La veglia narrativa

Nei paesi bona la seduta non è né unicamente seria, ne completamente ludica. E' una seduta che si situa a metà strada tra le due e che può essere chiamata seduta popolare. Ecco le caratteristiche.

1) Il narratore non è né travestito né truccato come nella seduta teatrale. E' seduto in tenuta normale in mezzo all'uditorio. Raramente si alza per mimare le azioni che evoca, ordinariamente lo fa rimanendo seduto.
2) Il narratore proponendo il suo racconto si prefigge diversi obbiettivi: istruire, divertire, imporsi agli altri narratori, farsi apprezzare dal pubblico. Il messaggio non è mai assente dal racconto, anche se a volte si ha l'impressione che l'aspetto ludico prevalga sul contenuto.
3) Il narratore -(ngoadifwè) - è sempre accompagnato dal suo interlocutore, epicentro (dove converge la parola), o agente ritmico - (ngoasokpenefwè) - colui che risponde al racconto, che riceve la parola, che la ritma.
La parola deve obbligatoriamente passare da questo personaggio per arrivare all'uditorio. Una parola detta in pubblico non può mai cadere nel vuoto. E' necessario che qualcuno la riceva e la ritrasmetta.
Questa parola proferita si attua dunque in uno spazio triadico, in un circuito ternario: narratore, epicentro, folla. Il personaggio dell'epicentro è molto sovente scelto dallo stesso narratore che lo chiama prima di ogni racconto, per esempio con questa formula: Kwaku, kpene me ngoa so: Kwaku, rispondi al mio racconto.
Nel corso della seduta i ruoli possono invertirsi: il narratore diventa interlocutore e l'interlocutore narratore.
4) Il racconto non è mai narrato in un sol getto. Il narratore parla con piccole sequenze inframmezzate dal suo agente ritmico che gli rinvia la parola liberata sotto forma di eco.
Il racconto risulta così composto da una serie di sequenze ritmiche binarie: la prima parte della sequenza è formata dalla parola del narratore e la seconda dall'eco dell'agente ritmico.
Se è vero che il messaggio principale è concentrato nella prima parte dell'unità binaria, è altrettanto vero che la seconda parte, semanticamente debole, forma con la prima un'unità inscindibile: l'una non può esistere senza l'altra.
5) Il narratore è in dialogo continuo con il pubblico, sia attraverso l'interlocutore, sia con sollecitazioni dirette, sia soprattutto attraverso i canti. I racconti che non contemplano canti eseguiti dal narratore e ripresi dalla folla, sono rari.
Oltre a questi canti interni, richiesti dal racconto stesso, ci sono canti esterni, estranei alla storia che viene narrata.
La folla può interrompere il narratore in ogni momento per eseguire, nel bel mezzo di un racconto, uno o più canti, ripresi dai presenti.
Questi canti hanno di solito la funzione di annunciare altri racconti, o di risvegliare l'interesse dell'uditorio quando si è affievolito.
6) La seduta non richiede un coro a parte. E' l'uditorio che ne assicura la funzione.
7) L'orchestra è totalmente assente, così come la danza, perlomeno nella prassi attuale, poiché una volta le cose erano diverse. In tutti i villaggi visitati solo a Koun Fao si è notato due volte i suonatori di tamburi accompagnare i canti, e solo i canti. Ma erano circostanze eccezionali: due sedute diurne espressamente sollecitate per essere filmate.
8) L'arte del narratore non consiste solo nel raccontare testi inediti, nel presentare una nuova materia, ma si manifesta nella maniera inedita di narrare storie antiche.
La maggior parte dell'uditorio conosce già, in linea di massima, la trama e lo svolgersi della storia.
Un racconto è apprezzato, assaporato, assimilato "mangiato" (bè di ngoa: si "mangiano" i racconti), nella misura in cui è presentato in maniera appetibile.
L'abilità e l'arte del narratore consistono nella sua capacità a far reagire, vibrare il suo pubblico, a manovrarlo.
9) Lo si vede allora mettere in atto tutta una serie di tecniche "audiovisive" per entrare in comunicazione con l'uditorio. La sua arma principale rimane la parola. Il narratore, parliamo qui dei migliori, per esempio di A.K. François, è un professionista della parola.
