Proverbi africani e annuncio evangelico

E' possibile trasmettere il messaggio cristiano
con i proverbi?

Dobbiamo collocare il proverbio nel quadro di quella che chiamiamo l'oralità. Si tratta di un modo di comunicazione come tanti altri, come l'imprecazione, la benedizione o la maledizione, l'antroponimo, il racconto ed il mito, il proverbio e l'indovinello, il canto...Sono modi diversi, ciascuno con le proprie caratteristiche, ma complementari fra loro.
Per esempio, nella cultura "gun" del Benin meridionale si sa che il nome imposto dalla nascita è spesso il riassunto di un proverbio che lo ispira ed al quale esso fa riferimento, in cui ogni persona, secondo la sua posizione sociale o familiare può (partendo dalle proprie gioie e dalle proprie pene, dai problemi del momento) esprimere la propria visione del mondo, la propria saggezza. Ciascuno di questi modi orali permette così un'apertura sulla cultura.
In nessun caso possiamo dissociare l'oralità, o uno dei modi orali, dal resto della cultura che li produce. Ci sembra dunque difficile limitarci in questa relazione ai soli proverbi, anche se ne abbiamo studiato un certo numero che abbiamo studiato in lingua sango.
Riporteremo anche passi tratti in particolare da canti moderni, modo orale molto fecondo, dato che nel corso di una decina d'anni ne abbiamo raccolti quasi un migliaio (e alcuni sono un piccolo capolavoro letterario).
Restiamo comunque sempre nell'oralità, perché questi canti molto raramente sono messi per iscritto dai compositori. Proprio a causa della trasmissione verbale, non bisognerà meravigliarsi nel rilevare qualche differenza nel testo scritto e l'orale, nel caso che la busta del disco riporti il testo.
Nell'oralità la parola è viva: essa cementa o divide, guarisce o fa ammalare, fa esistere e crescere o distrugge...Il nome dato alla nascita "è" la persona stessa. La maledizione, la benedizione o l'imprecazione sono efficaci, soprattutto se la persona presa di mira è designata col suo nome. La semplice evocazione della possibilità di una disgrazia equivale già alla sua effettiva realizzazione.
Poiché parliamo di messaggio cristiano, non dimentichiamo che esso fu annunciato dal Cristo in una situazione di oralità, che fu trasmesso a voce prima di essere messo per iscritto, in quelli che chiamiamo i quattro vangeli: gli specialisti dell'esegesi biblica sono riusciti spesso a ricostruire il retroterra orale di molti racconti. Ricordiamo in fine che il Cristo stesso vi è definito come la Parola, il Verbo di Dio.
Cercheremo dunque di fornire alcuni punti di riferimento, o criteri di discernimento, piste di ricerca o di lavoro, che al di là dei proverbi, possono applicarsi ad altri modi orali.

