segno che si riconosce
la necessità di uno sforzo individuale.
L'olocausto dell'animale "carico di potenze
occulte e di influenze pericolose", bruciato
a fuoco lento e quindi ingoiato dal fuoco del
cielo, simboleggia che una parte di sé , quella
più materiale e più vile, deve essere
sacrificata per poter intraprendere il viaggio.
WereWere parla della transizione da un corpo
pesante a un corpo più sottile in grado di
intraprendere un viaggio sotterraneo, un viaggio
interiore aggiungiamo noi. Questa metamorfosi
avverrà grazie a un'alchimia simbolica
evidenziata dal sacrificio del formichiere
"su un grande fuoco" e dalla
"purificazione dei luoghi del sacrificio
dove non dovranno rimanere rifiuti di alcun
genere" (perché tutto ciò che Gueno non
accetta deve ritornare alla terra). Sembra
evidente, aggiunge, che i tre siano degli
iniziandi, perchè fin dall'inizio del racconto
sono sottomessi a un trattamento
"alchemico" suscettibile di provocare
delle metamorfosi profonde dell'individualità. E
si riferisce qui all'allucinazione solare di cui
abbiamo parlato sopra.
L'accesso al mondo sotterraneo avviene attraverso una pietra piatta e triangolare, di tre cubiti di lato con una faccia bianca e l'altra nera, che si apre su una scala di nove gradini con la parte bianca, per significare che ai tre viaggiatori non sarà svelato il significato dei simboli. Il lato bianco della pietra rappresenta infatti la scienza essoterica alla quale tutti possono accedere, quello nero la scienza esoterica, la più segreta, destinata agli iniziati. I nove gradini corrispondono alle nove aperture del corpo umano mentre il triangolo è ancora un richiamo alla triade peul di base. La pietra allude ancora ai tre regni: le due facce sono il regno della luce e dell'oscurità mentre lo spessore della pietra è il regno della penombra. Nell'iniziazione il discepolo chiede: "Come faccio a passare dall'oscurità alla luce senza rivoltare la pietra ?" Il maestro risponde: "Devi trasformarti in olio di rospo" perché l'olio di rospo penetra attraverso la pietra e nello stesso modo l'uomo non ha bisogno di spostare le cose per poterle penetrare con la sottigliezza del suo spirito in tutta la loro profondità. Questa pietra è dunque il simbolo del mondo, simbolo di due scienze, porta della "via" in quanto è il limite fra il paese dei vivi e il paese dei nani di Kaydara. E per finire la pietra è la prima forza della cosmogonia peul dalla quale usciranno le altre dieci che costituiscono le forze terrestri.
Inizialmente si avverte un richiamo fatale come di "una voce altissima che fende lo spazio" che spinge verso una meta, ma la strada rimane a lungo tortuosa e irriconoscibile per poi divenire sempre più chiara. E' il percorso psicologico che WereWere mette in evidenza nella sua analisi di Kaydara. La conoscenza parte da una base essenzialmente materiale, quasi corporea, passa attraverso fatiche fisiche, la stanchezza, la fame, la sete, ed emozioni primordiali, la paura, lo stupore, l'ira, per poi affinarsi e divenire a poco a poco sempre più astratta attraverso fasi quali la formulazione di pensieri a cui dare risposte attraverso il delinearsi di una volontà che sceglie e si orienta secondo la propria responsabilità. Mentre i due compagni Hamtoudo e Dembourou non saranno in grado di sviluppare la coscienza adatta al compito intrapreso e ne verranno tragicamente travolti, quella di Hammadi diventa sempre di più un "maestro interiore" che lo aiuta a discernere l'essenza delle cose e quindi a cogliere in sé la scintilla divina accesa con il contatto con Kaydara. Effettivamente questo è l'iter che Hammadi compie ma più che al "cosa " vorremmo soffermarci