In mezzo alle savane o alle foreste della Costa d'Avorio si possono scoprire dei tesori. Bisogna cercarli, ma ci sono.
In questo volume ne presentiamo uno, un grande artista della parola: Ayui Kwaku François, un narratore eccezionale e
straordinario. Quest'uomo non parla francese, ma conosce diverse lingue locali: abron, diula, ashanti, kulango.
Quando racconta lo fa in anyi, una volta sola si è divertito a narrare un testo in "petit français".
In questo volume sono raccolte una serie di storie narrate da lui stesso, ma in diverse sedute narrative.
L'originalità
della raccolta sta nel fatto che si è chiesto a Ayui Kwaku di commentare i suoi testi.
Per una migliore comprensione del personaggio e della sua arte, i testi vengono inseriti nel loro contesto originario.
Verrà dunque presentata una breve scheda sugli Anyi-Bona, una introduzione sull'autore inserito nella veglia narrativa,
con un cenno sul significato dei testi. In fondo al volume si troverà una conversazione con l'autore.
Questi testi non sono una rielaborazione letteraria, ma una traduzione fedele del testo orale originario.
Nel lavoro
di traduzione non ho mai esitato a consultare sia coloro che lavoravano con me, sia alcuni anziani di Koun Abronso, villaggio
dove abitualmente risedevo.
Desidero qui ricordare nana Albert Koabenan e nana Louis Kwame, che hanno spesso
chiarito testi oscuri, spiegato passaggi difficili.
Il lavoro di traduzione comporta tre passaggi: la trascrizione fonetica, la traduzione letterale, una traduzione più libera.
Qui viene presentato solo il testo finale.
La traduzione si sforza di essere fedele al messaggio del testo originario e cerca di conservare il carattere tipico dell'oralità:
stile, frasario della lingua anyi, suo periodare, immagini, ripetizioni, finezze del narratore, tempi dei verbi. Per questo il lettore
potrà trarne talvolta un'impressione di pesantezza.
Ma si è voluto di proposito presentare una traduzione il più fedele possibile
ai testi originali, anche a scapito della letterarietà.
Nello scritto, però, alcuni elementi si perdono: per esempio, le modulazioni
della voce, la mimica espressiva del narratore, il suo continuo dialogare col pubblico.
Come si vedrà più avanti benché il narratore parli a tutto il pubblico, egli dirige la sua parola sempre e soltanto ad una persona
scelta tra gli astanti che diventa così il suo interlocutore.
Colui che racconta parla per brevi frasi, riprese dall'interlocutore che
le rimanda al narratore sotto forma di eco, ritmando così tutto il suo dire.
Nella presentazione dei racconti è omessa la parte dell'interlocutore. La narrazione è trascritta come se fosse raccontata tutta
di seguito, senza le sequenze. Vengono invece tradotte le locuzioni nana (avo, vecchio, nonno), baba (papà), ndja (signore),
con le quali il narratore si indirizza all'interlocutore. Sono quasi sempre tradotte con "caro mio".
Anche per quanto riguarda i canti sono stati tradotti solo quelli che sono parti integranti del testo e non gli altri proposti dal
pubblico.
Il materiale qui proposto ha come scopo di far conoscere ad un vasto pubblico qualche tratto di culture che noi abbiano sempre
misconosciute o ignorate.
Non si dimentichi che la Tradizione Orale è la grande scuola della vita. In mancanza di libri l'insegnamento si trova nelle storie,
favole, miti, leggende. Non c'è un solo testo, una sola canzonetta, un solo proverbio, che abbia unicamente lo scopo di divertire:
ognuno cela un messaggio. La Tradizione orale, inoltre, sa mettersi alla portata di ogni uomo, parlargli secondo le sue capacità,
adattarsi alle circostanze, ai tempi, alla sua situazione.
Di fatto ogni storia è uno specchio dove ognuno può scoprire la sua immagine, perché tutti i personaggi hanno la loro
corrispondenza in noi stessi.
Per trionfare del male che è in noi, bisogna identificarlo, addomesticarlo per poi neutralizzarlo
ascoltando e riconoscendo la voce interiore che infonde coraggio per affrontare queste forze negative e distruttive.