Il racconto: voce sociale e sociologica

Il racconto è stato spesso esaminato come testo letterario sotto i suoi differenti aspetti. E' stato anche approfondito dal punto di vista antropologico.
Questo studio si pone in una prospettiva sociologica per analizzare questi testi che la vita sociale offre in spettacolo. Il racconto cosa dice della società? Cosa rileva fondamentalmente? In che misura è voce sociale? Si presenta anche come analisi della realtà? Coglie i rapporti sociali? Raggiunge gli scopi? Più semplicemente, il racconto ci fa comprendere meglio la nostra società?
Lo studio si basa su un'antologia di storie agni-aona della Costa d'Avorio raccolte da Jean-Paul Eschlimann e Silvano Galli, e riunite in un fascicolo intitolato: "A tavola con i vecchi". E' più semplice riferirsi ad un solo gruppo etnico piuttosto che dedicarsi ad un lavoro di raccolta di testi provenienti da diverse etnie avoriane per uno studio comparativo. C'è una omogeneità, nel contesto socio-culturale, che favorisce l'analisi dei testi.
Si deve innanzitutto indicare come la storia abbia un nesso con la realtà sociologica, al di là della realtà sociale. Tenendo presente questo elemento di fondo, sarà più facile capire il seguito. Studieremo, con esempi precisi il racconto: il discorso che legittima l'ordine e quello della contestazione sociale.

Il racconto: uno spaccato della società

Il racconto è una morale di secondo grado, spesso con un travestimento, un simbolismo, un secondo significato che si capisce bene solo attraverso il mondo fittizio della recitazione. Contiene insieme il mito, la leggenda, la storia, la fiaba, i canti, le cantilene, le storie cantate, ma se ne differenzia anche.

Arte e letteratura

Il racconto è, di solito, un testo polivalente a carattere letterario, ludico, didattico... Arte della parola, è una letteratura totale che comprende contemporaneamente storia, recitazione, poesia, canto, epopea, mimica.
Il racconto parla della realtà: la trasferisce, rispecchia elementi sociali di ogni genere; informa sulla società, sui costumi, i divieti, le pratiche, su i modi di agire, di pensare, di essere. Per questo è un mezzo di socializzazione molto apprezzato: è un testo che trasmette, di fatto, l'insieme dei valori culturali e delle norme di comportamento.
Questo "spaccato" sociale offre anche materiale importante di analisi sul manifestarsi della società tradizionale.
Infatti il racconto fa parte delle pratiche collettive che equivalgono a una teoria sociale. In effetti, più che riferire dei fatti sociali, cerca di spiegarli. Il rischio di spiegare tutto ciò che è, ciò che succede, ciò che non si capisce bene, porta il racconto a divagare, ad andare qua e là, nel desiderio vivo di sapere chi aggredisce, trasgredisce, sovverte e rivela la realtà sociale nella speranza di smascherare ciò che nasconde nel suo seno.

Capire i meccanismi della vita sociale

L'uomo prova il bisogno quasi istintivo di spiegarsi i segreti della vita sociale, l'origine e la natura dei fenomeni familiari; da qui, l'importanza delle storie eziologiche e delle storie delle origini nell'universo dei racconti. Questi racconti cercano di riordinare e interpretare i fenomeni che colpiscono, di spiegare e giustificare i conflitti, le contraddizioni così come le trattative e i compromessi della vita attuale.
Il racconto va spesso in profondità. Per esempio, diverte, ma al di là del gioco, dice la verità sulla vita sociale nascosta. Come sottolinea il vecchio Brou Angui "Si dice che i racconti sono menzogne; ma non è vero. Se si capisce a fondo le cose, non si può dire che i racconti siano soltanto storie. I racconti si rivolgono a tutti, alle donne, ai bambini, ai giovani, alle ragazze e ciascuno ci trova il suo tornaconto".

Alla scoperta di verità nascoste

Il racconto non è semplicemente una cascata di parole, è un gioco con una posta che, tra le parole, si prende la libertà di scoprire, smascherare, catturare la verità sociale non rivelata, senza ferire ma anche senza accomodamenti.
Il racconto si tuffa nel cuore della società, nel centro delle relazioni umane e dei rapporti sociali. Meglio che una descrizione della società, è un'analisi sociologica. Se all'inizio parla di una realtà sociale si riferisce a una realtà sociologica attraverso una ricerca sui legami significativi delle relazioni, al di là delle apparenze e delle strutture esistenti.
Tende a far risaltare l'essenza della società: la società è una comunità che mantiene l'ordine sociale; ma con un forte consenso conosce anche il movimento, le tensioni, le difficoltà, le resistenze al cambiamento, i disordini, l'abuso di strumenti sociali e culturali. Ci sono forze d'opposizione, con interessi divergenti riguardo all'assetto culturale dominante.

Legittimazione e contestazione dell'ordine sociale

Questo è evidenziato, nella narrazione, mediante il discorso di legittimazione dell'ordine e dei privilegi e per mezzo della contestazione sociale.
Il racconto rivela nettamente l'esistenza di due grandi gruppi che si oppongono all'interno della società: quelli che dominano e i dominati. Da una parte, dunque, il gruppo dominante, che ha il potere di mobilitare le istituzioni e i valori per difendere il proprio interesse e assicurare il perpetuarsi dei suoi privilegi (la sua ideologia si nasconde sotto principi astratti); dall'altra il gruppo dominato che si difende, resiste, protesta. I dominati sono rappresentati nella narrazione dal povero, dal debole, dal bambino, dall'orfano, dal bambino piagato, dalla lepre, dal ragno ecc.
I dominanti sono quelli che traggono vantaggio dell'ordine stabilito. Sono rappresentati dai potenti, i notabili, i re, i ricchi, i fortunati, i geni, Dio, l'elefante, il leone, la pantera e talvolta i genitori, la stessa comunità del villaggio in quanto tale, il ragno (che a volte si trova anche in questo gruppo).