sul "come " cioè sulla veste formale del racconto per cogliere nelle immagini primordiali, se possibile, relazioni e significati sempre più profondi. Poiché le fantasie dell'inconscio personale sono in sintonia con le manifestazioni dell'inconscio collettivo (e Kaydara è certamente opera artistica, personale ma ispirata a un sentire collettivo) non è sorprendente notare l'analogia di certe idee alchemiche con quelle che emergono dalla tradizione peul, fatto che postula una certa identità nella visione del mondo. Fuoco, acqua, terra, aria, sono quattro attori del dramma che fin dalle prime fasi del racconto interpretano un ruolo determinante nelle avventure dei nostri amici. Lo stesso Hampate-Ba, insegna che l'uomo è un essere complesso abitato da una molteplicità di forze in continuo movimento, come l' universo di cui è il diretto riflesso, ed è infatti chiamato "tutto in uno". Che i quattro elementi che costituiscono il macrocosmo, interferiscano significativamente anche nell'evoluzione spirituale dell'uomo, appare chiaro nei vari simboli che i nostri eroi incontrano nell'inconscio, nel paese sotterraneo dei nani. Il fuoco diventa così l'occhio che illumina o il toro infuriato che tutto distrugge, il camaleonte allude alla terra che si trasforma in continuazione, e l'aria appare sotto la forma del pipistrello, che indica l'unità degli esseri e la loro alleanza; mentre l'acqua infida e pericolosa è rappresentata dallo scorpione, quella benefica si cela invece nel piccolo buco d'acqua che sempre disseta.
Anche nel paese dei figli di Adamo, ossia nel
regno della coscienza, gli elementi fanno parte
di un tutto animato dalla legge che li tiene in
opposizione fra loro. Di qui i drammi e le
passioni che nascono dal dualismo delle forze
contrastanti che albergano nell'animo umano e nel
suo spirito. Il fuoco che sprigiona e s'infiamma
brillando ed infine si spegne esprime gli stati
delle varie persone psichiche che emanano dallo
spirito stesso. Questo fenomeno crea
l'immaginazione che diventa capace di visioni, e
"concretizza l'astratto".
Ecco allora che quando Hammadi e i due amici
si separano - il primo seguendo il consiglio del
piccolo vecchio serpentiforme che vietava di
intraprendere un viaggio durante i pomeriggi
della stagione delle piogge, gli altri due decisi
comunque a proseguire, completamente sprezzanti
del consiglio - la battaglia interiore a cui
evidentemente si allude, viene proiettata
attraverso una varietà di immagini di grande
effetto con la personificazione degli elementi
che si oppongono e si attraggono.
In primo luogo è di scena il fuoco:
"Baylo Kammu, il fabbro del cielo, che
cavalcava al tramonto il suo stallone aereo, una
massa di nubi leggere... mise in azione i mantici
della sua fucina e di mano in mano che il fuoco
si accendeva, il calore sulla terra diveniva
sempre più soffocante..."
Poi subentra l'acqua: "Delle nuvole di
servizio attraversarono lo spazio per andare alla
fontana celeste ad attingere una gran quantità
d'acqua con cui si riempirono fino all'orlo...
nuvole ubriache d'acqua che avrebbero urinato e
vomitato sulla terra per punirla delle sue colpe
nascoste".
E ancora il fuoco: "Baylo-Kammu si mise
al lavoro...battendo sull'incudine faceva
sprizzare le scintille...dei lampi si
ramificavano come i rami di un immenso albero che
discendevano fino a terra...dei bagliori
fosforescenti si frantumavano come le perle di
una collana misteriosa che una forza sublime
sgranava con distrazione fra cielo e terra."
Altri due opposti: "Scoppiò l'uragano.
Il cielo attaccò la terra da tutte le parti con
i suoi colpi di vento, le sue trombe d'acqua, le
sue artiglierie di fulmini".
