Rituali nuziali

C'è un filone di racconti che spiegano l'origine di istituzioni sociali, norme comportamentali, tradizioni e riti ancestrali. Per il fatto che spiegano l'origine di certi fenomeni queste storie sono chiamate eziologiche.
Esse partono, do solito, dal vissuto quotidiano, da norme correnti e spiegano come queste regole sociali abbiano fatto la loro apparizione nel gruppo.
Il primo racconto fa parte di questa serie di testi e indica l'origine di due norme tradizionali riguardanti il matrimonio: l'iniziativa maschile e la legge della virilocalità. E l'uomo che cerca la donna, ma questa è tenuta ad andare ad abitare nel villaggio del marito. Queste norme sono vincolanti perché sancite dall'Essere Supremo.
L'origine del matrimonio, dunque della famiglia, è direttamente legato all'intervento dell'Essere Supremo Nyamian, che ratifica e benedice leggi innate nella natura umana.
Non si può accedere al matrimonio in qualsiasi età. La maturità fisica non è sufficiente. Deve essere accompagnata da quella umana, sociale, psicologica.
Il secondo racconto, attraverso un plastico linguaggio simbolico, allude a questa problematica. Tre sorelle si sbarazzano della sorella minore, possibile rivale, inviandola a perdersi in foresta.
Ad un livello simbolico la foresta, con il sottobosco, il buio, gli strani incontri(streghe, animali feroci, orchi, geni) evoca l'inconscio umano con tutte le forze istintuali. La vita in foresta, con la sua esplorazione, rappresenta uno stadio essenziale nello sviluppo della personalità.
La persona umana per diventare adulta, deve esplorare la sua vita interiore, mettendovi ordine. Procedendo in questa scoperta, si possono fare dei brutti incontri. Le streghe, i serpenti, i mostri, non sono che simboli delle forze istintuali, degli impulsi violenti, belluini, aggressivi, della personalità. Ma queste forze, apparentemente distruttive, diventano, al contrario, preziose alleate, se non si ha paura e se si sanno trattare bene.
Aldilà del linguaggio simbolico il racconto mostra come la ragazza, attraverso una morte metaforica, lascia la sua individualità vecchia, inadeguata, ammalata, per rinascere ad un piano superiore di esistenza. In altre parole questo significa che la giovane ha raggiunto la sua maturità umana e sociale, ha saputo cioè dominare e integrare gli aspetti più discordanti della sua personalità rendendosi così atta al matrimonio.
Il testo sottolinea però anche un altro aspetto. L'integrazione interiore non è qualcosa che viene raggiunta una volta per tutte. E' un compito che dura tutta la vita. Non è infatti sufficiente sviluppare la nostra personalità in tutte le sue potenzialità, bisogna usare di questi doni in modo accorto, oculato. Se non si sanno usare bene, queste forze inconsce possono ribellarsi, sfuggirci di mano, ritorcendosi contro.
Una delle forme preferenziali di matrimonio nella società anyi era, quello fra cugini incrociati. Le ragioni sono soprattutto economiche e sociali: fare in modo che l'eredità rimanga all'interno della famiglia e evitare la dispersione del capitale umano necessario al mantenimento e alla coesione dell'edificio sociale.
Di fatto però questa strategia dei matrimoni preferenziali, non è mai stata supinamente accettata dalle donne anyi. I due racconti fanno parte di una serie numerosa di testi in cui le donne tentano di reagire contro la norma tradizionale e rivendicano il diritto di scegliere lo sposo che desiderano.
Nel primo racconto una donna rifiuta ostinatamente il marito scelto dagli anziani della sua famiglia e rivendica la libertà di scelta: si sposerà solo quando avrà incontrato il marito che ama.