PROVERBI SANGO

Uno studio, sia pure rapido, dei proverbi in lingua "sango", al quale abbiamo accennato sopra, ci permette di evidenziare alcuni aspetti del linguaggio proverbiale, con i suoi limiti, che saranno da tenere presenti anche per i vangeli.
Il carattere concreto del proverbio
Un primo aspetto che ci colpisce nell'oralità, e anche nei proverbi, è il carattere concreto del discorso. Le immagini utilizzate partono dall'esperienza quotidiana. Alcune possono essere comprese direttamente da uno straniero. Quando si dice: "Il pigro che non semina le arachidi tenderà la mano il giorno del raccolto" , tutti capiscono a chi ci si rivolge e perché: bisogna lavorare per raccogliere, altrimenti non si avrà nulla. E' dunque un avvertimento al pigro, che d'altronde in questo caso è indicato esplicitamente. Altre immagini non sono ugualmente evidenti nell'applicazione che se ne fa. Quando si dice: "Se semini una spina, quando sarà cresciuta ti pungerà" , la spina può designare un figlio che i genitori allevano male; ma questa relazione fra la spina ed il figlio non è evidente a prima vista. Altre volte ancora, l'immagine si appoggia su un simbolo: "Una bella zucca non va alla deriva sulla superficie dell'acqua". La zucca rappresenta la donna il cui status normale è il matrimonio, a maggior ragione se è bella; l'acqua sulla quale va alla deriva questa zucca rimanda alla morte. Per essere capito, quest'ultimo proverbio richiede una certa conoscenza della cultura. Ma in tutti i casi si fa riferimento ad un'esperienza concreta.
Proverbio e morale
Spesso si collegano proverbio e morale. Molti proverbi mirano a un comportamento che per il momento possiamo qualificare come morale. Così nei proverbi già citati, si mettono in evidenza tre valori: il lavoro, la buona educazione dei figli, il matrimonio per una donna.
Ma vorremmo fare qualche osservazione a questo proposito.
La prima: certi proverbi constatano prima di moralizzare. Quando dico "Sono un pezzetto di legno nell'acqua" , voglio indicare che non ho più nulla o nessuno a cui aggrapparmi per avere sostegno o aiuto. Ci troviamo qui di fronte ad un grido di sconforto.
La seconda osservazione invita ad intendersi sul significato stesso di morale nei proverbi. Più che di una morale comportante comandi e divieti provenienti da un principio superiore, qui parleremo piuttosto di regole di comportamento davanti alla vita e nella società. Sarà probabilmente vietato rubare, mentire commettere adulterio, o prendersi gioco di un superiore, ma, a costo di sorprendere il lettore, possiamo dire che nella nostra raccolta non se ne parla.
Sono altri i valori che vengono messi in primo piano, come la solidarietà all'interno di un gruppo, la previdenza, la prudenza...A costo di sorprendere ancora di più, affermeremo che se è importante non rubare...è ancora più importante non farsi prendere: "Lo yakoma non attraversa il fiume due volte nello stesso punto", dice il proverbio; il che significa: se non vuoi farti sorprendere dal tuo avversario che ha intuito la tua manovra, non devi frequentare costantemente gli stessi posti e le stesse persone. Devi imitare lo yakoma, guardingo nei confronti dei nemici che potrebbero cercare di approfittare delle sue abitudini nel traversare il fiume. Gli yakoma abitano sulle rive del fiume Oubangui.
In realtà, i proverbi nascono nel segno del buon senso dell'osservazione quotidiana, che trova corrispondenze nelle varie culture: in italiano diremmo "il cane scottato dall'acqua calda ha paura anche di quella fredda" ; in sango, "sei stato morso dal serpente, fai un salto quando vedi una corda".
Infine una terza osservazione: i proverbi, all'interno di una stessa raccolta, riflettono una realtà complessa, multiforme, addirittura contraddittoria a prima vista. In Europa non diciamo forse: "A padre avaro figlio prodigo", ma anche, al contrario:"Tale il padre, tale il figlio"? In sango, da una parte si afferma: "L'uccello vola con le sue sole ali", dall'altra: "L'acqua che scorre da sola si perde in tortuosità". In quest'ultimo caso, la contraddizione è solo apparente, perché bisogna saper badare a se stessi come l'uccello e nello stesso tempo ascoltare i consigli per non perdersi.
Questo carattere non esclusivo del proverbio permette in certe etnie delle gare di botta e risposta fra due persone, gare che terminano quando uno dei due protagonisti non sa più rispondere.

Permanenza interculturale della metafora

Per preparare uno studio sulla Chiesa-famiglia, stimolati dalla lettera di papa Giovanni Paolo II al termine del sinodo romano sulla Chiesa in Africa, siamo stati colpiti dalla concordanza fra le immagini usate nei proverbi sango per parlare delle relazioni familiari e quelle di San Paolo quando parla del "Corpo della Chiesa" (1 Cor 12, 12 e ss.). Così in lingua sango troviamo questi proverbi:

"Non ci si taglia via l'alluce se è sporco di escrementi".
"Non si getta via il proprio naso anche se è sporco di moccio".
"Un figlio non può rinnegare il padre lebbroso".
"Non si può posare il proprio sesso su una pietra per batterlo".
"Se hai male alla testa, è tutto il tuo corpo che soffre".