Interviene l'Aria: "...una mano
misteriosa liberò i piedi del vento dai lacci
che lo tenevano. L'aria liberata cominciò a
mormorare agli alberi dei boschetti, carezzando
dolcemente le foglie, quelle mille orecchie che
tendevano i rami per meglio percepire la canzone
di zefiro. Ma, bruscamente il diavolo speronò
l'aria che si impennò. Aprì le tre porte delle
sue guarnigioni, quella di levante liberò
Tifone, quella di ponente diede voce a Tromba,
quella del centro disse a Tornado:"Esci e
attacca". I tre venti si mischiarono, si
misero a rumoreggiare, a muggire e a girare ad
una velocità vertiginosa. Si infilarono
dappertutto sollevando le cose leggere,
arrampicandosi su quelle alte e pesanti. Alla
fine ciclone partorì Burrasca. Questo figlio
violento si mise a sradicare alberi e a spezzare
i picchi ripidi delle montagne Allora Tornado si
mise al comando e Raffica sventagliò le sue
cariche in rapida successione."
E alla fine anche la Terra: "La Terra
sembrò alzarsi verso il cielo che scendeva basso
al suo incontro. Fra i due grandi spazi, uomini e
bestie e oggetti erano come fuscelli su un mare
furioso."
Gli alchimisti, fa notare Jung, non
comunicavano con tanta maestria le loro idee, in
compenso le proiettavano in illustrazioni e
disegni che chiarivano concetti difficilmente
esprimibili. Il tema alchimistico si basava su
una visione della realtà essenzialmente simile a
quella peul e si sviluppava in un contesto
storico-religioso in cui era vivo il problema
dell'antinomia fra bene e male: "Gli
elementi infatti sono disposti in forma
circolare, come ritiene Ermete; ognuno di loro è
circondato da altri due con cui esso si accorda
in una delle loro qualità che gli sia propria,
come per esempio la terra si trova tra il fuoco e
l'acqua; essa condivide con il fuoco la secchezza
e con l'acqua il freddo e così via (...) L'uomo
dunque che è l'immagine del macrocosmo e che
perciò viene chiamato microcosmo o piccolo mondo
(così come il mondo, che è fatto a somiglianza
del suo archetipo ed è composto di quattro
elementi, viene detto il Grande Uomo), ha
anch'esso il suo cielo e la sua terra. Infatti
l'anima e l'intelletto costituiscono il suo
cielo, mentre il corpo e i sensi sono la sua
terra. Conoscere il cielo e la terra di un essere
umano è esattamente lo stesso che avere la
conoscenza piena e completa del mondo intero e
delle cose della natura."
E' la stessa concezione del dualismo
fondamentale della natura di cui parla Hammadi:
"La vita e la morte sono in noi e lottano
l'una contro l'altra, come l'acqua lotta contro
la terra e la terra contro l'acqua "...
basato sulle opposizioni pertinenti (caldo
freddo, umido secco, cielo terra, maschile
femminile, fuoco acqua, bene male, vita morte,
ecc.) che "si fronteggiano ostilmente o si
attraggono amorevolmente l'un l'altro", come
nel caso della coppia ermafrodita dei due alberi
gemelli.
Le possibili combinazioni, come abbiamo visto
sono ternarie o quaternarie, sia per gli
alchimisti che per i peul. I quattro elementi, le
loro quattro proprietà, i punti cardinali , i
contrari in natura, si cercano, si attraggono e
si respingono ma presentano sempre una certa
instabilità fra il tre e il quattro.
Per quanto riguarda lo sviluppo psichico
dell'uomo, legato inevitabilmente alle sue
credenze culturali o religiose, il problema è
quello di saper padroneggiare i propri contrari e
arrivare all'unione.
"Noi andiamo verso la disgiunzione, verso
la putrefazione, verso il ritorno alla sorgente,
noi siamo delle creature create, ma anche dei
creatori creati (...) noi andiamo verso Kaydara,
il lontano e vicinissimo Kaydara.." dice
ancora Hammadi; l'essenza della coscienza, fa eco
Jung, è la distinzione: per realizzare lo stato
cosciente, occorre separare i contrari e questo
"contra naturam". Nella natura i
contrari si cercano e così anche nell'inconscio,
particolarmente nell'archetipo dell'unità, nel
Sé. In questo, come nella divinità, i contrari
sono superati. Ma non appena l'inconscio si
manifesta, comincia la loro scissione, come nella
creazione: poichè ogni atto di presa di
coscienza è un atto creativo, e da questa
esperienza psicologica hanno origine i più
svariati simboli cosmogonici.