Personaggi, simboli e comportamenti

Bisogna sottolineare che i personaggi del racconto non sono semplici invenzioni; sono personaggi allegorici, veri simboli con compiti e comportamenti previsti. Per esempio il ragno incarna, di solito, l'astuzia, la malizia, l'intelligenza; ma gli può capitare di essere stupido, come può esserlo, a volte, un uomo intelligente. Questo significa che nella vita non si è sempre eroi, santi o vincitori; l'imperfezione e la sconfitta fanno parte della realtà umana.
Altro esempio: il bambino, essere insignificante, è scelto per parlare da adulto ad un adulto; gli rivela, in particolare, i suoi limiti quando ha l'illusione e la vertigine della sua importanza, della sua grandezza, del suo potere. Quanto ai re della giungla (elefante, leone, pantera, leopardo) simbolizzano la forza, la potenza, l'orgoglio, l'autorità, il potere. Sono il simbolo di tutti coloro che approfittano della loro posizione sociale o politica per abusare degli altri.
Il racconto presenta e analizza i rapporti sociali, i conflitti di potere, d'influenza e d'autorità così come l'azione culturale.

Discorsi di ordine

Un ordine, stabilito a vantaggio di alcuni, si presenta sempre come al servizio dell'insieme della società. Si legittima insistendo sull'unità della società; questa si comporta da padre di famiglia che si fissa degli obiettivi e sceglie i mezzi per l'azione; regola i rapporti tra i membri della collettività e assicura l'integrazione di questa e il mantenimento dei valori.

Garantire ordine e privilegi

Le piace parlare di cultura che non è altro, in realtà, che un insieme di discorsi ideologici inculcati nella popolazione per garantire l'ordine e legittimare i privilegi stabiliti. L'ideologia dell'ordine non si espone direttamente a un confronto con un'ideologia popolare; sa nascondersi sotto principi generali e liberali, sotto la pretestuosa ricerca del bene comune, sotto il proclama e la difesa ripetuta dei valori; parla forte a nome di tutta la comunità; crede di difenderla più di ogni altro.
In concreto, cosa dice il discorso di legittimazione dell'ordine?
In un racconto Agni-Bona c'è questa idea: l'uomo, per vivere felice, deve porsi nell'ordine voluto dal Creatore; ogni infrazione a quest'ordine può portare solo spiacevoli conseguenze per il trasgressore o per tutto il gruppo sociale. Una volta, infatti, quando ci si alzava al mattino, ci si ritrovava la pancia piena senza aver fatto nulla e senza saper come.
Un giorno Ragno-padre decide, con sua moglie Koro, di aprire la pancia del loro figlio per vedere ciò che li saziava ogni giorno. Scopre dell'igname, del taro, ogni sorta di derrate alimentari che Dio metteva direttamente nella pancia. Essi vollero richiudere la pancia ma non ci riuscirono. L'ordine naturale previsto da Dio per alimentare gli uomini era turbato e perduto. Ormai l'uomo conoscerà la fame e dovrà procurarsi e prepararsi da mangiare. solo.

Pace, ordine e disordine

C'è un ordine e bisogna evitare ogni frattura che permetterebbe di stravolgerlo. L'ordine va insieme con la pace. In un altro racconto, due sorelle vivono in pace e pranzano insieme. Un giorno hanno litigato e si sono picchiate e hanno giurato di non mangiare mai più il cibo l'una dell'altra, e hanno chiesto al tuono di colpirle a morte se si fossero rimesse a mangiare insieme. I vecchi del villaggio non poterono tollerare questa situazione di odio e invitarono alla riconciliazione. Le due sorelle si perdonarono vicendevolmente e accettarono di mangiare di nuovo insieme. Una donna-diavolo (diavolo = stregone cattivo, mangiatore d'anime, persona che ha poteri occulti, doppia vista e capace di operare la notte per nuocere a distanza, per tramare, senza aver bisogno di spostarsi) della loro famiglia e sua figlia approfittarono di quella bega per giudicare maturo il tempo di "mangiare" una delle due. Dopo aver diviso un pasto con sua sorella, la primogenita si ammalò all'improvviso. Nonostante tutte le cure, tre giorni dopo, morì; la sua anima era stata mangiata una notte, di nascosto, senza che si potesse sospettare di nessuno.