Il rifiuto della donna è fra i più gravi. Il matrimonio sta alla base della società. Le norme tradizionali che lo regolano non possono impunemente essere messe in discussione e contestate. Il narratore mette in evidenza le varie disobbedienze e trasgressioni della donna:
. rifiuto deliberato e reiterato del marito offertole
. rifiuto di sposare una persona del villaggio, una persona conosciuta
. sposa un forestiero senza preparazione alcuna e senza consultare la famiglia
. decide di seguire il marito malgrado questi sia contrario
Poste questa serie di rivolte, il racconto ne narra le conseguenze. Nel caso, seppur dopo fortunose vicende, la donna riesce a ritornare al suo villaggio. In altri racconti le conseguenze sono più radicali: la donna è divorata, distrutta. In certi casi la donna trascina, nella sua perdita, tutto il villaggio.
Nel secondo racconto invece la donna sposa l'uomo di sua scelta senza apparentemente provocare reazioni del gruppo. Il tema centrale del racconto e il messaggio finale non sono legati a contestazioni di norme tradizionali. Ciò che è messo in evidenza è l'intelligenza dei due giovani.
Il racconto è però anche indice di un evolversi di mentalità Se è vero che l'ideologia disapprova i matrimoni con i forestieri è altrettanto vero che l'evoluzione sociale attuale rende sempre meno costrittive le norme tradizionali. Non è infrequente vedere oggi ragazze anyi andare spose a forestieri: maestri, infermieri, impiegati della sottoprefettura, poliziotti, ecc. Le giovani sono attratte dallo statuto sociale dei nuovi arrivati e gli anziani appoggiano sempre di più questi nuovi tipi di unione ammantate di prestigio, attirati dal miraggio di facili profitti. "Devi sposarti con colui che può occuparsi di te e non con quello che ami" diceva Tano Kwame a sua figlia Ama Agnes di l5 anni richiesta in sposa (come terza moglie) da un anziano sottoprefetto della zona.

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La donna anyi raggiunge il suo pieno statuto sociale quando diventa madre. La donna per eccellenza è la madre.
Ancora oggi c'è un rito particolare per celebrare la giovane donna che diventa madre per la prima volta. E' una specie di rito di passaggio che la fa entrare nel novero delle donne adulte generatrici.
Il non avere figli è un vero dramma. Non solo non si sente valorizzata e realizzata, ma avverte anche una sorda ostilità nei suoi confronti da parte del gruppo, che la considera spesso come una fattucchiera.
Eccola allora mettere in opera ogni sorta di mezzi pur di riuscire ad avere figli. Ricorrerà innanzitutto alle vecchie matrone della sua famiglia che le prepareranno erbe e pozioni adatte. Offrirà poi sacrifici impetratori alle divinità tutelari del gruppo. Non esisterà a fare lunghi viaggi in Ghana, oppure fra i "Baribo" e i "Koulango" per consultare o farsi aiutare da qualche sacerdote-guaritore-indovino.
L'ideologia del gruppo però sottolinea che i figli di una donna "sterile" non sono veri figli, e non potranno vivere. Ella potrà si riuscire con "magie varie" a mettere al mondo qualche figlio, ma su di loro graveranno pesanti ipoteche, precisi interdetti, che impediranno a questi figli di avere una esistenza normale, in una parola, di vivere.
Un genio crocicchio offre un figlio alla donna sterile che ogni giorno semina il suo cammino di pianto. Ma la vita del figlio è legata all'osservanza di un interdetto. Se verrà infranto, volontariamente o meno, il figlio morrà. Ed è ciò che di fatto succede.
Può capitare che, pur avendo usato tutti i mezzi a sua disposizione, la donna rimanga definitivamente sterile. Il secondo racconto presenta una di queste figure.
Si diceva più sopra che la società tende a considerare queste persone come dei bajefwè, sorcières, fattucchiere, soprattutto se sono avanti negli anni.
Una delle caratteristiche di tali persone è di essere "distruttrici" dei membri della propria famiglia. Nel racconto la sorella maggiore sterile "divora" i figli della minore, cioè distrugge la fertilità della sorella per appropriarsela in un estremo tentativo di diventare a sua volta feconda e generatrice.
Un proverbio bona ricorda: korafwè o te ka nane bii, ji ti so wo, ji bo do o te pètè: le diverse mogli di uno stesso marito sono come lo sterco di mucca: al di sopra è secco, ma sotto è molle e puzza.