Inizialmente le fasi del processo alchimistico
erano caratterizzate da quattro colori originari,
quattro come gli elementi (terra, acqua aria
fuoco) e le loro qualità (caldo, freddo, umido,
asciutto) più tardi i colori furono ridotti a
tre: nero, bianco, rosso. La "nigredo"
era la prima fase e consisteva in una separazione
o divisione o putrefazione della materia dalla
quale si passava poi all'"albedo",
all'imbianchimento, mediante il passaggio da
tutti i colori al bianco e con questo alcuni
autori ritenevano di aver raggiunto la meta
definitiva, in realtà questo era lo stato
argenteo o lunare che però doveva ancora essere
innalzato allo stato solare. L'"albedo"
è l'alba ma solo la "rubedo" è il
sorgere del sole.
Tenendo conto di queste considerazioni,
risulta abbastanza chiaro il parallelo tra i due
processi.
In Kaydara, dalle parole stesse di Hammadi si
possono evidenziare le tre fasi distinte: la
visione dei simboli che i tre protagonisti
sperimentano nel regno sotterraneo dell'inconscio
illustra l'esperienza della scissione dei
contrari che culmina, dopo l'undicesimo simbolo,
nella nigredo: i tre precipitano in un buco
"mostruosamente infetto" che , grazie
alla giusta "reazione", si trasforma
immediatamente in albedo, ossia nell'apparizione
dello stesso Kaydara. In questa occasione, come
in altre precedenti che vedremo più avanti, si
ha la dimostrazione pratica che nel dio
delloro e della conoscenza coesistono i
contrari: egli è contemporaneamente l'essere
mostruosamente infetto e quello che rappresenta
il Grande Uomo o l'anima mundi. Secondo la
tradizione peul, la stanza della putrefazione è
una prova destinata a far perdere ogni residuo di
materialismo agli iniziati che non devono
manifestare alcun disgusto, dominare le naturali
reazioni e sopratutto non lamentarsi. In questa
occasione Kaydara si presenta come l'allegoria
del cosmo che resta però ancora incomprensibile
ai tre. E' il grande sole che gira
incessantemente e che rappresenta la stessa
struttura del tempo, perché è il sole che
comanda il tempo.
La lunghissima via che "porta a
Kaydara" grazie alla quale si manifesta
l'uomo totale capace di unire l'esteriore con
l'interiore nascosto, è un''esperienza creativa
che richiede l'assenso incondizionato della
coscienza con l'anima. Il piccolo vecchio
mostruoso di sporcizia e di deformità è ancora
una volta la forma effimera sotto la quale si
veste il mistero, sia malefico che benefico,
mezzo privilegiato per nascondere le cose molto
preziose che richiedono uno sforzo notevole per
essere conseguite. In Africa tutte le deformità
e le anomalie sono cariche di significati
reconditi, e questo spiega il timore reverenziale
che la società africana ha nei riguardi dei
pazzi, degli storpi, e dei ciechi che vedono
l'altra faccia delle cose. Solo Hammadi realizza
l'albedo perché supera la repulsione istintiva
alle prove "costose" che la via verso
Kaydara richiede, sacrificando tutto per
conquistare la saggezza. Non a caso Kaydara, dopo
aver dato i tre famosi consigli al suo ormai
affezionato adepto, si manifesta all'alba
mediante l' immensa stella del mattino che
illumina la strada dell'est verso cui si dirige.