Un capo per lottare contro il disordine

Il male alloggia nel centro della società e aspetta solo l'occasione di discordie e divisioni per infiltrarsi abilmente e colpire ogni attentato alla pace. E' una breccia nella società, dalla quale può nascere il male, il disordine, la morte.
Contro il disordine dell'anarchia, la gerarchia è diventata una necessità da quando si è passati da una società strettamente egualitaria a quella di oggi, gerarchica. Una volta, se si crede a un racconto, nessuno si chiamava "nanan"(avo, nonno, capo, maestro); nessuno primeggiava su un altro; non c'era un capo (padrone) da servire. Tutti vivevano ognuno per sé, e ognuno era padrone a casa sua. Ma ecco che un giorno strane cose sono cadute dal cielo creando il panico in tutto il mondo. Il villaggio si riunì e chiese al più vecchio di prendere in mano la situazione e guardare da vicino cosa fossero quegli oggetti (un grande manto di stoffa, un seggio, una coda d'elefante, dei sandali). Il vecchio osa avvicinarsi agli oggetti. Tutto il villaggio fugge e l'abbandona. Il giorno dopo gli abitanti del villaggio tornano e trovano il vecchio ancora vivo; era rimasto là. Allora uno di loro alzatosi disse: "Poiché il vecchio ha condotto l'affare e noi lo abbiamo abbandonato, è giusto che lo nominiamo nostro capo e che egli porti tutti questi oggetti, segni di regalità, poiché egli ha più coraggio di tutti noi. Se accadrà qualcos'altro, sappiamo che egli potrà guidarci e aiutarci a trovare una soluzione. L'anziana che ha accettato di tenere compagnia al vecchio, sarà la nostra "regina-madre". Ecco come sono nati il "famian", l'uomo-capo, il "himian", la donna-capo.

Fondamento religioso del potere

Così si trova giustificata la funzione del capo, del re, e nello stesso tempo si fa accettare l'idea di gerarchia. Il capo è sempre il più bravo, il più grande, il più bello, colui che è capace di dare la vita per difendere tutta la comunità. Ci vuole un capo perché ci sia ordine.
E' necessario che ci siano l'ordine e il potere se si vogliono evitare i danni del disordine. Secondo un racconto, quando l'Eterno creò l'uomo, lo fece due, maschio e femmina. Essi ebbero undici figli; essi non sapevano chi era il primogenito. Non c'era un capo al mondo. I figli andarono a chiedere a Dio di indicare chi era il loro capo. Lui fece rombare il tuono; subito una catena scese dal cielo corredata da un'amaca e da ogni ricchezza. Il tuono rombò di nuovo: un "machete" e delle zappe caddero a loro volta. Al terzo colpo di tuono il più giovane dei fratelli si trovò nell'amaca portato dai suoi fratelli. Tutti capirono che Dio aveva dato loro un capo.
Il racconto fa capire che il potere ha un fondamento religioso; e non è necessariamente il più vecchio degli eredi colui che eredita il potere, ma colui che ne ha le qualità. E a questo capo, anche se è il più giovane, è obbligatorio che tutti ubbidiscano.
Il potere è di natura divina, e non lo prende chi lo vuole; vi accede chi è di sangue regale e se ne dimostra degno per le sue qualità.
L'ideologia qui sottesa è chiara: bisogna saper rispettare il potere; questo non è alla portata di tutti e comunque non può essere usurpato dal primo venuto. Il potere ha valore solo se è ricevuto nella legalità.

Alla ricerca di saggezza e conoscenza

C'è un ordine da rispettare in tutte le cose. E' per questo, ad esempio, che la stessa conoscenza esige l'iniziazione. Questa implica che ci si sottometta agli anziani che, di fatto, sono incaricati di trasmettere saggezza e conoscenza.
Anche il cammino del sapere è di ordine sociale; passa attraverso gli altri, sopratutto i vecchi. Non c'è bisogno che ognuno si crei un nuovo cammino lungo e pericoloso poiché può servirsi di quello già tracciato dagli anziani e dai genitori. A questo proposito ecco ciò che un padre disse un giorno a suo figlio che cercava di sapere da solo il senso della vita e del mondo:" Se vuoi fare la tua esperienza, va, sei libero; ma quella strada è molto lunga". Il ragazzo prende il suo cavallo, ed eccolo in cammino.

Simboli da decifrare

La prima cosa che egli vede è un campo di mais: una parte aveva gli steli giovani, un'altra i gambi con il mais maturo e un'altra i gambi e pannocchie secche. Il ragazzo si stupisce. Più tardi vede un elefante con una piccola freccia avvelenata che può uccidere in un fianco; si lamentava: "Questa cosa non posso sopportarla, perciò me ne vado". Il ragazzo continuò la sua strada. Più avanti si trovò faccia a faccia con una cerva reale crivellata da piccole frecce; diceva:" Questo è il villaggio di mio padre, io resto; è qui che posso sopportare la sofferenza".
Il ragazzo guarda attentamente e continua la sua strada; va avanti. Arriva in un campo largo e vasto, ben ripulito dagli sterpi. Stanno facendo dei tumuli di terra per piantarvi gli ignami. Egli scorge un neonato sdraiato sul primo tumulo. Si avvicina e saluta i lavoratori. Lo fanno sedere vicino al neonato. Quando sono tutti riuniti danno dei colpetti al neonato con le loro zappe, questo si alza; i suoi capelli sono tutti bianchi. In realtà è il più vecchio di tutti. Il ragazzo è sconcertato . Gli chiedono sue notizie. Prende la parola:" Ho detto a mio padre: non conosco il senso della vita e del mondo. Vado in giro per scoprirlo da solo. Gli rispondono: "Molto bene. Se sei venuto per questo, vai laggiù; vedi la buca, laggiù, guardaci dentro. Vi troverai il senso della vita.

