Una scuola tra le colline

Chi percorre la Route Nationale Inter-Etats che attraversa da sud a nord l’intero Benin, lasciate le coste umide del Golfo di Guinea, si infila nelle alte foreste di tek delle regioni centrali per poi sfociare sulle ampie onde verdi dell’altopiano settentrionale. Continuando verso nord l’orizzonte diventa infine frastagliato a causa dei profili irsuti dei rilievi dell’Atakora.

Villaggi nascosti

Arrivati al piccolo centro di Copargo, verso ovest si vedono alcune colline tondeggianti. Verdissime nella stagione delle piogge, quando la terra si asciuga sotto l’alito dell’harmattan, mostrano il loro scheletro nudo fatto di rocce e anfratti. Qui sorgono i tre villaggi abitati dai tangba, piccola popolazione di agricoltori, profondamente legata alle proprie tradizioni, nonostante l’esodo e le trasformazioni si facciano sentire. Fino a un paio di anni fa, arrivando da Copargo, il villaggio di Seseirhà era quasi invisibile. Nella stagione secca il grigio delle capanne si confondeva con quello dell’erba bruciata. In quella delle piogge il miglio e l’erba alta nascondevano quel villaggio aggrappato alle colline.

Si va a scuola

Oggi, a due passi dalla pista, spiccano due costruzioni rettangolari. La prima è semplice, fatta di terra come le abitazioni del villaggio. L’altra è in muratura, solida, dipinta di rosa. Tra i due edifici, appeso al ramo di un grande albero di mango, penzola un grosso ingranaggio arrugginito. Ogni mattina un bambino impugna una vecchia biella spezzata e inizia a battere sull’ingranaggio. Ecco arrivare di corsa un’ottantina di bambini e bambine provenienti da Seseirhà e dai villaggi circostanti che schizzano di corsa nelle aule. L’edificio più piccolo è la scuola costruita dalla gente del villaggio, con l’aiuto di alcuni amici che avevo coinvolto nella storia. L’altro è la nuova scuola, costruita dallo Stato dopo aver riconosciuto la volontà della gente del villaggio.

Idrissou il maestro

Ottantaquattro bambini frequentano le prime due classi. Il venerdì i piccoli coltivano un piccolo campo accanto alla scuola: «Così si procurano il cibo per l’intervallo di mezzo giorno» dice Idrissou, il maestro, che ogni giorno percorre in motorino la pista che collega Copargo a Seseirhà. Il mercoledì pomeriggio, quando sono liberi dalla scuola, vanno a raccogliere un po’ di legna per portarla a scuola e cucinare. «Il villaggio è rifiorito grazie alla scuola. Un villaggio che sembrava destinato a morire è invece diventato un centro importante. Un sacco di bambini vengono a scuola qui da altri villaggi, persino da Copargo». Idrissou non lo dice, ma tanti vengono perché lui è considerato un ottimo insegnante.

La vicenda del mercato

Nel 1995, dopo avere trascorso in più riprese circa un anno nel villaggio, venni chiamato dagli anziani che mi avevano accolto e sopportato per tutti quei mesi durante i quali li avevo tormentati con le mille domande che è solito fare un antropologo sul campo. Il villaggio era appena uscito da una vicenda legata al mercato locale, dalla quale era emerso che la gente di pianura, alfabetizzata, avendo la possibilità di interpretare leggi e regolamenti, cioè di fare politica in modo istituzionale, risultavano sempre avvantaggiati su di loro.

Difficile andare a scuola

A Seseirhà quasi nessuno era alfabetizzato. Eccetto pochissimi anziani, che avevano avuto a che fare con l’amministrazione coloniale, a parlare il francese erano in tre o quattro. A Seseirhà, nel 1958, era stata costruita, dai padri della missione di Djougou, una piccola scuola in terra. L'esperimento durò pochi anni e nel 1966, dopo una rottura dei rapporti tra i missionari e l’insegnante, la scuola venne chiusa. Oggi di quel piccolo edificio rimane solo il ricordo, mal conservato dai resti di due muri, rosicchiati ogni anno di più dalla pioggia. I bambini di Seseirhà hanno allora iniziato a frequentare la scuola di Dur, dall'altra parte della collina. Poi a poco a poco hanno cessato di andare e ora nessun bambino del villaggio frequenta la scuola. Tale situazione non costituisce un'eccezione nell'Atakora. Dai dati del censimento risulta infatti che l'88 % circa degli individui di lingua yom è completamente analfabeta e il problema non sembra avviato a una soluzione. Infatti basta guardare le percentuali di analfabetismo relative a diverse fasce d'età, per notare come non ci siano differenze sostanziali tra le fasce più anziane e quelle più giovani.