La cultura sango, come forse altre culture africane, usa dunque la metafora del corpo per descrivere le relazioni fra i membri di una stessa famiglia, soprattutto quando uno di essi si comporta male, o è in una situazione difficile: per nessun motivo posso rinnegare uno dei miei, come è fuori discussione il fatto di mutilarsi o farsi del male. In un certo modo, questa persona fa parte di me alla stessa maniera che il mio piede, il mio naso, il mio sesso... sono "me".
Aggiungeremmo anche una sfumatura importante. Di un parente che abusa della vostra ospitalità, si dirà: "E' difficile vomitare il cibo che si trova già nella pancia" = non è facile mandare via un parente che si è istallato a casa vostra. O questo consiglio di prudenza:
"Tuo fratello è la tua pantera" = è tuo fratello che può tradirti. Anche se questi proverbi rivelano una reale ricchezza nell'espressione retorica e nell'evocazione dei sentimenti, le situazioni evocate non sono sempre idilliache.
Dio nei proverbi Nella visione africana del mondo visibile e invisibile, Dio ha un suo posto. Un solo proverbio sango lo cita esplicitamente come creatore: "Dio ha fatto gli uomini diversi". Dio è concepito così come creatore, e anche come fonte ultima del destino personale, e lui stesso come Destino. E' ciò che sembra evocare questo proverbio.
Al contrario, in lingua gun, abbiamo raccolto numerosi antroponimi di nascita, nei quali il termine di base è "Se", termine che rimanda al destino. Spesso questi nomi sono una risposta a una critica: voi mi criticate perché sono ricco, perché mi comporto in un certo modo, ma se sono così, sappiate che è il mio destino (che sono stato creato così) allora che cosa posso farci?
Altri proverbi rimandano a un Dio, provvidenza dell'orfano, del povero... "All'animale che non ha la coda, Dio stesso caccia via le mosche", proclama un proverbio fon. Nei canti in lingua sango, Dio è l'origine del successo: "Grazie a Dio sono riuscito", canta ugualmente l'orfano abbandonato dalla famiglia quando suo padre e sua madre sono deceduti (L'orfano). Ma Egli manda anche l'Aids, "per punire gli uomini dei loro peccati" (Sida). Dio è dunque concepito nello stesso tempo come lontano e vicino, come provvidenza e giustiziere.

PROVERBI EVANGELICI

Questo valore e questa importanza della parola non sono una peculiarità dell'Africa: vi abbiamo già accennato. Nessuna meraviglia, dunque, nel ritrovare nella Bibbia e nei Vangeli molte concordanze e molti parallelismi, come abbiamo visto in San Paolo. Ora ci poniamo questa domanda: in che modo il Cristo ha annunciato il suo messaggio di salvezza, come si è posto nei confronti della sua cultura, e precisamente dei modi orali? In questo agire del Cristo, distingueremo tre livelli.

L'accettazione

Durante tutta la sua vita, il Cristo si conforma a una moltitudine di usi del suo tempo, di cui non cambia le tecniche materiali. I suoi metodi pedagogici sono quelli dei "rabbi" che ha potuto conoscere. Così troviamo qua e là dei proverbi o qualche cosa che vi assomiglia, per concludere in modo lapidario un discorso più lungo; ecco qualche esempio:

"Medico, cura te stesso" (Lc 4, 23)
"Nessun profeta è bene accetto in patria" (cf Lc 4, 24 e Gv 4, 44)
"Vino nuovo in otri nuovi" (Mc 2, 22)
"Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio, altrementi..." (Mc 2, 21)
"Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato" (Lc 14, 11)
"A chi ha sarà dato...; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha" (Mt 13, 12)

Troviamo anche molte parabole, che potrebbero sembrare, su diversi punti, vicine ai racconti africani. Per queste parabole, il Cristo trae sempre i propri esempi dalla vita quotidiana:

il seminatore (Mt 13, 2-23),
la zizzania (Mt 13, 24-30),
la donna che ha perduto una moneta (Lc 15, 8-10),
la pecora smarrita (Mt 18, 12-14),
il figlio che ha abbandonato il tetto paterno (Lc 15, 11-32),
ecc.

Piuttosto che discorsi astratti, intellettuali, il Cristo usa esempi concreti, in uno stile semplice. La rivoluzione, se c'è, consiste proprio nella semplicità del discorso. Anche qui, possiamo trovare delle affermazioni a prima vista opposte, contraddittorie. Quando il Cristo dice "vino nuovo in otri nuovi" (Mc 2, 22), afferma anche: "Non sono venuto ad abolire, ma a dare compimento" (Mt 5, 17).
Effettivamente, egli va avanti per tocchi successivi, complementari e non esclusivi gli uni degli altri.

L'impulso nuovo

Il Cristo si serve dunque dei diversi modi orali dei maestri del suo tempo, ma le ultime due citazioni che abbiamo esaminate ci mostrano che egli non si ferma qui. Quando parla di "vino nuovo", o di "completare", vuole dare un impulso, una dinamica nuova, alla cultura giudaica nella quale è nato. Egli delinea una svolta nella rivelazione di Dio agli uomini, e quindi nella storia umana. Il Cristo qui è libero: e questo lo porterà a contestare sia alcuni uomini (i farisei inclini all'ipocrisia), sia la tradizione: "Vi è stato detto..., ma io vi dico..." (Mt 5, 21 ss.).
In una cultura tendenzialmente legalista che si attacca alla lettera della legge, egli afferma: "L'uomo non è fatto per il sabato, ma il sabato per l'uomo!" (Mc 2, 27 - frase che ha una forma chiaramente proverbiale). In una cultura in cui il successo esteriore, materiale, è segno della benedizione divina, egli proclama le Beatitudini: "Beato non più il ricco, ma il povero; beato non il forte e il violento, ma il mite!". Capovolgimento completo dei valori!

