I Samburu: le origini

Sulle loro origini e sul loro nume ci sono molte supposizioni. Non è chiaro ancora quale sia il vero significato del nome Samburu.
Tra i vari significati etimologici della parola samburu, c'è quello di farfalla (sampurumpuri): nella vita dei Samburu ci sarebbe qualcosa della “farfalla”, quasi a sottolineare uno spiccato autocompiacimento della propria bellezza, un senso di raffinatezza nel portamento, nel gusto ornamentale, nelle complicate capigliature che li caratterizzano.
Altri la farebbero derivare da “coloro che hanno il borsellino” (sampur); altri ancora da “coloro che andavano in guerra” (da intendere: razzie o contrattacchi per razzie subite) con la sacca dei viveri.
“Un vecchio nome con cui erano conosciuti un tempo era Burkineji, una corruzione di Loibor Kineji=quelli delle capre bianche. A volte i Samburu amano chiamarsi Lookop: quelli che possiedono la terra”.
Secondo le tradizioni orali e le ricerche di alcuni antropologi, pare che i Sumburu siano migrati da una zona chiamata Pagaa, l'attuale Sudan, e che costituiscano un ramo anticamente staccatosi dai Maasai, iniziando un gruppo omogeneo.

Il parere di Harry Johnston

Sir Harry Johnston, alto commissario del protettorato britannico in Uganda nel 1902, descrive con precisione i movimenti etnici dei Niloti meridionali fra i quali figuravano assieme ai Turkana, ai Nandi e ai Caramogion, i discendenti degli attuali Maasai e Samburu. Dice:
Chi scrive pensa che i Masai rappresentino una antica miscela fra i Negri nilotici e i Camiti (Galla-Somali): essa dovette trovarsi isolata in qualche distretto della zona montuosa che si estende tra il Nilo e il paese dei Karimojong, dove ora sono i Lotuko, che parlano un linguaggio strettamente affine a quello dei Masai.
E dovette costituirvi, qualche migliaio di anni or sono, un gruppo di notevole potenza politica che sottomise una parte dei Niloti, i Bari, e impose ad essi una forma corrotta del proprio idioma…
Successivamente, una improvvisa pressione delle tribù nilotiche o guerre intervenute fra le tribù, o carestie susseguenti a periodi di siccità, spinsero gli antenati degli odierni Masai (e Samburu) in direzione del monte Elgon e del lago Rodolfo.
Dopo un lungo soggiorno in questa regione, i Masai si divisero in due gruppi.
Il più potente adottò una vita seminomade puramente pastorale, e dette tutta la sua attenzione al bestiame, che prese a razziare da ogni parte per mettere insieme e mantenere enormi mandrie. I gruppi Masai più deboli… perdettero il bestiame… e divennero agricoltori.
(R. Biasutti Le Razze e i popoli della terra – AFRICA, 1967, 424. )
A partire da questo periodo, nel gruppo pastorale dominante, avvenne una nuova scissione da cui nacque il popolo samburu, iniziando così un ennesimo cammino evolutivo indipendente.
Per le affinità fisiche e culturali, possono essere considerati nilotici, e di conseguenza della razza Etiopica.

Un'economia pastorale

Altro elemento comune è l'economia essenzialmente pastorale. Allevano principalmente bovini dalle lunghe corna di tipo indiano con la gobba, da cui prendono il latte che, mescolato al sangue, costituisce l'alimento principale.
Solo durante le cerimonie o in particolari occasioni come i matrimoni e i riti di passaggio, vengono sacrificati i tori e la carne è mangiata dai componenti del clan.
Le capre invece rappresentano un'importante risorsa alimentare nei lunghi periodi di siccità, in cui vengono regolarmente uccise.
Il loro latte è usato per i bambini e i malati. Gli asini presenti in numero esiguo, sono usati come animali da trasporto nei vari spostamenti da una zona di pascolo all'altra, e per caricare le pesanti calebasse (zucche svuotate) e i contenitori di plastica per l'acqua.
La parentela diretta con i Maasai è provata oltreché da usi e costumi assai simili, dalla lingua maa, parlata da entrambi i gruppi. E' detta Nilo-camitica per la miscela dei due elementi etnici e razziali maggiormente coinvolti, ossia il Nilotico e l'Etiopico (camitico).

L'accampamento

La manyatta, l'abitazione samburu

Il manyatta è il tipo di accampamento con un numero vario di capanne. Luogo sacro dove le tradizioni non si possono infrangere, è costituito da un recinto circolare di rami spinosi a difesa degli uomini e degli animali, i quali a loro volta sono rinchiusi in un altro recinto.
La costruzione delle capanne circolari dalla forma allungata, sono di competenza esclusiva delle donne. Una semplice struttura di rami allineati al suolo ed intrecciati fra loro viene depositata sul terreno, sopra una mistura di fango e sterco di mucca a forma di tetto. Nel giro di qualche giorno sarà duro e resistente alle intemperie.
L'apertura bassa e stretta costringe a chinarsi per accedere da un piccolo corridoio al vano centrale. Chi non è mai entrato in una capanna rimane quasi "accecato" dalla mancanza di luce. Bisogna attendere qualche minuto per abituare gli occhi alla penombra.
Due piccoli fori permettono di filtrare i raggi solari… pian piano s'intravede una piccola panca di legno, e di fronte, il fuoco della cucina delimitato da tre sassi posti l'uno accanto all'altro.
In alto, su un piccolo incavo, giace immobile un agnellino appena nato. Poche ed essenziali le suppellettili. Il kibuiu, recipiente di zucca, decorato con le conchiglie cauri, contiene il latte affumicato.
Qualche pentola per cucinare, un contenitore di plastica per l'acqua e qualche bicchiere di latta. Due minuscole camere poste una di fronte all'altra sono i giacigli per la notte.
In quello di destra dorme l'uomo e tutti i membri maschi, in quello di sinistra la moglie con le figlie.