Un pozzo senza fondo

C'era là un gran pozzo molto profondo. Il ragazzo vi tuffò a lungo lo sguardo. Non vede nulla. Gli spiegano allora: "Vedi, è quello il senso della vita e del mondo che vuoi conoscere. E' nella buca che ti abbiamo mostrato. Hai visto il fondo della buca? Ritorna a casa e porta la notizia a tuo padre". Il ragazzo prende la strada del ritorno. Vuole raccontare tutta la sua avventura a suo padre. Questi lo ferma: "Non dire niente. Durante il tuo viaggio hai incontrato e visto così e così.... Ne conosci il significato? Il ragazzo risponde: "No". Il padre gli spiega tutte le cose una ad una: il campo di mais con gambi e pannocchie a diversi stadi di maturazione rappresenta il mondo con bambini, adulti e vecchi. L'elefante che si lamenta, rappresenta l'uomo importante nella sua famiglia che, a causa di un problema, abbandona la sua famiglia poiché non può sopportare ciò che gli è capitato. La piccola cerva reale, con le mille frecce, rappresenta l'uomo che resta e sopporta la sofferenza là dove Dio l'ha posto. Quanto al buco di cui tu non hai potuto vedere il fondo, indica proprio il senso della vita e del mondo. Nessuno può conoscere il senso completo della vita e del mondo, fino alla fine del mondo, escluso solo Dio.

Foresta e iniziazione

Il lungo viaggio del ragazzo attraverso il mondo sconosciuto si può paragonare ad un viaggio iniziatico, o al periodo di iniziazione. Corrisponde al soggiorno dei novizi nella foresta sacra dove si pratica l'iniziazione. Infatti i neofiti si separano dai loro genitori per un ritiro nella foresta. Dopo diverse prove, corporali, morali, intellettuali, che li spogliano del loro essere antico (morte simbolica), essi rinascono uomini adulti. La formazione e l'insegnamento ricevuto permette loro di tornare al villaggio agguerriti, per far parte della comunità adulta (degli iniziati).
Nel racconto appena narrato, il ragazzo incomincia da solo la sua iniziazione. Benché la storia sia essa stessa iniziatica, la ricerca del ragazzo non sarà soddisfatta nel modo che lui vorrebbe. Dovrà tornare da suo padre per farsi spiegare tutto.
Così i genitori, gli anziani non possono essere scavalcati anche nell'acquisizione della conoscenza. E' nell'ordine delle cose che non ci si avventuri da soli nel cammino della conoscenza; altri ci hanno preceduti; ed è naturale approfittare delle esperienze passate piuttosto che ripartire da zero.

Chiavi per leggere il vissuto

Infatti, c'è una lettura degli avvenimenti che sembra incomprensibile, quando non se ne ha la chiave. Così il padre del ragazzo sa che suo figlio non ha potuto spiegarsi tutto ciò che ha visto. Nel campo delle relazioni umane e sociali in particolare, si ha bisogno di farsi spiegare le cose a cominciare dal vissuto, dalle esperienze acquisite. Bisogna sapere, per esempio, che un grosso elefante può essere meno resistente di una piccola cerva; le apparenze sociali esterne possono ingannare. L'opposizione continua tra la saggezza e la conoscenza dei vecchi e la volontà di iniziazione "selvaggia" dei giovani al sapere è caratteristica del discorso sull'ordine; bisogna restare nell'ordine. L'ordine vive e si perpetua giustificando la sua fondatezza e creando la paura di allontanarsene. La morte viene dal disordine. E se oggi la morte è nell'ordine naturale della vita (finche c'è la vita, c'è la morte), è perché gli uomini, in un certo modo, l'hanno voluta; essi hanno dovuto subirla per i loro sbagli, almeno è quanto emerge dal racconto.

Il più grande disordine: la morte

Secondo un racconto, gli uomini divisi tra loro sulla proposta che Dio fece loro di scegliere tra l'immortalità e la certezza di morire, gli inviarono due messaggeri: il cane e il gatto. Il cane doveva dire che gli uomini non volevano morire; il gatto doveva annunciare il contrario. Durante il viaggio, il cane trova delle ossa e si mette a rosicchiarle. Il gatto arriva per primo da Dio che suggella il destino degli uomini, in accordo col primo messaggio ricevuto; il cane arriva troppo tardi.
In un'altra narrazione, un ubriaco è la causa perturbatrice dell'ordine primordiale nel quale l'uomo doveva realizzare un passaggio armonioso al mondo degli antenati, senza brutale frattura; vi arrivava senza morire. In quel tempo Dio faceva venire un Suo messaggero con una catena per salire al cielo. Quando venne il turno di quest'uomo ubriaco, costui si rifiutò di ritornare a Dio il giorno stabilito. Dio dovette colpirlo con la morte. Da allora gli uomini muoiono.
Un racconto simile a questo narra di un uomo che sconsideratamente rifiutò di tornare con il messaggero di Dio il giorno fissato, col pretesto che aveva dei sacrifici da compiere; per una settimana e tre giorni rifiutò di obbedire. Dio lo fece morire e fu sepolto sua questa terra. Da allora la morte è rimasta sulla terra.
Ecco perché nell'ordine sociale, l'incoscienza è mortale. La morte è venuta anche a causa di un arrivista. Ragno un giorno incontra Morte nel suo accampamento (allora Morte abitava nella foresta e viveva solo di animali). Ragno ruba i suoi viveri (igname, carne) e torna a casa. Arrivato, viene a conoscenza della morte di uno dei suoi figli. Malgrado le conseguenze della sua azione, Ragno s'intestardisce nel suo disegno di rubare tutto a Morte. Ritorna da Morte. L'ultima volta, Morte lo segue fino al villaggio dove si sparge dappertutto con il suo seguito di pianto e desolazione.
Esiste anche una doppia versione di questo racconto. Ragno trova il figlio di Morte nella foresta, sotto le sembianze di un giovane molto bello. Lo sottrae a suo padre, che era assente, e lo porta al villaggio dove lo presenta come figlio suo. Morte scoprirà che suo figlio è stato rapito. Inseguirà Ragno fino nel suo villaggio per ritrovare suo figlio. Ecco come Ragno introdusse la morte nel villaggio.

