"Noi qui siamo stranieri" affermano all'unanimità i sawa tangba. Infatti i clan aristocratici che detengono le chefferies sono
di origine Gourmantche e Bariba, le due etnie più rappresentative sotto il profilo militare, che hanno instaurato nel paese la
loro tipica struttura politica.
Tradizionalmente ogni sawa gestisce un quartiere, occupandosi di dirimere le questioni tra
le famiglie o tra gli individui. La sua autorità è, come vedremo, bilanciata da altre forme di potere distribuite tra individui con
competenze diverse.
Il sawa abita in un palazzo che ha la stessa struttura del compound, ma è di dimensioni maggiori. Nella capanna centrale,
dove sono conservati gli oggetti storici della sua famiglia (armi, abiti, amuleti), siede abitualmente su di una panca in pietra o
in terra, ricoperta con una pelle. La pelle, generalmente di capra, è un elemento distintivo in quanto segna la posizione
gerarchica nelle riunioni collettive. Tra i vari sawa esiste infatti una gerarchia: "Quando si incontrano i sawa della regione, solo
uno siede sulla pelle".
La successione al trono avviene per linea patrilineare. Gli aventi diritto sono tutti i figli maschi appartenenti alla famiglia reale.
Si segue una rotazione tra i membri di ogni ramo del lignaggio. Il futuro sovrano viene scelto dall'assemblea dei sajora,
dignitari di corte e dal tung-te, il chef de terre, tra gli aventi diritto.
Quando il sawa muore, tutte le sue mogli devono tornare alle proprie abitazioni tranne le vedove più giovani che possono
sposarsi con un membro dell'altro ramo famigliare e rientrare nel saha reale. La morte del capo viene tenuta segreta per
molti giorni, fino a che il corpo è stato seppellito. Nessuno, tranne i familiari più stretti, deve vedere il corpo del defunto.
Dopo la sepoltura si suona il tamburo per avvertire la popolazione e vengono sacrificati numerosi buoi (fino a 30).
Le cerimonie per la morte del sawa possono durare fino a tre mesi e durante questo periodo le vedove non possono
assolutamente uscire dal recinto. Al termine delle cerimonie il nuovo sawa con la sua famiglia si insedia nel palazzo.
Alla morte del re segue di norma un periodo di transizione caratterizzato da un forte allentamento delle regole. In questo
periodo i membri del clan regnante possono impadronirsi di tutti gli animali domestici che circolano fuori dai recinti.
Due importanti figure operano per alleviare questa situazione di caos e di tensione: il chef de terre ed il sakpo.
Se il sawa rappresenta un potere politico acquisito dai conquistatori grazie alle loro imprese militari, il chef de terre
è l'alternativa rituale e tradizionale al potere del re. A volte viene definito "padre del re" e i suoi poteri si esprimono attraverso
alcuni momenti fondamentali della vita del villaggio come i sacrifici che inaugurano il periodo dei lavori nei campi o quelli in cui
si dà il via alla consumazione dei nuovi raccolti ai quali egli presiede. Ma soprattutto il chef de terre esercita la sua autorità su
alcune classi d'età, in particolare quella dei kumpara, giovani tra i 25 e i 30 anni che rappresentano il nerbo militare della
società tangba.
Il suo assenso è fondamentale per ogni decisione importante, ma soprattutto gioca un ruolo determinante nella scelta del
successore al trono. Nel periodo di interregno, che dura circa due-tre mesi, il chef de terre gestisce spesso, assieme al sakpo,
le rivalità tra gli eredi al trono.
Il sakpo è in genere il figlio di una sorella del re e viene nominato dai sajora. Non ha potere politico, ma deve assicurare
l'interim durante i tre mesi di interregno tra la morte del re e la nomina del suo successore. Il sakpo, a cui spetta una parte
dell'eredità, non sceglie direttamente il candidato, ma il suo parere è influente e inoltre ha potere di veto.
"Il sawa è come il presidente: comanda tutti dall'alto. Gli specialisti rituali sono come il sottoprefetto, comandano da vicino,
perché conoscono la gente". Così un anziano tangba mi ha descritto le diverse prerogative delle autorità tradizionali.
E' facile riconoscere gli specialisti rituali nei villaggi tangba. Non indossano abiti, tranne un perizoma in pelle, portano un
cappello rotondo fatto di rafia intrecciata e reggono in mano l'immancabile pipa. Tutti gli specialisti sono di origine lama o sola,
gruppi appartenenti all'etnia kabre, stanziata nel Togo nord-orientale. Anche la carica di boro-te è ereditaria e la scelta avviene
all'interno delle famiglie designate con prerogative simili a quelle per l'elezione del sawa, facendo prevalere le qualità personali
alla posizione strutturale.
A ogni specialista rituale è affidata una mansione particolare. Banda di Tyaklero è responsabile
della pioggia ed è a lui che ci si rivolge in caso di siccità; Danierì di Galorhà lo è della guerra, in caso di scontro è lui a guidare
gli uomini nella lotta; Adjana è incaricato di seguire l'altare di Foung-nor, che svolge un ruolo fondamentale per quanto
riguarda la fertilità femminile e agricola. I borol, gli altari degli specialisti rituali, sono sparsi sia nei villaggi sia nella campagna
e hanno forme diverse.
