Arrivo A Bangui

“Lève-toi - Alzati”, dice battendo alla porta il giovane carmelitano p. Saverio. “Andiamo a sistemare la questione del tuo visto e a cercare il tuo bagaglio. Dobbiamo sistemare tutto al più presto”, mi dice con tono deciso. Siamo sfortunati. Alla polizia ricevo soltanto un pezzetto di carta con un timbro rotondo, a conferma che mi è stato temporaneamente ritirato il passaporto fino a quando tutta la faccenda non sarà risolta. All'ufficio locale dell'Air France non siamo andati. Del mio bagaglio smarrito finora non sanno ancora niente.

Valigie e permesso di lavoro

Dopo due giorni il mio bagaglio viene finalmente ritrovato. Era stato dirottato nel Benin e dopo 4 giorni arriva a Bangui. Non manomesso! Non posso crederci. La fortuna mi ha proprio sorriso. La cosa più importante - la mia valigia - già ce l'ho e a dire la verità la sporca e rumorosa Bangui comincia a stancarmi. Non vedo l'ora di cominciare a lavorare da qualche parte.

Verso Baoro

È quasi mezzogiorno. “Se vogliamo arrivare a Baoro entro oggi, dobbiamo partire immediatamente”, decide p. Saverio. In macchina raggiungiamo lentamente la periferia della città, dove si trova una postazione militare. In lontananza vediamo una robusta catena posta di traverso alla strada e un militare in uniforme da parà col kalashnikov a tracolla che controlla le vetture di passaggio. Fortunatamente non abbiamo alcun problema. Evidentemente più che alla nostra vettura con la scritta “Mission Catholique”, l'attenzione dei militari è rivolta ai grandi camion dei mercanti arabi carichi all'inverosimile delle merci più svariate.

Nella boscaglia

Ci dirigiamo verso nord. La strada che porta a Bossembélé è stretta e asfaltata. Da qui mancano ancora quasi 300 km. La boscaglia africana... Mi sembra di sognare. Quel paesaggio che finora avevo conosciuto soltanto attraverso gli opuscoli delle agenzie di viaggio, posso ora osservarlo con i miei propri occhi. Ovunque soltanto cespugli, erba alta, di tanto in tanto superiamo un villaggio con bassi tuguri in argilla e con i tetti di paglia e poi di nuovo solo erba e cespugliame. Ogni istante scorgo un filo di fumo che sale nel cielo.

Notte e nebbia

Sulla pista in terra battuta ci sfianchiamo per circa due ore. Fuori dalla nostra vettura il buio è assoluto. Dalla boscaglia si odono echeggiare in modo penetrante le cicale ed altri uccelli notturni a me sconosciuti. Nonostante i fari accesi, la visibilità nella strada è praticamente nulla, come se nella boscaglia fosse calata una fitta nebbia. “Da qualche parte davanti a noi c'è un camion”, spiega p. Saverio, “ la polvere si mantiene a lungo nell'aria e non si vede a un passo di distanza. Dobbiamo sorpassarlo. Sai, gli autisti di camion che compiono lunghe distanze preferiscono guidare di notte per evitare la calura del giorno, arrivano fino a Douala, al mare. Qui infatti siamo sulla strada transafricana”. Non posso credere che questa strada larga quattro metri in terra battuta e piena di buche sia la famosa strada lunga migliaia di chilometri che collega la costa occidentale e quella orientale dell'Africa.

Arrivo a Baoro

“Finalmente siamo arrivati!”, grida con sollievo p. Saverio guardando davanti a sé. Nel buio brillano decine di luci tremolanti. “Sono i fuochi di Baoro”, spiega. Stiamo lentamente entrando in città. La strada è piena di gente e ai lati sfilano piccole bancarelle illuminate da lampade a petrolio. Attraversiamo il crocevia principale e ci fermiamo davanti alle porte della missione: una chiesetta e un complesso di edifici circondati da un recinto. P. Saverio mi conduce nella sala da pranzo e mi presenta a padre Roberto. “Che tu sia il benvenuto”, mi porge la mano il superiore della missione. “In cucina puoi prendere qualcosa da mangiare, in bagno puoi lavarti, poi ti mostrerò la tua stanza. “Ah!, non prendere la zanzariera, qui le zanzare non ci sono”, aggiunge ancora padre Roberto. Mentre prendo sonno, apprezzo molto l'aria che si respira qui. Non è così umida ed è molto più fresca che a Bangui, più o meno come da noi in estate.