Sottomisisone e docilità

Nel loro profondo significato questi due racconti insinuano che ogni cosa malamente acquisita, ogni successo individuale eccessivo, introducono germi di morte nell'ordine del villaggio; la vita collettiva non sarebbe possibile se l'avidità e l'appropriazione illegale dei beni altrui dovesse essere la norma.
La società deve proteggersi. Essa non tollera, per esempio, la disubbidienza e la punisce perché costituisce un insulto all'autorità degli antenati, dei genitori e quindi al principio di anzianità e primogenitura. "E' in un certo senso, nota Pierre N'Da, un atto di rivolta che momentaneamente interrompe il flusso vitale che si trasmette da genitori a figli, dal vecchio al giovane".
La sottomissione e la docilità sono presentati come valori positivi, formano le norme immanenti della comunità. Chi obbedisce a suo padre, per esempio, obbedirà al capo e alla tradizione; rispetterà il sistema sociale, l'ordine stabilito.
La morale dei racconti è molto conformista; si richiama costantemente al rispetto della tradizione, dei divieti. Non tollera che si possa mancare alla parola data, al rispetto dei segreti dell'iniziazione, in generale, alla discrezione.

Un valore fondamentale: la discrezione

L'indiscrezione, per esempio, è segno di immaturità e di irresponsabilità: tradire un segreto è come essere spergiuro, indegno di partecipare alla società degli adulti. Ecco perché nel racconto, l'indiscreto molto spesso paga. E' capitato a Ragno. Ragno era scapolo. Scopre, un giorno, che una zampa di selvaggina che egli aveva appeso in cucina è diventata una donna. La sposa; lei vive con lui e gli fa tutto. Un giorno a Dio muore la madre. Ragno e sua moglie vanno da lui per la festa dei funerali. Partecipano alle danze. Improvvisamente Ragno si mette a cantare: "Ho ammazzato un animale; non l'ho mangiato; ho ammazzato un animale, non l'ho mangiato: il flauto mi segue". Anche la sua sposa si mette a cantare: "Ragno, non bisogna raccontare tutto. Kouakou Ananze (nome e cognome di Ragno), non bisogna raccontare tutto. Ragno non fare così. Ananze non bisogna raccontare tutto. Kouakou Ananze, non bisogna raccontare tutto, Ragno, non fare così". Insieme eseguirono la loro danza cantando a lungo. Al ritorno dai funerali, la moglie di Ragno gli chiede il divorzio e si trasforma di nuovo in animale e si appende al soffitto. Ragno perde così la moglie a causa della sua mancanza di rispetto e di discrezione.

Eroe e anti-eroe

E' denunciata anche la cattiveria sotto tutte le sue forme (crudeltà, malevolenza, ingratitudine perversa, volontà di nuocere, stregoneria distruttrice). Come, ad esempio il comportamento di quelle due ragazze: nella foresta esse ingannano la loro amica e la danno in balia di una strega "mangiatrice di carne umana". La ragazza dovrebbe morire. Riesce però a liberarsi dalle mani della strega grazie a Granchio (simbolo della potenza protettrice dell'al di là) che le rivela il nome della strega: così quest'ultima è smascherata.
La cattiveria è anche nel cuore di quella madre che obbliga la figlia ad andare nei campi, un giorno vietato; voleva la sua morte; aveva già fatto morire nello stesso modo le sue nove prime figlie. Sarà smascherata come strega. Gli anziani le diranno:" Bene! Quando una persona è cattiva fino a quel punto, noi dobbiamo occuparci di lei; andiamo a prenderla perché "aiuti" il villaggio (sia sacrificata per il bene del villaggio).
La cattiveria è abominevole. Distrugge l'individuo e la società intera.
Il racconto denuncia gli sbagli per meglio dire cosa bisogna fare o essere affinché la società viva in armonia nell'ordine sociale. Dietro la critica dei difetti che distruggono la pace sociale e l'armonia c'è una volontà di controllo sociale per giustificare l'ordine stabilito. Si potrebbe dire: si ha sempre torto a turbare l'ordine stabilito; lo si paga sempre. Le repressioni morali e fisiche, nel racconto, la violenza, anche sotto forme indegne, esprimono quest'idea in modo concreto.
Rimane che l' ordine non regna mai in modo assoluto: le proteste, le rivolte, le resistenze indicano che dietro l'apparenza dell'ordine sussistono sempre rapporti sociali di dominio e di contestazione.

