| Un impero transitorio
Il nuovo impero che va da Sassandra al Volta Bianco inaugura
l’era del transitorio.
Il disastro di Kong porta un’insperata tregua con la Francia che almeno
temporaneamente vede nel capo africano una comoda barriera contro la penetrazione
inglese. Dal canto suo Samori mette a profitto i due anni che seguono.
A partire dal 1886 assembla il nuovo impero che va da Sassandra al Volta
Bianco. La città più a nord è Sankana nel Gonjia mentre
quella più a sud è Anybilékrou in un territorio limitrofo
all’impero ashanti. E’ evidente che la conquista di queste terre non è
stata facile. L’impero vanta la famosa città di Kong, la cui rinomanza
era così grande che l’almami fu costretto a trattare: non solo la
città non dovette pagare un tributo ma fu Samori stesso che dovette
impegnarsi a fornirle ogni anno, in occasione della Tabaski, degli schiavi
e del bestiame. Vanta il venerabile reame degli Abron che malgrado l’impeccabile
organizzazione militare ha dovuto arrendersi a Samori. A questo si aggiunge
il reame di Bouna, cantato nella tradizione antica, che indebolito da difficoltà
interne e dall’invasione dei Lobi, è costretto ad arrendersi a Samori
che non si fermerà che a Gouronsi. E’ infatti un nuovo impero che
si erge contro l’invasione europea che non ha nulla da invidiare, in quanto
a vastità, a quello di Bissandougou ma che presenta caratteristiche
totalmente diverse. Innanzi tutto i partners dell’almami non sono più
le popolazioni sudanesi ma quelle della foresta, coltivatori d’ignami,
venditori di cola, preziose per i transiti del commercio delle armi, popolazioni
che devono essere blandite o sfruttate senza mettere a repentaglio la loro
indispensabile sopravvivenza. Secondariamente l’organizzazione del nuovo
Stato è ben lungi dall’avere quel carattere di interna armonia del
primo impero quando Samori,ancora inconsapevole della minaccia europea,
costruiva per l’eternità nel cuore delle sue terre circondato da
fratelli della stessa religione e dello stesso sangue. Ora tutto è
sconvolto. Il pastore non accoppia più i suoi vitelli perché
i suoi pronipoti possano gustare il sapore del latte, il mercante non accumula
più i cauri e la polvere d’oro per creare degli scambi che torneranno
utili ai suoi figli. L’Africa è entrata nell’era del provvisorio.
Si vive alla giornata, ci si meraviglia di essere ancora vivi: "Noi vivevamo
nell’eternità ed ecco che la precarietà ci ha avvolti nell’onda
del suo fiume, ci ha riempito la bocca con la sua melma dal cattivo odore.
I nostri passi sono prigionieri nelle sue sabbie mobili. Non non possiamo
più niente." Il territorio è suddiviso in centri militari
che non amministrano più; mentre le strutture del primo impero cercavano
di unificare le popolazioni, le nuove accettano le differenze politiche
o religiose. L’almami colonizza o patteggia ma non integra, non tenta di
ricreare quella struttura che faceva del suo impero uno degli Stati più
potenti e meglio organizzati dell’Africa. Nelle trattative con la Francia
mette sempre in evidenza il desiderio di ritornare in patria perché
i popoli che controlla e gli europei che premono da ogni lato sembrano
attendere l’occasione della sua caduta: "Questo paese non è il mio.
La lingua non è la mia, le tradizioni sono differenti da quelle
che io conosco. Tutto mi è ostile in questo paese, non vi sono cresciuto,
non vi ho sotterrato nessuno dei miei antenati e quando vado per le campagne,
la gente domanda chi io sia."