Ma è solo nella terza fase, nella rubedo, che
Hammadi consegue la vera saggezza con la
progressiva vicinanza/rivelazione della luce e
del sole. Il fatto che Kaydara venga a lui per
svelare il mistero dei simboli significa che la
rivelazione che si fa strada nella sua mente è
finalmente interiorizzata personalmente, è un
fatto psichico reale e non più osservato
dall'esterno. La luce che brilla ad ogni
rivelazione, simbolo dell'ignoranza vinta dalla
conoscenza, anticipa la rivelazione finale e la
visione esaltante del sole e della divinità.
Come per i Peul, anche per gli alchimisti, il
sole in quanto rappresenta la totalità è
considerato un'immagine di Dio. Nel trattato di
Maier, De circulo physico quadrato, si trova
l'idea che dopo milioni di rivoluzioni intorno
alla terra, il sole ha filato in essa l'oro. E
gradatamente ha impresso alla terra la propria
immagine. Questa immagine è l'oro. Il sole è
l'immagine di Dio, il cuore (e sangue come sede
dell'anima) è l'immagine del sole nell'uomo,
così come l'oro è l'immagine del sole nella
terra. L'oro è chiamato anche "deus
terrenus" e nell'oro si può discernere Dio.
Per i Bambara, come per i Peul, i Dogon, i Mossi,
gli Yoruba ecc., il sole, la cui forma è
immutabile, è l'emblema della forza suprema e
regale, troppo in alto perché gli uomini possano
raggiungerla e viene chiamato "l'occhio di
Maa Ngala" cioè locchio di Dio;
analogamente la luna è l'immagine dei cicli
della vita. Per la legge delle corrispondenze
l'oro è il simbolo del sole e l'argento quello
della luna.
Se analizziamo le apparizioni di Kaydara, il
dio dell'oro e della conoscenza, che è a sua
volta una delle manifestazioni di Gueno, il dio
supremo, constatiamo che sono la personificazione
della unità degli opposti e quindi della
totalità. E' significativo che Kaydara appaia
per la prima volta al nono simbolo come un
vecchio mezzo uomo, mezzo serpente. L'ibridità,
come altre deformità, è sempre carica di
significato nelle leggende africane perché
l'ordine naturale non può essere rotto
fortuitamente. Comunque anche in questo caso
esistono precise leggi: per l'essere mezzo
serpente, mezzo uomo, il fatto che siano i suoi
piedi ad essere animalizzati è un segno
favorevole perché è "superiore nella parte
superiore", ossia la sua testa è umana. Si
tratta quindi di un iniziatore che sottopone i
viaggiatori a una prova: questo piccolo uomo
difforme che procura il cibo ed è prodigo di
buoni consigli contrasta con i tre uomini nel
pieno delle forze che dormono mentre il vecchio
lavora e non sono nemmeno in grado di custodire
un gallo. Per gli alchimisti il serpente è il
principio che porta a compimento tutte le cose,
è la sostanza di trasmutazione per eccellenza la
quale porta a maturazione i corpi imperfetti.
"Esso (il serpente) penetra tutto perché
nasce da Edem e si scinde in quattro
principi": è il pensiero fondamentale
dell'alchimia che tutto provenga dall'Uno, che
quest'Uno si scinda in quattro elementi e che a
partire da questi quattro elementi si ricomponga
in unità."
In seguito Kaydara si presenta nella figura
archetipica del Vecchio Saggio (pag 125) nascosto
sotto le spoglie dell'essere più vile e
ributtante, che viene disprezzato dagli stolti
quando invece è la fonte più preziosa della
salvezza, come l'acqua di vita a buon mercato
degli alchimisti che tutti possiedono senza
conoscerne il valore, perché suppongono che la
fonte che hanno nella loro anima non sia
"altro che..." Tutto il progressivo
disvelarsi di lui è un codice di segni che deve
essere captato dall'iniziando, a partire dal viso
rivolto a est, cioè nella direzione del sol
levante, al completo controllo dei movimenti del
corpo che non è un esercizio gratuito ma, come
in tutte le ascesi, è un allenamento
"perché la padronanza del corpo facilita
quello dell'anima"; dall'impassibilità nei
confronti del saluto di Hammadi che stimola in
lui l'umiltà e la pazienza nella ricerca della
conoscenza, virtù molto apprezzate nella
società peul, alla esibizione di ogni forma di
esasperata anomalia coesistente in un sol essere,
l'accettazione della quale comporta una saggezza
iniziatica che può apparire vera follia al
banale metro del ragionevole buon senso. Ma,
ancora una volta, la compresenza di elementi
opposti, fantasiosamente rappresentati da un
piede che cammina sulla punta e uno sul tallone,
da occhi che guardano in direzioni contrarie e da
straordinarie malformazioni del corpo, indicano
che il vecchio incarna un archetipo psichico in
cui bene e male risultano uniti.