Fare qualcosa per la gente

Arrivai alla capanna del capo villaggio che il consiglio era già riunito. Con un lungo giro di parole quegli anziani mi spiegarono che avevano capito che occorreva che i loro piccoli andassero a scuola. Bisognava puntare sui giovani. Ascoltavo imbarazzato e affascinato a un tempo. Imbarazzato perché non volevo fare promesse che non avrei potuto mantenere. Mi ero davvero affezionato a quella gente, a quelle case, a quella storia. Affascinato per l’idea di potere finalmente fare qualcosa per loro, restituire un po’ di quello che mi avevano dato. E anche perché guardando quegli anziani, veniva da pensarli legati ineluttabilmente alle loro tradizioni, immobili, mentre invece erano proprio loro a proporre un cambiamento così forte. Loro, le radici della storia capivano che per vivere in un paese che cambia occorre capirlo. Cosa sarebbe cambiato con la scuola? Difficile dirlo, ma era meglio perdere qualcosa e sopravvivere, come lo scacchista sacrifica un pezzo per vincere la partita. Questo, quegli anziani della collina lo avevano capito.

Aiuti per la scuola

Tornato in Italia raccolsi grazie ad amici e conoscenti una piccola somma, sufficiente ad acquistare la lamiera per il tetto e le prime attrezzature. A costruire il primo edificio fu la gente del villaggio e un ragazzo, che aveva studiato a Cotonou, si offrì di fare l’insegnante, accontentandosi della somma che la comunità poteva dare. Poi, nel 1998 lo Stato riconobbe la scuola e costruì un nuovo edificio accanto al primo, assegnando due maestri alla scuola. Da quest’anno, con il contributo di alcuni amici e delle autorità di Castello di Annone, piccolo paese in provincia di Asti, è stato istituito un gemellaggio tra la scuola locale e quella di Seseirhà. Castello di Annone e Seseirhà sorgono entrambi tra le colline e i bambini delle due scuole inizieranno a scambiarsi le descrizioni dei rispettivi paesaggi. Poi andranno dai loro nonni e si faranno raccontare storie del passato, scambiandosele per lettera. Così, seppur lontani, inizieranno a conoscersi.

Esigenze nate dalla comunità

Uno degli aspetti più interessanti di questo progetto, se progetto si vuole chiamare, è che è nato da un’esigenza espressa dalla comunità e non da un bisogno indotto o da un progetto prefigurato, come spesso accade in molte azioni di cooperazione. Un altro aspetto è la assoluta mancanza di strutture di intermediazione, le quali, come ben si sa, assorbono la parte più sostanziosa dei bilanci destinati ai progetti. Addirittura qui non si è fatto nulla di scritto. Tutto si basa sulla parola e sull’amicizia che ci lega. L’idea è di dare un minimo di sostegno a un’idea che in realtà è già stata sviluppata in loco, secondo un’ottica di autosviluppo.

I nuovi programmi

Ovviamente i problemi non mancano. Ho assistito personalmente a un’accesa discussione tra il maestro e alcuni genitori, tra i quali i capi e i sacerdoti della terra, tutti contenti che i loro figli vadano a scuola, ma con alcune perplessità sui metodi moderni di Idrissou. «I nuovi programmi privilegiano la ricerca da parte dei bambini più che l’apprendimento con le lezioni classiche. Il problema è che questi programmi vanno bene per i bambini di città, ma qui nessuno dei genitori sa leggere e i piccoli non hanno supporti a casa». Alcuni anziani vorrebbero ritornare ai metodi classici, ma Idrissou li ha quasi convinti che i frutti arriveranno presto. «E’ il prezzo che deve pagare questa prima generazione di scolari, dovranno faticare più degli altri, ma ce la faranno» dice e intanto indica quella torma di bambini che corrono dietro a un pallone sgonfio, alzando nuvole di polvere ai piedi della collina.

Marco Aime