La contestazione del potere

La società tradizionale africana è una comunità, con una forte coscienza della sua unità; concentrato di valori e la ricerca del consenso. Così come appare le tensioni e le opposizioni non si sviluppano, il più delle volte, che molto discretamente, attraverso e intorno ai valori, alle norme e al modo del controllo sociale. Tuttavia non è indifferenziata. Le sue norme e i suoi valori, anche se manifestati sotto forma di istituzione, corrispondono prima di tutto a gruppi sociali particolari. Per esempio, sembra una società fallocratica e gerontocratica: gli uomini e i vecchi vi sono più valorizzati che non le donne e le vecchie.

Critica dell'ordine stabilito

Il racconto lo evidenzia bene. Cioè le norme sociali tradiscono il dominio che i gruppi dominanti e dirigenti hanno sugli orientamenti culturali che sono innanzitutto strumenti di riproduzione e legittimazione dell'ordine stabilito. Ma ciò non impedisce che l'ordine possa essere contestato. Come? Ad esempio, per mezzo del racconto con una critica e un sovvertimento pacifico continui dell'ordine. La denuncia di questo poggia, a dire il vero, su una visione molto pessimista. L'ordine si rivela come quello della dominazione e anche dell'intolleranza e dell'ingiustizia.
In un racconto una madre benedice i figli che si adeguano alle norme stabilite; però rinnega un figlio che osa opporsi ai comportamenti sociali correnti: egli sceglie un mestiere che non è di gradimento di sua madre; vuole tracciare delle strade. Il ragazzo è allora obbligato a lasciare il villaggio per andare a vivere in foresta. Un giorno, la madre è in difficoltà: ha rasato, per renderla pulita, la testa di un ragazzo dai capelli ispidi, che vagava nel villaggio. Era il figlio di un genio della foresta. Questo genio, che per altro è una donna, pretende che si rimetta a posto i capelli di suo figlio. Ecco un problema insormontabile. La madre corre da un figlio all'altro ; nessuno può aiutarla. Disperata si ricorda del figlio che aveva rinnegato. Lo cerca e lo trova; gli spiega la ragione della sua visita. Il figlio chiede al genio di riunire orme dei suoi passi lasciate sui luoghi che egli abita; dopo di ciò egli potrà in cambio rimettere i capelli del piccolo sulla testa. Il genio si affaccenda: raccoglie le tracce davanti a lui, e nello stesso tempo ne fa altre dietro a lui; allora torna indietro. Ben presto sarà spossato; dovrà rinunciare alla sua richiesta. L'affare è così sistemato. La madre è salvata per l'intelligenza e l'astuzia del figlio che lei aveva rinnegato.
Il genio e la madre hanno questo in comune: la loro intransigenza. Questa intransigenza è ciò che minaccia tutti coloro che rappresentano l'autorità e che, in nome di un ordine stabilito, si dimostrano poco concilianti.
Ritroviamo lo stesso comportamento presso quel re che esige da un bambino che gli ritrovi il suo anello perduto, costi quel che costi; in realtà egli voleva la sua morte. Una volta, narra il racconto, nessuno conosceva Dio; e il re era considerato come Dio. Ecco che nasce un bambino: si vuole dargli un nome; egli rifiuta; dice di chiamarsi "Chi è colui che ha ogni potere?" E quando lo si chiama così, risponde: "Dio". Il re decide di ucciderlo per l'impertinenza del suo nome. Comincia a diventargli amico. Quando il bambino si fida completamente di lui, un giorno di festa, il re decide di agghindarlo e gli mette al dito un anello prezioso, ereditato dai suoi avi. Il re riesce ad ubriacare il fanciullo. Mentre dorme, gli toglie l'anello dal dito e lo getta in fondo al mare. Poiché il bambino era incapace di ritrovare quest'anello, il re decide di ucciderlo. Ma egli non morirà, perché nel suo ultimo pasto ritroverà l'anello nella carne del pesce che stava mangiando. Dio era veramente con lui. Da allora tutti sanno che solo Dio ha ogni potere.

L'arbitrio del potere

Il potere umano inebria. E tutti quelli che fanno parte dell'ordine dominante non sono solo gelosi delle loro prerogative ma hanno anche tendenze egoiste: vogliono tutto per loro. In un altro racconto Dio stesso non è esente da questa stortura. Vuole avere per se il figlio di Ragno, vincitore di suo figlio che sembrava invincibile. In un altro racconto, Ragno si appropria del figlio di Morte, tanto era bello. Un'altra volta vuole prendersi tutta l'intelligenza per gioirne da solo.
Sembra che l'istinto di accaparramento aumenti man mano che si acquista autorità, che si sale nella gerarchia sociale. Se ne rendono conto quelli che ne sono le vittime.
Il racconto è un modo privilegiato per esorcizzare il dominio sociale, sia esso sottile o brutale. Questo può di fatto esprimersi con la forza bruta e il cinismo. Come nel caso del figlio di Dio, Kakabangoa. Ogni volta che Ragno e sua moglie vanno nei campi, scende improvvisamente dal cielo, li acchiappa e li picchia per bene; non senza essersi presentato:" Ciò che faccio io è picchiare solamente gli uomini".
Una brutalità selvaggia e senza ragione, per il piacere di colpire! E' assurdo. Ma questa è la stupidità di chi detiene tutto il potere.