L'apparizione sotto forma di leone prima e di
acqua tragica poi, indica che questa sostanza
trasformante spazia dall'infimo al supremo,
dall'infantile animale arcaico all'homo maximus
mistico. Qui si rappresenta l'aspetto pericoloso
della materia prima; anche per gli alchimisti il
leone è un animale focoso, simbolo del diavolo,
la cui visione denuncia il pericolo di essere
divorati dall'inconscio e infatti Dembourou viene
sbranato dal leone in quanto non è ancora in
grado di realizzare quello che dovrebbe.La stessa
sorte capita ad Hamtoudo che viene inghiottito
dalle acque che sono lelemento che sta in
opposizione al fuoco. Altra incarnazione
emblematica è quella del "passatore"
che ha il compito di traghettare i "figli di
Adamo" sul fiume chiamato Saldu Keerol che
in lingua peul significa "biforcazione del
limite". Costui, ricevuto da Hammadi il
giusto pedaggio, come prevede la tradizione e il
secondo consiglio del vecchio anchilosato, dopo
averlo traghettato al sicuro, affonda la piroga
per evitargli qualsiasi possibilità di ritorno
al paese dei nani. Il personaggio, di cui non
viene data nessuna descrizione fisica, si mette
ad impastare il fango nero del fiume e a
inghiottirlo per divenire poi una torcia viva che
si trasforma a sua volta in un ciclone per
inabissarsi nei flutti, ed è evidentemente
unulteriore e sempre più esplicita
manifestazione del dio delloro e della
conoscenza. A un Hammadi svenuto per
lemozione, il dio farà ritrovare i nove
buoi carichi doro che erano stati
inizialmente consegnati ai tre viaggiatori.
Solo Hammadi dunque, che riesce a più riprese
a "vedere" Kaydara, può varcare la
frontiera che lo separa dal mondo visibile degli
uomini e a far ritorno, carico di saggezza, dal
fatale viaggio. Giustamente Hampate Ba fa notare
che non ci si addentra impunemente nel mondo
esoterico se non si è in grado di leggere i
segni e interiorizzare gli insegnamenti nascosti
perché si rischia di maneggiare una materia
troppo pericolosa per degli spiriti superficiali.
Tutto sommato sarebbe stato meglio per Hamtoudou
e Dembourou non essersi avventurati nel paese di
Kaydara in quanto, pur essendo degli uomini
coraggiosi, non avevano né la levatura
intellettuale né la grandezza morale per
affrontare un tale destino. La conquista
delloro esoterico è stata la causa della
loro rovina molto più che se non avessero
cercato di arricchirsi con i normali mezzi
riservati agli uomini. Fatto che giustifica, al
di là di ogni argomentazione di tipo
sociologico, la tendenza africana a conservare il
Sapere sotto il moggio, a diffonderlo cioè con
grande parsimonia, anche a rischio che vada
perduto, come di questi tempi, per trasmetterlo
solo a coloro che ne sono degni, perché solo
essi ne possono fare un buon uso. Si può capire
questa concezione conclude Hampate Ba -
che è evidentemente opposta a quella occidentale
moderna se si considerano certi usi disastrosi e
anchessi moderni di una "scienza senza
coscienza". Sarebbe opportuno aggiungere
unargomentazione di tipo psicologico
perché lesperienza vissuta dai tre eroi,
non bisogna dimenticarlo, è unesperienza
interiore, assolutamente individuale, dove il
pericolo consiste nel rimanere impigliati nei
meandri dellinconscio e non riemergere più
alla coscienza, di non riuscire in sostanza a
compiere lunione delluomo cosciente
con luomo inconscio che corrisponde
allunione dei contrari nella totalità del
Sé. Sussiste comunque anche un pericolo
contrario, quello cioè di prendere in
considerazione solo lIo cosciente negando
limportanza del lato sconosciuto della
nostra psiche.