La corsa ai cavalli
Ormai gli Europei accelerano la corsa per dividersi l’Africa,
corsa dalla quale gli Africani sono tagliati fuori. Si tratta di una battaglia
fra imperialismi in cui i capi locali che non sono a conoscenza del progetto
giocano il ruolo di semplici pedine. Dal Trattato di Berlino in poi
Inglesi, Francesi, Tedeschi si contendono la preda. I Francesi dominano
ormai quasi totalmente l’Africa Occidentale e gli Inglesi si sono resi
conto, sia pur in ritardo, della necessità di conquistare l’interno:
la Sierra Leone è isolata e la Gold Coast (il Ghana attuale) è
presa fra una tenaglia. Non c’è da meravigliarsi che i capi africani
e Samori stesso, ignorando il mercato politico che Francesi e Inglesi conducono,
non si rendano conto dell’enorme coalizione che sta per opprimerli. Se
l’almami sa che i Francesi del Sudan sono ostili, mitiga il suo giudizio
riguardo a quelli della Costa d’Avorio e non può capacitarsi che
gli Inglesi, leali commercianti della Sierra Leone, si trasformino in predatori
se vengono da Accra. Il suo esodo a est l’ha messo in un punto essenzialmente
strategico che ostacola l’espansionismo europeo. La regione comprende però
oltre a quello di Samori almeno altri tre grandi imperi: l’Ashanti, il
cui re Prempeh gode del favore britannico, l’impero Mossi di secolare tradizione
e quello di Kenedougou con capitale Sikasso, oltre ad altri minori come
l’antico impero dioula di Gwiriko. Viene da chiedersi: se avessero formato
blocco, avrebbero potuto sopravvivere? Ma la loro presa di coscienza avverrà
troppo tardi. Allo stato attuale delle cose, l’almami benché blandito
ufficialmente da Inglesi e Francesi, è più che mai isolato.
La marea bianca lo circonda e l’esodo imposto alla sua gente gli sembra
improvvisamente inutile.
Ancora un anno trionfale prima della tragedia finale
Tutto inizia all’epoca del cosiddetto hivernage, la stagione
delle piogge nel luglio/agosto 1897 quando Samori, in occasione
di quelli che saranno gli ultimi negoziati pacifici coi Francesi, propone
di cedere loro Bouna, città della Costa d’Avorio quasi al confine
con la Gold Coast. Dopo le fortunate campagne contro Kong e Bobo Dioulasso
per tenere aperte le forniture di cavalli provenienti dall’ansa del Niger
e aver conquistato tutto il regno di Gwiriko, e la schiacciante vittoria
di Sarankényi-Mori contro il britannico Henderson, Samori rifiuta
di approfittare delle vittorie e offre alla Francia un’alleanza strategica
in cambio dell’autorizzazione a ritornare a Sanankoro. L’almami sa che
Bouna interessa anche agli Inglesi, e facendo prova ancora di genio diplomatico
cerca di lanciare una contro l’altra le due potenze coloniali per ottenere
una nuova dilazione. Per la Francia accettare Bouna e firmare con l’almami
un trattato ufficiale è una vittoria sicura. Data la difficoltà
d’ottenere il rapido benestare di Parigi, il Comandante della regione Niger-Volta
organizza una missione preliminare al comando del capitano Braulot. Ma
questa strategia si muta in catastrofe. Pare che il partito della guerra,
raggruppato intorno al figlio Sarankenyi-Mori, non accettasse volentieri
il nuovo corso degli eventi e che i sofa nutrissero troppo odio contro
i Francesi e che, incaricato di consegnare loro la città, Sarankényi
non potesse impedire ai suoi uomini di massacrare la colonna francese il
20 agosto e di uccidere Braulot. In verità le versioni divergono
molto fra di loro. Da parte francese si pensa in un primo tempo a una premeditazione,
ma poi l’ipotesi sembra assurda prendendo in considerazione la continua
preoccupazione di Samori di non alienarsi le relazioni con la Francia.
La guida di Braulot che riesce a scampare al massacro pretende che si fosse
trattato di una banale lite a proposito di donne, degenerata poi in battaglia
e che Braulot fosse stato colpito da una pallottola vagante. Secondo la
tradizione orale, Deme, un uomo molto vicino a Samori, racconta che si
era sparsa la voce fra i sofa che i Francesi avessero teso un’imboscata
e che la situazione fosse sfuggita di mano. Comunque Samori, messo al corrente
della morte di Braulot, monta su tutte le furie e rientrato a Dabakala
si adopera in ogni modo per dimostrare ai Francesi che si trattava di un
incidente ma, fin troppo consapevole di quello che sarebbe accaduto, dichiara:
"Che io lo voglia o no, sarà guerra. E durerà fino alla mia
morte."
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