La recita su tutti i registri, su tutti i toni. Ad ogni personaggio presta la sua voce appropriata: vecchi, bambini, malati, animali; ogni situazione, ogni stato d'animo sono evidenziati con la modulazione della voce corrispondenti: esplosione di gioia, paura terrificante, tristezza prolungata, stupore improvviso, avida ingordigia, ecc.
Il narratore non parla soltanto con la bocca, ma con tutto il corpo. La sua parola è costantemente accompagnata da una mimica particolarmente espressiva e vigorosa.
Il narratore "recita" ciò che racconta, con tutti i mezzi di cui dispone: voce, gesti delle mani, espressione del viso, movimento degli occhi, oscillamento della testa, silenzi eloquenti, onomatopee, ecc.
Il narratore è seduto ma il suo corpo assume le posizioni più varie, le attitudini più strane, secondo le esigenze delle azioni evocate.
Talvolta si alza anche in piedi. Il racconto è visualizzato, rappresentato e recitato di fronte ad un pubblico che "vede" lo spettacolo svolgersi davanti ai suoi occhi, e che è giudice della riuscita dell'opera "teatrale".
10) Ecco allora una conseguenza importante. Durante la seduta si instaura rapidamente una competizione tra i narratori.
La rivalità tra i narratori costituisce una delle risorse essenziali di una seduta, non ci si è riuniti per ripetersi. Si tratta di far meglio delle volte precedenti per avere l'approvazione dell'uditorio.
Per far ciò ogni narratore cerca di rendere la sua storia più complessa, ad affinarne i dettagli, le descrizioni, a mostrarsi miglior conoscitore dei costumi degli animali, ad avere una grande padronanza della lingua per poter sedurre l'uditorio.
11) Questa situazione di rivalità tra i narratori ha un'altra conseguenza a livello della successione dei racconti.
Le favole all'interno di una seduta non occupano un posto arbitrario, ma la loro successione segue principi precisi.
Una volta che è iniziata la seduta ogni racconto ha un'influenza sugli altri.
Il narratore non sceglie il suo racconto a caso, nella sua scelta è condizionato dalle narrazioni precedenti. In quella che propone cercherà di correggere, raddrizzare, risituare, completare un'altra narrazione.
Con Jean Paul Eschlimann chiameremo questo fatto "Il principio della ponderazione". La seduta è un gioco di equilibrio.
Nessun personaggio può avere la prerogativa di successo o insuccesso.
Dopo un racconto o una serie di racconti sul successo di Ragno (l'Ananse degli Ashanti) e l'insuccesso di Iena, per esempio, ne seguiranno altri con movimento contrario: insuccesso di Ragno e successo di Iena.
Ciò non fa che tradurre una norma dell'ideologia bona che non sopporta la riuscita totale dell'uno e l'insuccesso totale dell'altro.
Questa è anche la legge della vita: non si può essere sempre vincenti.
12) Il pubblico è là attento e pronto a manifestare, anche rumorosamente, il suo accordo o il suo disaccordo con i narratori. In ultima istanza è l'uditorio il grande arbitro del gioco.
Con le sue approvazioni, le sue reticenze, i suoi applausi, le sue disapprovazioni, giudica e classifica i narratori. Sin da quando un narratore entra in scena si espone al giudizio inesorabile del pubblico.
Tanto questo sa apprezzare un buon racconto (wo ngoa je fè: il tuo racconto e buono, hai raccontato un bel racconto) tanto è pronto a sottolineare i difetti di un racconto mediocre, o a squalificare un narratore che si sbaglia o che non sa raccontare, coprendolo di ridicolo: (wo ngoa nje fè): il tuo racconto non vale nulla, non sai raccontare.
Può anche capitare che qualcuno interrompa bruscamente un narratore. E' capitato una sera a Koun Fao. Da alcuni momenti la folla manifestava il suo malcontento con disapprovazioni sempre più manifeste.
Ad un certo momento una donna si avvicina al narratore e gli strappa il microfono impedendogli di continuare. La donna stessa prese il suo posto. Lo sventurato cercò di continuare la sua narrazione, ma fu un fiasco completo. Fu interrotto una seconda volta. Durante tutta la seduta non ebbe più diritto alla parola.