Ciò che ha condotto gli antropologi a speculare sul fatto che l'Africano
non rende culto a Dio è, in parte, la sua affermazione dell'assoluta
trascendenza di Dio.
Nelle interviste, per esempio, alcuni Africani - probabilmente sorpresi e
condizionati da un questionario cui non erano abituati - continuano a
ripetere che una volta Dio creò il mondo, poi si ritrasse in una specie di
immobilità trascendente, di pigrizia indifferente, senza prendersi più cura di
alcuno, lontano dal mondo la cui protezione egli affidò a creature
intermediarie.
È possibile che un tale modo di esprimersi sia stato formulato, ma certamente
da Africani non specializzati, che di conseguenza non sono interpreti
credibili. Essi non hanno una conoscenza profonda della saggezza tradizionale
e neppure sono portati ad esprimersi nel tipico modo di pensiero ancestrale;
ed essi sono ancor meno esperti quando si tratta di spiegare le articolazioni
e le motivazioni profonde ditale eredità ancestrale. Di conseguenza non ci si
può attendere che le loro risposte forniscano affermazioni scientifiche o
indichino ciò che l'Africa realmente crede, o anche che essi sappiano
interpretare il suo pensiero tradizionale.
Per esempio, quando tali informatori sono importunati da una serie di domande
inconsuete ed impegnative, si sentono obbligati a fornire una qualche
spiegazione sensata: "Dio, nella sua perfezione, è troppo grande e troppo
lontano per avere a che fare con il mondo che egli ha creato oppure, più
sovente, diranno: "È così che i nostri Antenati ce l'hanno tramandato; fu
stabilito e trasmesso così, senza cambiamenti, dai nostri Antenati". In
questo modo essi giustificano la protezione del mondo, affidata ai numerosi
esseri intermediari, e anche la loro astensione da tutto il culto divino
pubblico, obbligatorio, periodico. È facile immaginare la soddisfazione
palese di colui che intervista, il quale vedendo che la risposta datagli
corrisponde all'idea che aveva già in precedenza, con semplicistica
soddisfazione è convinto che la sua ricerca sia stata pienamente ricompensata.
Tale è la reazione di un intervistato non specializzato. Ma se si avvicina uno
specialista, un anziano, un saggio, iniziato ai misteri della saggezza degli
Antenati ed esperto nel pensare e nel giudicare, il suo ragionamento, tipico
della logica africana (che non è lineare ma concentrica), sarà di questo tipo:
"Non è Dio il creatore della vita? Inoltre, concretamente, non riceviamo noi
la vita dai nostri genitori? È Dio che ci mantiene in vita. Se per un momento
tu smetti di respirare o di mangiare o di bere, non smetterai contemporaneamente
di vivere? Insomma, non è il cosmo che riempie tutto l'uomo di vita e di
salute?".
E se si chiedesse all'uomo saggio una definizione di vita, egli non darebbe
altra spiegazione che la descrizione concreta e realistica di un'esperienza
vissuta:
"Vivere è comunicare, attraverso il respiro, con l'aria che ti circonda;
attraverso il mangiare e il bere comunichi con il regno minerale, animale
e vegetale; attraverso l'amore e il pensiero comunichi con il mondo umano;
e attraverso la preghiera e l'accoglienza delle sue benedizioni comunichi
con Dio creatore".
Da questo modo di ragionare, che costituisce il fondamento di ogni pensiero
simbolico africano, caratterizzato dalla tendenza ad argomentare attraverso
domande e immagini, emergono due principi innegabili: da una parte la comunione
vitale che inestricabilmente riguarda tutto l'uomo, la sua società e il suo
ambiente; e dall'altra la protezione del mondo che è affidata agli uomini
- gli Antenati - maestri del cosmo. Tutto ciò è conforme al processo creativo
e alla conservazione del mondo medesimo.
In altre parole, la comunione vitale e la mediazione sono inseparabilmente
unite con il governo del mondo da parte di Dio creatore. Da ciò è facile
comprendere la primaria importanza dei mediatori, e particolarmente degli
Antenati, degli spiriti guardiani e tutelari, ecc...
L'abilità di analizzare nei minimi dettagli la connessione tra Dio e gli Antenati, e tra questi ultimi e gli spiriti, fa parte di un modo di pensare che non è tipico della mentalità africana. Di conseguenza, sembra proprio naturale agli Africani che Dio e le sue relazioni siano circondati da un certo mistero, se non altro per riverenza alla sua persona. Di più, all'interno e attorno a tutte le cose, essi percepiscono sempre un'aria di mistero che rende la vita inesauribilmente desiderabile e dilettevole.