Le basi dell'impero

Sempre baciato dalla fortuna Samori mette le basi dell’impero

Un esercito inattivo, sia pur modesto, richiede grandi sforzi che la popolazione non è in grado di sopportare specialmente in tempo di pace.
E’ necessario quindi che l’esercito renda più di quel che costi e compito del capo è quello di portarlo alla vittoria.
Sulla via del nord c’è il regno di Sabadougou che Samori provoca con continue e snervanti rappresaglie ma senza attaccare mai di forza.
Solo nel 1872 il faama di Sabadougou decide di sferrare un attacco in grande stile coi suoi mille cavalieri, di numero dieci volte superiore a quelli di Samori.
La disfatta è grande e Samori si rifugia con pochi superstiti a Sanankoro. E’ costretto a chiedere aiuto agli "zii" Kamara che gli accordano ancora una volta fiducia.
Ricostituito in breve tempo un esercito riesce a sorprendere durante una serata di festa il faama che fugge lasciando la maggioranza dei suoi uomini nelle mani di Samori.
La sorprendente vittoria induce Samori a installarsi in un villaggio sconosciuto del regno conquistato, Bissandougou, che gli appartiene per la legge del più forte e che sarà la sua sede per i vent’anni successivi, anche per staccarsi definitivamente dalla scomoda tutela dei Kamara.
Nei tre anni seguenti egli si dedicherà al consolidamento del nuovo territorio conquistato.
Samori si ritrova a capo di un territorio di più di venti mila chilometri quadrati con una popolazione di circa settantacinquemila persone.

Con le armi della fantasia Samori ingrandisce ancora il suo territorio

La via del nord che Samori predilige porta alla vecchia metropoli commerciale di Kankan, prestigiosa sede del commercio djula e centro della cultura islamica da sempre sotto il dominio dei Kaba mussulmani che però negli ultimi tempi hanno grossi problemi con gli animisti che si sono tutti coalizzati contro di loro.
Il mansa di Kankan, Karamogho-Mori allora si rivolge per aiuto al vicino Samori che, di gloria molto recente, si proclama, sue origini, un vero credente e gli fa pervenire un’importante somma in polvere d’oro.
Samori non ha esitazioni, accetta un accordo secondo il quale ad ogni vittoria il bottino andrà interamente a Karamogho-Mori e le terre a lui.
Tutto va per il meglio perché Samori, come d’abitudine eccellente politico, tratta i vinti con molta clemenza , inducendo così i capi a patteggiare e a sottomettersi volentieri ben sapendo di riottenere il comando.
I Kaba invece eliminando brutalmente i prigionieri si alienano le popolazioni vinte che cercano la protezione di Samori il quale usando la propria tattica personale dove la diplomazia precede la minaccia e succede alla voce del fucile, si assicura posizioni sempre più vaste nell’alto Niger tanto da impensierire non solo Karamogho-Mori ma anche gli eredi dell’Impero toucouleur.
Agibou, il figlio di El Hadji Omar che risiede a Dinguiraye gli ordina di ritirarsi e benché abbia le truppe schierate esita ad attaccare. Karamogho Mori offre la propria mediazione. Samori che è accampato nelle vicinanze viene escluso.
Dopo aver atteso più di una settimana i risultati delle consultazioni, egli si innervosisce e travestito da mercante penetra nella casa di Agibou interrompendo la seduta.
Impressionato da questo atto temerario, Agibou fa ritirare le sue truppe e riconosce le conquiste del faama.

Samori riesce a vincere il nemico di sempre

Al ritorno di questa campagna vittoriosa Samori decide di portare guerra ai Sissé costretto dalle attitudini bellicose di Morlay Sissé, nipote di Sere Brema.
Samori fa appello agli animisti di Sankaran con l’aiuto dei quali cattura Morlay e la sua armata. A seguito di ciò molti vassalli dei Sissé passano sotto la sua protezione.
In un anno di brillanti campagne (1880-1881) Samori assedia Kankan ma non distrugge la capitale djula dell’islam: si limita a entrarvi come vincitore e a tassarla con un’imposta adeguata in polvere d’oro.
A Madina il vecchio Sere Brema si rimette in armi, assalta Worokoro, una città samoriana uccidendo tutti i sofa.
Ma nel bel mezzo della vittoria sanguinosa arriva Samori che ancora una volta mette in atto la sua tattica: risparmia i sofa nemici a cui ordina di arrendersi e di fare propaganda presso gli altri. Altri ancora lascia scappare. Sere Brema, vecchio e indifeso è in balia di Samori che lo installa decorosamente nel villaggio di Karaso.
Sere Brema vi vive in pace per una decina d’anni. Ma la sua fine sarà ugualmente tragica. Avendo intercettato un appello ai Francesi che pensava scritto da lui, Samori gli fa pervenire la lettera con questa domanda: "Che la legga e dica egli stesso cosa merita un mussulmano che si appella agli infedeli:" Sere Brema legge la lettera impassibile, dice le sue preghiere poi esce dal villaggio e si siede su una pelle di bue.
Viene fucilato sul posto. Poco dopo questo fatto si viene a sapere che il traditore era un nipote del vecchio e Sere Brema che sapeva di lui, era morto al suo posto.