Il compimento

Infine il Cristo non si pone come un soggetto esterno che sceglie e giudica, accettando questo, rifiutando quello; egli entra in ciò che questa cultura comporta di più profondo, nella sua anima, nella sua stessa essenza, che egli adatta alla propria persona. Per esempio, con i temi dell'Antico Testamento: "Non sono venuto ad abolire, ma a portare a compimento". Il Cristo porta a compimento la religione giudaica nel suo stesso fondamento, la Pasqua, la liberazione degli Ebrei dalla schiavitù d'Egitto. Il Cristo, morendo e risuscitando il giorno della Pasqua ebraica, vuole essere ora lui stesso la sola e unica Pasqua. Allo stesso modo, possiamo riprendere un'altra affermazione sul Cristo, quella della Parola, del Verbo: "In principio era il Verbo... e il Verbo era Dio... e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1, 1.14). Il Cristo è Parola, Dio stesso che viene a rivelarsi, che si fa uomo.
Se l'Africa è il continente della parola, non potrebbe far riscoprire all'insieme della cristianità il Cristo, la Parola di Dio che si rivela, la sua Sapienza? Questa rivelazione dovrebbe superare tutte le speranze, soddisfare tutte le attese delle culture africane, e delle altre. Già i nomi di Emanuele, ovvero "Dio con noi", e di Gesù, ovvero "Dio salva", rivelano, a somiglianza degli antroponimi africani, l'identità di questo bambino che è nato a Betlemme.
Dio presente in mezzo agli uomini facendosi lui stesso uomo fra gli uomini. Sia con i suoi proverbi che con le sue parabole, il Cristo rivela con tocchi successivi l'identità di Dio suo Padre e la propria identità, come pure il suo progetto sugli uomini. Anche questi tocchi successivi possono sembrare opposti: lo vediamo per esempio nella parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11ss) in cui si rivela la tenerezza di Dio, e in quella del giudizio finale in cui i dannati sono maledetti (cf Mt 25, 31): due volti di Dio opposti, mentre san Giovanni riporta questa frase: "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Gv 3, 17).
A Dio che solo è sapiente (Rm 16,27)
Il buon senso, la saggezza umana, e la Parola-Saggezza di Dio che si realizza nella vita del Cristo non sempre coincidono. Ai fedeli di Corinto divisi, San Paolo ricorda questa sapienza cristiana:

“Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo; non però con discorso sapiente, perché non venga resa vana la voce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio... Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio... Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti” (1 Cor 1,17 ss).

La "follia" divina non è la sapienza umana. Se molti in Africa riconoscono l'esistenza di un Dio supremo, trovano però difficile accettare l'idea che possa farsi uomo: un nome di nascita del Benin meridionale ce lo fa capire: "Chi è andato in cielo?. Risposta sottintesa: nessuno ovviamente vi è andato e ne è tornato per parlarci di Dio. Ora, come cristiani, noi affermiamo che Dio stesso è sceso dal cielo: “Egli pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguglianza con Dio ....Divenendo simile agli uomini” (Fil. 2,6-7). Ancora più difficile è ammettere che questo Dio fatto uomo muoia sulla croce. “Umiliò se stesso facendosi ubbidiente fino alla morte ed alla morte di croce” (Fil 2-8). Probabilmente, pensano e dicono alcuni, egli ha finto; o al massimo, sapeva che sarebbe poi risuscitato: docetismo o semidiocetismo. E tuttavia, "Se il chicco di grano cade in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (GV 12,24)! Ma se nel Cristo parola e vita non corrispondono, come può il cristiano incorporarsi a lui, per trovare la salvezza? Se il Cristo fa finta, come può essere Verità e Via? Inoltre, come accettare le Beatitudini? : “Beato il povero, l'affamato,il perseguitato.....”? Come accettare la legge del perdono?
Nella Repubblica Centrafricana, il ritornello di una moderna canzone sango afferma: “A Bangui, tuo fratello ti ama, tu lo ami; A Bangui, tuo fratello ti odia, tu lo odi” (Tene sango). Più che una legge da seguire, questa affermazione sembra una constatazione. Chi perdona passa per un debole o un imbecille. Il buon senso umano invita a stare almeno lontani dal malvagio, a evitarlo; se necessario a eliminarlo o a vendicarsi.