Questo proverbio illustra bene il testo La moglie gazzella. La storia è costruita attorno ad una delle difficoltà maggiori della poligamia. Può succedere che un uomo con una sola moglie si senta sollecitare dalla medesima a prendersi una seconda moglie per dividersi i lavori domestici e campestri. Le testimonianze abbondano in tale senso. Questo però non significa che le co-mogli vadano poi fra loro d'accordo.
Il termine bona per indicare le co-mogli è korafwè, cioè rivale. Ogni moglie vede nell'altra una concorrente, una rivale. Fra le varie mogli emerge la jerejere, la preferita. Un posto a parte occupa la jii kpain, la prima moglie, che di solito primeggia e ha autorità sulle altre. All'ultimo posto c'è la kobi, la disattesa, la meno amata. Fra di loro l'intesa è solo apparente. Sotto covano odi feroci, veleni mortali. Il racconto ne è un esempio.
Apparentemente le due rivali vivono in perfetta armonia col marito e fra loro. Si veda il quadretto idilliaco del marito che tesse e le mogli che filano. Ma è proprio come lo sterco di mucca: "è secco solo sopra", ciò che appare. Una delle donne infatti, sotto miti sembianze, è una malefica fattucchiera. Rosa dalla gelosia, nottetempo, con sortilegi magici, si trasforma in gazzella e va a devastare il campo della sua rivale. Il marito, all'insaputa della donna, viene a conoscenza dei suoi malefìci. Così il trio domestico non tarda a sfaldarsi. Con uno stratagemma il marito obbliga la donna a rivelare la sua vera identità di fattucchiera.
La società anyi attuale è caratterizzata da una palese instabilità dei legami matrimoniali. Non esiste quasi più il matrimonio tradizionale, sono rari i matrimoni civili, ancora più rari quelli religiosi.
L'uomo e la donna si uniscono e si separano con facilità rapidità, e senza remore morali apparenti. Le istituzioni tradizionali stanno perdendo il loro vigore costrittorio, e quelle moderne stentano ad essere recepite.
Così nella società di oggi si trova un numero consistente di "celibi" e di "divorziati" I due termini sono di proposito tra virgolette perché hanno un significato un po' diverso dal nostro.
Un Bona non parlerà mai, o molto raramente, di "divorziati". Parlerà sempre di sighia nian, o sighiafwè, persona celibe, persona sola. Infatti, spesso, si vive insieme, si mettono al mondo dei figli, poi ci si separa, e si va con altri.
I villaggi bona sono pieni di persone sole, uomini o donne, con figli.
Per capire la realtà attuale bisogna tenere presente che il matrimonio tradizionale non si esaurisce in un atto, ma è un itinerario costellato di tappe.
Spesso i due conviventi vivono insieme senza neppur aver iniziato il cammino ufficiale. Altre volte invece i due hanno sancito pubblicamente la loro unione davanti agli anziani della comunità, ad esempio offrendo due bottiglie di gyn. Se queste unioni si sfaldano, non si potrà parlare realmente di divorzio, perché il matrimonio non è mai avvenuto. Il divorzio esiste solo se tutte le tappe sono state percorse. Solo allora ci sarà un rito pubblico di rottura e di separazione.
Ma il più delle volte due persone vivono insieme e basta, senza nessun legame ufficiale. Uno dei casi oggi più diffuso è quello delle studentesse che diventano madri. Ad un certo momento la ragazza deve "denunciare" il fidanzato, cioè deve comunicare ufficialmente alla famiglia e agli anziani del villaggio, chi è il padre del bambino. Poi, una volta portata a termine la gravidanza, spesso ci sarà il "divorzio". I due si separano, la mamma o la nonna della ragazza si occupa del bambino, e la giovane continua gli studi.
Come si è accennato, data la mancanza di legami giuridici tradizionali o moderni, queste unioni possono essere sciolte con facilità, senza gesti pubblici e clamorosi. Il tutto si risolve all'interno delle due famiglie.
I racconti mostrano con quanta facilità un coniuge possa abbandonare l'altro, senza procedure particolari. Non è che il riflesso della prassi quotidiana.

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