Samori è signore di un impero

Siamo nel 1882 e la potenza di Samori perviene a un nuovo livello.
Le armate vinte vengono integrate alle sue permettendo di formare un esercito di grande efficienza.
Il controllo del territorio ormai immenso è assicurato dalla creazione di grandi governi militari assegnati ciascuno ad una armata.
Il sovrano si circonda di un consiglio nel quale i mussulmani, specialmente quelli di Kankan, occupano un posto preminente. I suoi fratelli e parenti avranno un ruolo considerevole fino alla guerra di Sikasso, ma verranno gradualmente rimpiazzati dai suoi figli che si raggruppano in fazioni che dividono la numerosissima famiglia del sovrano.
I concilianti, che sostengono un compromesso coi Francesi, faranno capo, dopo il 1885 a Jaule Karamoko.
Gli intransigenti faranno blocco dopo il 1888 attorno a Sarankenyi-Mori, sua madre e Nyamakala Amara. Fino alla fine il saggio Morifinjan, l’amico più caro, farà la parte del mediatore fra questi gruppi rivali.
Il nuovo stato prende allora un carattere che manterrà sempre. La "rivoluzione djula" non scombussola la società antica perché la personalità dei kafu, i gruppi di villaggi, viene rispettata anche se sottomessa al governo militare che richiede un tributo e gli uomini.

L’elemento commerciante djula è il maggior beneficiario dell’ordine nuovo ed impone i propri valori che sono individualisti ma Samori ricompensa tutte le iniziative quali che siano le origini o la casta dei suoi partigiani che sono in numero considerevole dei griot o dei prigionieri ai quali donerà le più alte responsabilità.
Dando impulso sia al commercio curato dai djula che alla produzione di beni, prerogativa degli uomini di casta, l’amministrazione dell’impero non sconvolge l’antica società malinké ma al contrario ne vivacizza le forze con una politica che si potrebbe definire di monocrazia illuminata.

Samori padrone assoluto delle sue scelte

L’originalità dell’istituzione creata da Samori dipende dalla sua composizione. Effettivamente questo figlio di mercanti non ha rispettato il protocollo nella nomina dei suoi notabili, egli vuole rimanere padrone assoluto delle sue scelte.
Se all’inizio si circonda principalmente di uomini di casta di cui conosce la fedeltà, in un secondo momento sono gli uomini di religione che prendono il sopravvento.
Il Consiglio si riunisce ogni giorno, segue alla guerra il capo che il più delle volte ne rispetta il parere.
Ma in che modo le decisioni prese sono trasmesse sull’intero territorio dell’impero? Le provincie dipendono dai capi militari che le occupano e difendono la pace ma mantengono l’autorità dei capi tradizionali.
Costoro hanno fatto sì alleanza con Samori, ma continuano ad esercitare le loro prerogative, amministrando le terre e la giustizia, a condizione di fornire regolarmente tributi in uomini e natura. Un vero e proprio servizio di informazione e controllo viene esercitato da vecchi militari, senza alcun contingente proprio, messi discretamente accanto ai capi tradizionali con il compito di tenere al corrente regolarmente il loro signore e che si possono rivolgere in caso di necessità al capo della regione.
Per grazia sovrana dunque i capi tradizionali sono del tutto liberi a condizione che obbediscano! Stessa sorte per i capi regione i quali continuano a portare il titolo militare di keletigui ma sono i rappresentanti di Samori: ogni iniziativa, salvo in casi eccezionali deve essere approvata dall’alto.

Gestione e amministrazione dello stato

Lo Stato si regge sulle imposte, la più importante è quella sulla produzione, la decima; ci sono poi i diritti di mercato, altri provenienti dalle spese processuali; un’altra imposta permette di mantenere un imam in ogni villaggio.
Oltre a ciò il bottino di guerra senza il quale queste risorse non sarebbero sufficienti a mantenere l’impero.
Anche il problema dell’approvvigionamento delle armi indirettamente favorisce la produzione e il commercio: per acquistare le armi indispensabili alla difesa, Samori orienta l’attività nazionale verso l’esportazione di derrate agricole (Kola e caucciù), di prodotti provenienti dalla caccia (avorio) di minerali (oro).
E’ purtroppo impossibile dare in breve un’idea esatta delle conseguenze che la gestione e le guerre di Samori hanno avuto; bisognerebbe parlare delle sue innovazioni militari, della costruzione di fortezze, della gerarchia, della disciplina che ha saputo imporre nel suo esercito, così come del modo con cui ha risolto dei problemi di amministrazione giudicati secondari da altri.
La preoccupazione di Samori, uomo eccezionale su cui riposa l’onere di far regnare l’ordine sulla terra, è quella però di trovare un elemento di coesione per legare fra loro diverse terre di conquista, senza una tradizione politica comune.
Ai suoi occhi questo non può essere altro che la religione islamica anche se le motivazioni iniziali non sono certo state quelle di una rivendicazione mussulmana, tanto è vero che a Sanankoro aveva preso il titolo di faama, quello dei conquistatori tradizionali.
Nel 1884 quindi, al massimo dell’espansione territoriale, durante il Ramadam si fregia del titolo di almami come alcuni sovrani del Fuuta Jalon.