I potenti: nel mirino

La critica, severa, non risparmia i potenti del mondo. Per forza se si guarda il comportamento del re nel racconto seguente. Un re aveva tutti i poteri. Nessuno poteva parlargli. Tagliava la testa a chiunque osasse fargli delle rimostranze o anche delle osservazioni. Un giorno ebbe l'idea di allevare un pitone. Questo cominciò a crescere. Si mise ad acchiappare i polli per mangiarseli; ma nessuno poteva parlare. Il pitone cresceva. A due anni mangiava agnelli e capretti. Il re continuava a tenerselo. Cresceva sempre. Quando ebbe circa quattro anni mangiava i bambini. Quando la gente del villaggio andava nei campi, lui usciva e uccideva liberamente i bambini rimasti a casa.
Tutti i bambini, maschi e femmine, sarebbero stati mangiati. Tutti gli abitanti dovettero fuggire dal villaggio. Proprio prima della loro partenza, una donna partorì un bambino; lo abbandonò nel villaggio. Il mostro vorace arrivò per farsene un boccone. Il neonato lo uccise con il coltello che era servito per tagliare il suo cordone ombelicale. il villaggio era liberato. Tutti vi ritornarono. Ecco come il potere assoluto nelle mani di un capo può generare l'arbitrio e la distruzione sociale. I danni del pitone simbolizzano bene questa situazione. La vita e la pace sociale non sono possibili finche non è distrutto l'elemento dannoso.
Attraverso questa allegoria del re che spinge l'arbitrio fino ad allevare un pitone che ha la libertà di distruggere, il racconto praticamente invita alla rivolta e alla ribellione gridando, alto dai tetti, a tutta la comunità: "Non permettete mai ad un essere umano, sia pure re, di esercitare il potere senza controllo; costui diventerebbe in breve tempo arrogante, dispotico e incontrollabile".
L'arbitrio porta, infatti, germi di morte per la comunità: questa inevitabilmente si disgrega (gli abitanti del villaggio sono dovuti fuggire in gruppi dispersi).

Controllo sociale: valori e contro-valori

Per mezzo dell'allegoria ingrandita il racconto fa capire ciò che normalmente è diffuso, insidioso. Tale è il dominio sociale. Esso penetra e riveste talmente bene i valori, le regole e i comportamenti quotidiani che l'insieme della collettività lo sopporta, l'accetta e lo fa suo senza averne sempre una chiara consapevolezza; tutti accettano che un "piccolo" possa essere schiacciato; e questo sembra nell'ordine delle cose.
In un racconto, un bambino coperto di piaghe, nota per primo una parola di Ragno; egli afferma: "Nonno Ragno ha detto che se avesse la sua piccola zucca, acconsentirebbe alla richiesta di Dio di regalargli suo figlio Sekouman, l'invincibile che ha sconfitto il figlio di Dio, Kakabangoa". Quando il bambino parlò, lo si trattò da bugiardo; gli tagliarono immediatamente la testa, senza nessun processo. Ragno era seduto là. Ripeteva: "Papà Dio, se ottengo la piccola zucca che è là, prendo mio figlio e te lo dono". Questa volta tutti lo udirono chiaramente. Si resero conto di aver ucciso il bambino per niente.
Nello svolgersi stesso del racconto, questo incidente sembra una piccola parentesi insignificante; il racconto continua nella sua logica iniziale. La morte di un piccolo piagato non merita che si disturbi il corso della vita e neanche che ci dispiaccia. Nessuno ha gridato allo scandalo per la morte di questo innocente che in effetti diceva la verità. La sua colpa è soprattutto d'essere pustoloso e di voler prendere la parola nell'assemblea come la gente sana. Non ha pietà di se stesso; allora non merita pietà. Ecco come la coscienza popolare oppressa sopporta l'eliminazione del piccolo, del povero, dell'indifeso.

La grandezza del debole

Il racconto denuncia il torpore della coscienza; richiama ad essere vigilanti al rifiuto sistematico di ogni ingiustizia, di ogni prepotenza: ogni essere umano merita considerazione, ha la sua dignità. E' uno sforzo di aprire gli occhi, di svelare ciò che l'ordine dominante nasconde sotto principi astratti generali che il racconto si prefigge. Il racconto si compiace nel dire la verità sulla società, sia procedendo a piccoli passi, sia mettendo a fuoco certi rapporti sociali: interessi diversi e disuguaglianze l'attraversano, ciò deve essere corretto. E' essenzialmente la battaglia dei dominati, dei piccoli. La vita sociale sarà migliore grazie a loro. Questo è il senso, in fondo, del ritorno regolare del "piccolo", del debole ed insignificante nella narrazione.
L'insignificante nasconde sempre qualcosa di grande, di bello. Ragno ne sa qualcosa; egli sceglie in cambio di suo figlio, la più piccola delle zucche di Dio; essa era piena di saggezza. Un neonato di un giorno salva tutto il suo villaggio in fuga uccidendo il pitone divoratore. Un piccolo pustoloso libera le sue sorelle maggiori da morte certa. Egli toglie le perle dai fianchi delle sorelle per metterle sui fianchi dei figli della madre-strega che aveva un piano mortale. Prende poi i foulards e copre la testa dei ragazzi. Poco tempo dopo, la madre-strega uccide tutti i suoi figli credendo di uccidere le loro fidanzate, le sorelle più grandi del bambino pustoloso. Egli fugge con le sorelle. Saranno ripresi; si erano arrampicati su un albero per nascondersi.
L'inseguitrice farà cadere le ragazze una ad una cantando. Le uccide tutte. Non rimane che il fratello più giovane, malato. La donna canta di nuovo. Il ragazzo dice: "Non è a me che tu parli, è all'albero laggiù che tu parli". L'albero si sradica. Il ragazzo a sua volta si mette a cantare. All'improvviso la donna-strega, che era sotto l'albero, cade sulla sua lancia e si uccide. Il ragazzo scende dall'albero; prepara una medicina e risuscita le sue sorelle. Butta il resto della medicina. Una tartaruga lo raccoglie e resuscita la strega; questa a sua volta la uccide e se la mangia. La narrazione attribuisce un potere particolare ai malati, ai deboli, agli esseri ai margini della società, particolarmente per opporsi agli esseri cattivi e sventare i loro intrighi.
L'astuzia del bambino pustoloso sarà più forte delle macchinazioni della strega. Il bene trionfa sul male, soprattutto se i piccoli vi si dedicano. Ma non dimentichiamo: il male esiste. La strega ammazzerà la tartaruga che l'aveva risuscitata. Il male esiste: agisce nell'ombra, di nascosto, lavora a distanza.
E' in quell'altra donna che trasmette il suo "diavolo" a sua figlia e "ucciderà" tramite lei una loro cugina. Il male è ancora in questa madre che lascia Morte abbattere sua figlia; ella avrà lottato con suo marito per impedirgli di proteggere il loro figlio.

