La preghiera dei Samburu

La società samburu, pur essendo profondamente legata a riti e concetti d'ispirazione terreni, è ancorata ad una particolare visione di un essere supremo che sta al di sopra di ogni cosa, ed in qualche modo ne regola l'esistenza.

Il Dio Nkai

Come tra i Maasai esiste un Dio chiamato Nkai cui si rivolgono con preghiere e sacrifici. Il termine "Nkai" ha diversi significati, ma con un unico denominatore, l'elemento naturale. Indifferentemente esso viene associato con la pioggia, il cielo e le cime maestose delle montagne come ad esempio il Kulal, nei pressi del lago Turkana, o il fiume Ewaso Njiro. Da questi luoghi egli si manifesta in tutta la sua magnificenza, regolando al meglio la vita di ogni singolo e dell'intera comunità, portando sollievo al bestiame con verdi pascoli e piogge abbondanti, rendendo fertili sia la terra sia le donne, assicurando così continuità e prosperità.

Un Dio presente nella vita

Queste dimostrazioni di benessere e di pace estrema sono ricambiate dai Samburu, rendendo l'Essere Supremo in qualche modo partecipe della loro quotidianità. Dalle cose semplici e banali come andare ad attingere l'acqua da un pozzo, o mentre si torna con il bestiame la sera nella manyatta, fino alle cerimonie, ai sacrifici rituali e ai canti. Di questo siamo stati testimoni durante una visita all'accampamento nei pressi di Oldonyiro.
Le donne del clan Lekula in segno di benvenuto ci hanno offerto un canto di ringraziamento e la parola Nkai era ripetuta come ritornello in ogni frase.
E' quindi un Dio molto presente divenuto nel corso degli anni una figura quasi familiare; sicuramente molto più terreno che spirituale essendo questo un popolo legato a stretto contatto con la natura dove l'acqua, la pioggia, il cielo e i monti rappresentano i luoghi e i modi del suo apparire, uniti a qualcosa di sacro.

Tabù alimentari con valenza religiosa

Si legge che i Samburu disdegnano il pesce come alimento di base, a vantaggio della carne bovina ed ovina senza una spiegazione apparente. Azzardando un'ipotesi potremo dire che il pesce è definito un tabù sacro in quanto elemento acquatico che trae linfa e vitalità dall'acqua stessa, facente parte di quel concetto “Dio uguale acqua” che è da ritenersi sacro. Il pesce essendo dunque considerato un essere appartenente a Nkai, non è né pescato, né consumato.
Lo stesso concetto può applicarsi alle conchiglie cauri che vengono portate come ornamento non solo simbolico, ma di buon auspicio dalle donne e dai bambini in tenera età.
Esse rappresentano il simbolo della fertilità dell'acqua intesa come la pioggia emanata da Nkai. Le cipree sono anche poste ai lati dei contenitori per il latte e l'acqua "kibuiu" a protezione del sacro alimento che racchiudono.

La preghiera

La preghiera per i Samburu non è l'espressione verbale di un momento, ma continuità di vita. Essi non conoscono il linguaggio scritto e chi desiderasse conoscere le loro espressioni culturali deve fidarsi dei resoconti di coloro che li hanno visitati.
Ma in questo modo potranno essere rilevate le espressioni udibili o visibili, mai le motivazioni interiori. L'etnologo sarà in grado di fornire dei testi orali di preghiere, registrate con il magnetofono; riuscirà a rappresentare con parole i gesti che accompagnano le preghiere, non certo le emozioni interiori e i misteriosi silenzi.
Le preghiere non sono momenti forti della vita, ma formano il tessuto discreto e minuto di un'attività tutta interiore, capace di sfuggire all'analisi scientifica.

L'uomo offre la sua fedeltà a Dio

La preghiera dei Samburu si ispira al sentimento della fedeltà. L'uomo può offrire la sua fedeltà e Dio accettare il dialogo, rispondendo nello stesso modo.
La preghiera in tal caso sembra non rientrare in un quadro di comportamento religioso, nel senso corrente. Nel vocabolario samburu non esiste l'equivalente della parola religione, anche se tutta la vita è vissuta religiosamente.
Per indicare la preghiera vengono usati due termini: amon, chiedere una partecipazione materiale; asai, chiedere una partecipazione morale.
Il pregare per i Samburu. è un dialogare concreto. Dio è chiamato Nkai, nome femminile che significa « pioggia » la base della vita, della sopravvivenza e della continuità.
Se la preghiera è un dialogo, viene con ciò stesso ad implicare corresponsabilità: di Dio in quanto offre se stesso, come parte integrante della vita dell'uomo; dell'uomo in quanto assume una disposizione all'ascolto, senza condizionare Dio, con segni o formule rituali.
Si spiega così come i Samburu non definiscano Dio, ma descrivano quello che Egli fa: sanno che parla od ascolta, sanno che è fedele, sanno che partecipa alla loro vita.

Tutti pregano

Le preghiere furono raccolte dallo scrivente, padre Giuseppe Ramponi, tra gli anziani e sono (per così dire) ufficiali per un certo ambiente samburu; ma tutti quanti pregano: anche i bambini, anche i guerrieri. Gli accostamenti, le immagini, le metafore che vi ricorrono, possono essere giustificati sul posto: il monte Ng'iro, sede prediletta di Dio; certe piante odorose; certi spunti geografici, come acque placide, luoghi scoscesi, vaste pianure, deserti sconfinati. Al solito, gli anziani pregano sotto l'immancabile acacia dalla vasta chioma; la sera si ritrovano all'interno del recinto o davanti ad una capanna o nel Mal : un luogo a loro riservato nel centro della manyatta.

Circostanze della preghiera

I pretesti per la preghiera sono infiniti: un raduno, la malattia di una donna, la partenza per un lungo viaggio, un matrimonio, qualunque decisione da prendere. Anche due che si salutano invocano Dio: mikitanapa Nkai , che Dio ti sorregga.
In un gruppo di anziani è, di norma, il più vecchio che conduce la preghiera; se ne sta in piedi e levando il bastone, che porta sempre quale simbolo del suo rango, pronuncia una serie di invocazioni. Gli altri, accovacciati, rispondono ad ogni frase serrando ritmicamente le dita e dicendo Nkai, quasi a chiamare Iddio presso di sé.
Questa nostra trascrizione di preghiere vuole anche proporre un modello valido, in quanto scaturisce dall'intimità, che è la medesima in qualsiasi ambiente.
Perché tutti sentiamo il bisogno di liberarci dalle numerose sovrastrutture, che sono d'impaccio alla libera espressione della nostra sincerità.