Viaggio a Niem

Sono in viaggio da due giorni. Padre Sébastien mi ha portato da Bozoum a Bouar, distante 150 km, da dove ora proseguo col dentista locale, Angelo, volontario come me.
Per arrivare a Niem, un piccolo villaggio nascosto tra le montagne del massiccio Yadé, poco distante dalla frontiera col Camerun, dobbiamo percorrere ancora 100 km. Il paesaggio attorno a noi è sempre uguale: sterpaglie, alberi bassi con foglie rade, erba bruciata e l'onnipresente terra rossa. L'unica cosa diversa sono le strade.
Sempre peggiori. Per raggiungere la velocità di 40 km orari è necessaria una buona vettura, ma anche un buon guidatore. Ad ogni istante scansiamo fosse e buche profonde.
Con ambedue le mani mi reggo forte agli appigli della cabina per non cozzare contro il tetto e urtare le portiere. Anche se cerco di resistere al sonno, gli occhi mi si chiudono. Ora ritorno col pensiero all'operazione di Bozoum, un incubo.

L'esame di ammissione

Rivivo i momenti in cui ho dovuto asportare una parte di nodi intestinali aderenti all'addome inferiore e una parte della parete addominale resa adiposa dalle fistole croniche.
Appena la paziente si è mossa e ha cominciato a lamentarsi, Goum le ha subito somministrato, a occhio, una nuova dose di anestetico in vena.
Nel frattempo le misurava di tanto in tanto la pressione con scrupolosità e seguiva con attenzione il mio “perfetto monitor” - il batuffolo di cotone incollato sotto il naso, assicurandosi in tal modo che la paziente stesse respirando. Durante l'operazione andava sempre più aumentando in me il rispetto per i miei due collaboratori che cercavano, con tanta abnegazione, di fare qualcosa in condizioni inimmaginabili per un chirurgo europeo.
Anestesia non bilanciata, niente assistente, niente aghi per dare punti di sutura, niente rilassamento muscolare, ambiente poco sterilizzato, temperatura in sala superiore ai 30 gradi.
Eppure l'operazione è riuscita. Quando, finalmente, dopo quasi quattro ore, mi sono tolto il camice talmente impregnato di sudore da potere essere strizzato, ho notato che Albert e Goum mi sorridevano amichevolmente scuotendo il capo con soddisfazione.
Il loro sguardo era completamente diverso da quello del giorno in cui ci siamo conosciuti. Ho capito che l'operazione era stata anche una specie di “esame di ammissione”.

Prete e medico

“Conosci Tiziano?”, chiedo ad Angelo. “Da anni”, scuote il capo l'italiano. “Inizialmente ha studiato medicina e ha lavorato come internista in un ospedale dell'Italia settentrionale, poi ha deciso di farsi prete e dopo l'ordinazione è venuto qui in Africa”. “Allora qui lavora come prete e come medico?”, chiedo con curiosità.
“Proprio così, al mattino dice messa nella chiesetta poi fino a sera rimane chiuso nel suo ospedale e, nella maggior parte dei casi, anche di sabato e di domenica”.
“Un momento”, interrompo Angelo, “p. Marcello mi ha detto che a Niem c'è un ambulatorio e non un ospedale”. “È vero”, concorda il dentista, “c'è sempre stato soltanto un ambulatorio ma il villaggio è talmente fuori mano e l'ospedale più vicino tanto lontano che Tiziano ha fatto aggiungere all'ambulatorio alcune stanze dove i pazienti più difficili possono anche trascorrere la notte.
Per di più è completamente solo. Come aiuto ha, è vero, un infermiere locale, che analizza in laboratorio il sangue e i campioni delle feci dei malati, un'ostetrica locale e due inservienti per le pulizie e la distribuzione delle medicine, ma la visita vera e propria dei pazienti grava esclusivamente su di lui, sia di giorno che di notte.
Così come il controllo dei 'ricoverati'. In più, deve occuparsi anche delle forniture e delle riparazioni del suo piccolo 'ospedale'. Alla trasmittente ho sentito Tiziano che diceva che ti stava aspettando con impazienza. Penso che il motivo ti sia chiaro”. Capisco che cosa ha in mente Angelo, ma temo che per il momento non potrò essere di grande aiuto a Tiziano. Non conosco i metodi di cura, le usanze, i problemi di questa gente e neppure la lingua.

Sango e Fulbe

“Vorrei che mi insegnasse soprattutto il sango”, dico dopo un attimo di silenzio. “Allora stai andando dalla persona giusta”, conferma Angelo. “Tiziano è un linguista riconosciuto. Conosce perfettamente il sango e in più sa il fufulbe, la lingua estremamente complicata dei nomadi M'Bororo, che vivono numerosi qui nel nord”. “Ma basta il sango, dopotutto è, insieme al francese, una delle due lingue ufficiali e tutti i centrafricani dovrebbero capirlo”, obietto. “Ma chi ti dice che i M'Bororo sono centrafricani?”, sorride il dentista italiano. “La maggior parte di loro non ha una dimora fissa, sono nomadi e da secoli spingono le loro mandrie di bestiame nella boscaglia portando con sé tutto ciò di cui hanno bisogno. “Piacerebbe anche a me imparare questa lingua”, si dilungava Angelo con entusiasmo. “Beh, io credo che il sango mi sia più che sufficiente”, lo interrompo. “Sicuro, devi cominciare a studiarlo”, annuisce l'italiano, e aggiunge: “Padre Tiziano ha i suoi metodi di insegnamento sperimentati, vedrai. Ad alcuni di noi è già riuscito a insegnarlo”.