Quasi tutti i boro-te conoscono l'arte di curare con le erbe. Non è raro infatti vederli tornare dai
campi con la loro calebasse piena di erbe raccolte nei boschi, che custodiranno nelle loro abitazioni.
La vita degli specialisti rituali è fortemente condizionata da una serie di regole di comportamento che contribuiscono
a ribadire la loro diversità rispetto agli altri membri della comunità. Abbiamo già detto del tabù dell'abbigliamento,
i boro-te non possono portare abiti; non possono mangiare cibi che non siano tradizionali e assolutamente cucinati nelle
loro case.
E' vietato mangiare roba in scatola, bere birra in bottiglia, mangiare cipolle, arachidi o altri cibi giunti in terra
tangba in epoca recente. Anche i loro movimenti sono limitati: alcuni di loro non possono lasciare il quartiere dove abitano,
altri, come Danierì, se lasciano il villaggio devono portare con sè il loro cibo e riportare al villaggio le feci.
Inoltre nessun
boro-te di un villaggio potrà mai recarsi in un villaggio di fondazione più recente. Ci si muove sempre dai villaggi più
recenti verso quelli più antichi: "E' il prefetto che va dal presidente, non il contrario" affermano i Tangba con la loro innata
tendenza a fare paragoni tra la loro struttura tradizionale e quella amministrativa moderna.
Il comportamento degli specialisti rituali tangba si richiama a un ideale di purezza legato alle origini, in contrasto con le
trasformazioni avvenute in seguito. Il rifiuto di indossare abiti può essere interpretato come una riaffermazione della propria
identità originale. L'abito è un elemento importato dalla cultura islamica prima e dall'Europa poi, la nudità è l'abito degli antenati.
I boro-te hanno lasciato ai sawa il compito di occuparsi degli stranieri, altro evidente segno del loro non volersi contaminare.
Anche il cibo deve essere quello degli avi, quello di sempre. Il loro legame con la terra e quindi con gli antenati, è confermato
dal divieto di abbandonare il villaggio e addirittura non potere abbandonare fuori resti propri come le feci. E il potersi dirigere
solo verso i siti più antichi non è forse anche questo il segno di un cammino, che tende ancora una volta verso le origini?
Anche molte delle proibizioni matrimoniali tradizionali sono trascurate, mentre una delle prerogative di chi ricopre il ruolo
di specialista rituale è di non essersi mai sposato con una donna straniera.
La coscienza di una purezza perduta, che significa
anche identità perduta o almeno più confusa, rafforza l'importanza dei boro-te. «Lassù, sulle colline, c’è la storia» dicono,
con un certo timore reverenziale, gli abitanti della pianura che circonda le colline. Sanno che lassù, in quei villaggi tempio,
vive ancora la loro storia.
L'autorità degli specialisti rituali non è però limitata a un'azione di tipo religioso, ma nasce
anche dal loro controllo sui gruppi d'età. Il sistema di classi d'età costituisce l'asse portante del sistema tangba e dà vita alla
formazione di gruppi che tagliano trasversalmente le linee discendenza, creando nuove forme di alleanze. Anche l'istituzione
del rapporto demni/dembiha, nel quale ogni individuo sceglie un "figlioccio" al di fuori della propria famiglia, contribuisce
a rendere ancora più intricata la rete di relazioni interclaniche.
I gradi di età prevedono un alternarsi di periodi di 5 anni
ora caratterizzati da divieti e pratiche religiose, ora liberi. Durante i periodi "religiosi" sono i boro-te a istruire i membri
del gruppo e ad assumerne la responsabilità.
Tramite il controllo delle classi d'età si pratica un'azione politica che assume
ancora maggior peso nella partecipazione, da parte degli specialisti, alle assemblee di villaggio. Sawa e boro-te si incontrano
spesso e concertano soluzioni comuni, consci ognuno del suo ruolo e delle sue prerogative.
Però mentre il sawa non si
occupa assolutamente di questioni rituali e di cerimonie, alcuni boro-te collaborano con lui nelle scelte di tipo politico,
mai in quelle amministrative.
Se come afferma Kopytoff le manifestazioni rituali ricordano il primato di arrivo di coloro che ora sono chefs de terre
(1987:56), dovremmo supporre che gli specialisti rituali sono anche i responsabili della terra, coloro a cui ci si deve
rivolgersi per stabilirsi nel villaggio o per qualunque questione riguardante la terra.
Su questo punto c'è invece una certa
confusione. Molti boro-te si arrogano tale titolo e in alcuni casi viene loro riconosciuto dai villageois, in altri casi,
la maggioranza, chef de terre è un anziano, come nel caso di Tchourou di Seseirhà, che pur essendo discendente
del fondatore non riveste cariche rituali.
Tchourou era però il sawa più importante di Seseirhà fino agli anni Cinquanta, prima che la famiglia di Tiniga Sawa,
attuale sawa in carica, assumesse un ruolo di predominanza grazie all'intervento dei coloni. Ancora una volta ci troviamo
di fronte a una struttura sociale che è frutto di una contrattazione, segno di una dinamicità spesso disconosciuta alle
società africane e che testimonia invece come solo una raffinata rete di relazioni incrociate abbia permesso a gruppi di
origine diversa di convivere e di dare origine al popolo Tangba.