CONCLUSIONE

Non vogliamo dunque restare nello stretto quadro del proverbio, sia africano, sia evangelico. Dobbiamo andare oltre la problematica, ricollocando questo modo di espressione nell'insieme dell'oralità di cui fa parte, e della cultura della quale esprime a suo modo un aspetto. Proporremo pertanto un atteggiamento piuttosto che delle ricette pratiche.
Riconoscere le culture africane
Perché cercare di collegare proverbi africani e messaggio cristiano, o cercare di ripresentare il secondo, servendosi pei primi? Senza dubbio per troppo tempo è stato detto che le culture africane o non esistevano, o se esistevano erano diaboliche. In ogni modo non c'era niente di interessante da vedere! In nessun caso potevano essere oggetto di studio. Alla svalutazione o negazione di queste culture risponde ora la sopravvalutazione, da parte di antropologi sia stranieri che locali.
Padre Aupiais, missionario e provinciale delle Missioni Africane nella prima metà del XX secolo, rispondeva a coloro che l'accusavano di vedere solo del bene in queste culture e di occultarne il male: “C'è abbastanza gente che dice male dei Neri, perciò io posso benissimo permettermi di dirne soltanto bene”. Ora il riconoscere l'esistenza della cultura dell'Altro, e il suo studio, danno già testimonianza del rispetto che le è dovuto.
Tuttavia questo non deve impedirci di renderci conto che qualsiasi cultura - come qualsiasi persona - ha i suoi limiti dovuti alle scelte legittime. Essa ha anche, come qualsiasi persona, le sue debolezze. Il riconoscerlo non significa svalutare la cultura, ma assegnarle il posto che le spetta.
Dire ridire il messaggio cristiano
Per ritornare al nostro argomento, nulla impedisce a priori di utilizzare dei proverbi, badando però a non perdere di vista i due termini della questione: la cultura nel suo insieme da una parte, l'essenza del messaggio cristiano dall'altra, per appoggiare o rafforzare un'affermazione evangelica, per esempio. Il proverbio fon: “Non si possono mettere due dita in una stessa narice perché stringe troppo” corrisponderebbe a questa affermazione del Cristo: “Nessuno può servire due padroni” (Mt 6,24). Sapienza molto umana che egli non rifiuta: in effetti non si possono servire insieme due ideologie. Stessa cosa quando dice: “Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,61).
Ma non ci si può limitare ad un uso preciso di questo o di quel proverbio perché corrisponderebbe ad una certa frase biblica come non si può scegliere solo ciò che conviene o va nel senso del messaggio, senza tenere conto del resto.
Nulla impedisce d'altra parte di creare nuovi proverbi partendo dagli schemi retorici nelle lingua nella quale è annunciato il Vangelo. Questo presuppone tuttavia una buona conoscenza sia della lingua che dei proverbi.
Nel campo dell'oralità, africani i cristiani africani hanno saputo creare per esprimere la loro vita cristiana: in molte regioni, sono stati messi in canto. Abbiamo trovato, sia nel Benin che nelle Repubblica Centrafricana, dei nomi di nascita nuovi, costruiti sugli schemi tradizionali è riferiti alla fede cristiana, come questo tradotto dalla lingua gun: Gesù è “buono”. Per il momento, tuttavia, non abbiamo trovato alcuna creazione in lingua sango, come in altre lingue d'altronde, su questo modo del proverbio.
E la nostra pedagogia?
Diciamo che abbiamo tenuto poco conto di questi modi tradizionali di comunicazione nella trasmissione della Buona Novella, soprattutto nell'elaborazione dei nostri catechismi. Così la nostra catechesi è spesso astratta e poco intellettuale. Già nel XVII-XVIII secolo, Fénelon affermava: “Dite ad un fanciullo che in Dio tre persone uguali formano un'unica natura: a forza di sentire e ripetere questi termini egli li serberà nella memoria, ma dubito che ne recepisca il senso”.
Due secoli dopo, in una circolare dell'agosto 1956, mons. Parisot, vescovo di Ouidah nel Dahomey, scriveva:
“La lezione di catechismo non è interessante, attraente, alimentatrice della fede perché:
1)troppo spesso è una ripetizione monotona di formule troppo astratte per essere comprese,
2) non è incentrata sul Vangelo e sulla luminosa, trascendente e attraente figura del Cristo,
3) l'attenzione dei fanciulli non è continuamente suscitata, risvegliata col metodo evangelico di Nostro Signore, quello delle parabole, delle allegorie...”
Negli anni 2000 a che punto siamo?

Pierre Saulnier