Eroi culturali sotto mentite spoglie

Un altro racconto narra come la comunità sperimenta la fecondità, un tesoro collettivo che rivela la pienezza di vita degli antenati. Questa è simboleggiata da un albero che ha come frutti l'organo maschile. Un giorno, una ragazza, sorella minore di altre figlie, tutta coperta di pustole, volle accompagnare le sue sorelle a raccogliere questo tipo di frutti che avevano visto su un albero. Dopo molti rifiuti, le sorelle grandi le permettono di andare con loro; non erano ancora riuscite a raccogliere un solo "frutto". La sorella minore troverà il segreto per far scendere i "frutti" e tutte ne potranno raccogliere.
Grazie a questi "frutti", il gruppo sociale potrà ormai raccogliere il flusso vitale proveniente dagli antenati e aumentare la sua ricchezza in risorse umane. Una povera pustolosa ha svelato agli uomini e alle donne il segreto della procreazione.
Che fortuna per l'umanità sono questi esseri ridicoli. E' ancora uno di loro, Ndjèkouma, il figlio di Ragno, che, per dimostrare di essere più intelligente di suo padre, gli impedirà di prendere per sé e per il suo solo uso personale tutta l'intelligenza che egli aveva avuto cura di racchiudere in una zucca.
Costantemente sono denunciate la boria dei potenti, l'abuso del potere, l'intelligenza di quelli che si credono qualcuno, la loro cattiveria, il loro egoismo, la loro avidità. I "grandi" sono presi in giro, beffeggiati da avversari insignificanti. Così la contestazione sociale, anzi politica, è portata avanti dai "piccoli". Essi appaiono come difensori del popolo, come liberatori, salvatori; sono gli affossatori dei potenti, gli sterminatori dei cattivi.
E' per il fatto che sono piccoli (bambini), deboli, malati (pustolosi), senza potere né autorità, che diventano strumenti dei garanti meta-sociali della collettività: Dio e gli antenati che agiscono in loro e per mezzo loro e vegliano sulla comunità. Essi sono un richiamo a raddrizzare ciò che è storto, a organizzare la giustizia.

Conclusioni

L'analisi del racconto o meglio l'analisi dell'analisi del racconto sulla società rafforza l'idea che il racconto presenta uno spaccato di vita sociale; lui stesso è una teoria sociale. Interessi divergenti conducono ad alternare discorsi di/su l'ordine con altri di contestazione. La società appare una e divisa. Contemporaneamente, il riferimento costante agli orientamenti socio culturali legati alla storicità, unisce.
In altre parole, i valori di legittimazione e le critiche sono fatti costitutivi dell'azione sociale e culturale. Essi rivelano contemporaneamente come la società sia racchiusa tra gli strumenti ideologici di riproduzione delle disuguaglianze e dei privilegi da una parte e gli strumenti di riproduzione della società stessa dall'altra. Si era creduto troppo presto che la società tradizionale, imperniata sulla propria riproduzione, non sapesse agire su se stessa. Il racconto insegna che questo tipo di società non è immobile, chiusa sui suoi valori; conosce le tensioni, le transazioni. Non è puro sistema di dominio perché conosce il movimento; c'è una vita che porta anche al cambiamento, anche se non è sempre spettacolare come quello delle società post industriali. Questo cambiamento nasce dall'impossibilità per i gruppi dominanti di schiacciare completamente i "piccoli". All'identità di prepotenza dei "grandi" rispondono i comportamenti di difesa dei "piccoli"; al dominio, la contestazione. Questi rifiutano il dominio e la sua giustificazione ideologica; attaccano l'ordine sociale partendo dagli stessi orientamenti culturali che i "grandi" mettono in dubbio. La società stessa e i suoi orientamenti sono in particolare la posta dei conflitti culturali e della difesa o della critica dell'ordine. Così il racconto è una parola di riproduzione e di cambiamento sociale. E' analisi della società e azione su di essa.

Paul N'DA
Professeur Titulaire de Sociologie
Ecole Normale Supérieure
Abidjan

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