La visione finale dell"essere
luminoso" che sale al cielo spiegando le
grandi ali dorate, assolutamente dissimile da
ogni possibile paragone a portata duomo,
descrive appunto lesperienza numinosa della
totalità che coincide con Kaydara stesso.
Limmagine è sufficientemente vaga per dare
lidea dellindescrivibile
indeterminatezza della totalità che Hammadi
finalmente esperimenta nella sua anima. Permane
comunque la contraddizione paradossale,
connaturale alluomo, che anche nel momento
della massima illuminazione, può cogliere solo
un barlume di mistero.
La vera conoscenza, come abbiamo visto, porta
fino a Dio e alla scoperta delle leggi che
reggono la vita, ma anche alla constatazione dei
limiti che sono imposti alluomo.
Abbiamo percorso un meraviglioso viaggio
nellimmaginario peul, rischiarato a volte
dai fumosi ed ermetici vapori alchemici, e
abbiamo avuto la possibilità di conoscere una
visione della realtà che afferma un dualismo
insito in ogni cosa e la legge ineluttabile della
natura che impone l annientamento reciproco
degli esseri e delle forze. Tutte queste visioni
affascinanti non sono ovviamente il prodotto
della esperienza fantastica di pochi singoli ma
il precipitato di tentativi operati, nel corso di
secoli, dallo spirito umano di "seguir
virtute e conoscenza". Pur nella estrema
ricchezza e varietà delle rappresentazioni
simboliche, esiste tuttavia un denominatore
comune - come ha dimostrato Jung nelle sue opere,
a cui noi abbiamo fatto continuo riferimento -
riconducibile al percorso individuale e
psicologico nel quale ogni adepto "getta sul
piatto della bilancia tutto il proprio essere per
raggiungere la meta trascendentale: realizzare
lunità." Il paradigma universale sia
per i riti iniziatici che per gli esperimenti
alchemici è quello di "eliminare il
distacco della coscienza dallinconscio che
è la vera e propria fonte di vita e di provocare
la riunione dellindividuo con la matrice
delle sue disposizioni ereditarie e
istintive." In Kaydara la coscienza di
Hammadi sperimenta un ampliamento continuo, la
redifinizione dei confini del proprio orizzonte,
porta alla luce quanto più inconscio possibile
fino quasi a vivere lineffabile vicinanza
col "numinoso". Tutto ciò ha richiesto
sacrifici e coraggio e dolore e sforzo
consapevole e ubbidienza. Ma la più importante
verità che luomo Hammadi scopre è
lintuizione della insopprimibile distanza
che lo separa dal divino e la propria conseguente
limitatezza. Kaydara, il cui nome significa
pressappoco "limite" o "fermati
qui", non lascia dubbi in proposito: di
fronte agli ingenui entusiasmi di Hammadi egli
reagisce con mossa fulminea per ristabilire le
opportune distanze.
Se questo è ancora il pensiero della antica
tradizione africana, come ci ha magnificamente
raccontato Hampate Ba, dal canto nostro, con
lavvento dellIlluminismo, abbiamo
negato quel dualismo che ancora sussisteva
nellidea alchemica e che fungeva da ponte
di congiunzione con la natura, cioè con
lanima inconscia, per dare ampio spazio
alla concezione scientifico-razionale dominata
solo dallIo cosciente. Questo ci ha portato
indubbi vantaggi ma il problema del conseguente
limite della scienza umana è stato lasciato,
come ben sappiamo, in sospeso.
nike morganti